Educazione al multimediale RAI Educational

Lezione n. 09

Nuove tecnologie e società globale

di Fabio Ciotti

Argomenti associati:
Facendo clic su questa icona si aprirà la scheda di approfondimento
Clic qui Il telelavoro
Clic qui Gli strumenti del telelavoro
Clic qui Le librerie virtuali
Clic qui Istituzioni e partiti politici italiani in rete
Clic qui Henry Ford
Clic qui Jack Nilles
Argomenti trattati nella lezione 09:

Premessa

VC blocco 1 'Economia e tecnologia'Comprendere a fondo la portata di una rivoluzione, in qualunque sfera essa occorra, proprio mentre essa è in pieno svolgimento, è impresa ardua, se non impossibile. Come prevedere quali e quante tre le promesse o le minacce, le aspettative o i timori saranno confermati dopo dieci o venti anni? E quante volte ciò che sembrava una rivoluzione al momento, riconsiderata con la consapevolezza che la storia ci regala, si rivela una semplice correzione di rotta, o una superficiale agitazione? E tuttavia in nessun momento previsioni, attese, speranze, certezze si manifestano come nel corso di una rivoluzione.

È questa la situazione in cui ci troviamo oggi: la rivoluzione digitale promette, attraverso i suoi sostenitori e i suoi protagonisti, di cambiare radicalmente e in meglio sia il funzionamento globale della società sia la vita degli individui. E naturalmente genera simmetriche paure tra quanti temono invece che tali cambiamenti si possano rivelare involuzioni e regressioni. Le tensioni ideologiche sono tanto più acute in quanto alla base del cambiamento si pone una pervasiva diffusione della tecnologia nella vita sociale. D'altra parte, abbiamo visto come sia oggetto di dibattito lo stesso ruolo determinante dell'innovazione tecnologica nel mutamento in corso.

È molto difficile assumere in questo contesto una posizione equidistante dalle opposte ideologie e cercare "semplicemente" di descrivere i processi di cambiamento in atto senza concedere troppo all'apologia o alla detrazione. In questo corso fino ad ora abbiamo cercato, per quanto possibile, di mantenere tale equidistanza. Per questo abbiamo ritenuto opportuno in primo luogo "fornire i dati" del problema, capire a fondo in che cosa consiste il complesso di tecnologie che sono alla base della rivoluzione digitale. Armati di tale bagaglio ci siamo volti a studiare come tali tecnologie stiano influenzando varie sfere della vita sociale e culturale, cercando di individuare quelle che riteniamo tendenze del cambiamento piuttosto che risultati conseguiti e processi conclusi.

In questa dispensa, dedicata proprio al rapporto tra le nuove tecnologie digitali e la società, il nostro sforzo di descrizione critica è tanto più difficile, quanto più complesso risulta il tema in discussione. A testimonianza di questo nostro tentativo c'è innanzi tutto il titolo che abbiamo scelto: nuove tecnologie e società globale. La congiunzione "e", infatti, è stata scelta esplicitamente per evitare di suggerire un rapporto di causalità diretta tra i due termini. La "società globale" è la forma del vivere sociale verso la quale ci stiamo muovendo. Un vivere sociale nel quale la sfera economica, quella politica e quella culturale mostrano rapporti reciproci sempre più fitti ed interconnessioni che oltrepassano i confini locali e nazionali delle comunità tradizionali. Proprio in questa idea di interconnessione, di rete, si colloca il complesso intreccio tra fenomeni sociali e fenomeni tecnologici.

Su questo intreccio ci concentreremo, senza presumere di esaurire un tema complesso ed ancora oggetto di studio. Procederemo come al solito suddividendo il nostro discorso in due direttrici: il rapporto tra tecnologie ed economia e quello tra tecnologie e politica.

Il rapporto tra lo sviluppo tecnologico e la sfera economica è sempre stato una delle chiavi di lettura privilegiate dalle scienze sociali al fine di comprendere e descrivere i sistemi sociali, e la loro evoluzione storica. Certamente esso non esaurisce tutti gli aspetti del problema, ma è un dato di fatto che ogni tappa dello sviluppo che ha caratterizzato la società occidentale negli ultimi due secoli è legata strettamente all'introduzione di grandi innovazioni tecnologiche. A partire dalla macchina a vapore (che ebbe un ruolo importante nella prima rivoluzione industriale) per passare al treno, all'elettricità, all'automobile con il motore a scoppio, alla radio, alla televisione, ogni nuova tecnologia ha cambiato il modo di produrre ricchezza ed aperto nuovi mercati, favorendo grandi cambiamenti sociali e profondi conflitti.

Oggi, con l'introduzione delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ci troviamo nel pieno di una ennesima fase di trasformazione: l'avvento dell'economia digitale, o più in generale economia dell'immateriale. Quali ne sono i caratteri, le potenzialità e i rischi? A queste domande abbozzeremo alcune possibili risposte, nella speranza di suscitare in chi legge lo stimolo ad andare oltre, poiché si tratta di temi che riguardano già oggi la vita di ognuno di noi.

Altrettanto interessanti sono i fenomeni che si collocano sull'asse del rapporto tra tecnologie e politica. Anche in questo caso ci possiamo aspettare notevoli cambiamenti nel funzionamento della politica e delle sue istituzioni. Non solo perché, come è sempre avvenuto, l'economia influisce sulle forme politiche di una società. Ma anche perché le nuove tecnologie della comunicazione potrebbero modificare i meccanismi stessi della politica.

Ritroviamo ancora in questo campo i due poli della dialettica. Alcuni entusiasti della rivoluzione digitale sostengono che siamo in procinto di sviluppare un nuovo modello di rapporto tra cittadini e istituzioni, un nuovo modello di democrazia. Ma non sono in pochi a far notare i rischi impliciti in diversi aspetti questo cambiamento, soprattutto se esso non è governato in modo consapevole. E tali rischi si concentrano soprattutto sul timore di una società iper-controllata, in cui un qualche potere centrale, grazie alle possibilità delle nuove tecnologie, potrebbe divenire assai simile a quel Grande Fratello immaginato con tanta arguzia da George Orwell nel suo famoso romanzo 1984.

back


Globalizzazione

Se vi accade di sfogliare le pagine economiche dei giornali, o di seguire qualche trasmissione televisiva che si occupa di temi economici, troverete senza dubbio citata la parola globalizzazione.

Questa parola viene usata per riassumere una serie di fenomeni che caratterizzano l'attuale sistema economico mondiale: la internazionalizzazione dei mercati finanziari e la libertà di movimento dei capitali; il decentramento e la delocalizzazione della produzione di beni; lo sviluppo del commercio internazionale che permette oggi una circolazione mondiale delle merci; la tendenza delle grandi aziende a stabilire alleanze o fusioni internazionali.

In effetti, presi singolarmente alcuni di questi fenomeni non sono del tutto nuovi. La tendenza a superare i confini nazionali ha caratterizzato l'economia occidentale sin dalle origini dell'era moderna (l'epoca che dalla fine del Trecento al Rinascimento ha visto la nascita del primo capitalismo mercantile e della finanza) e ha avuto una notevole accelerazione con lo sviluppo dell'economia capitalistica, propiziato dalla prima rivoluzione industriale. E, per venire ad epoche più recenti, l'estensione di alcune grandi aziende manifatturiere al di fuori dei confini nazionali di origine (la cosiddette multinazionali) si è verificato con crescente frequenza sin dal secondo dopoguerra.

Tuttavia per lungo tempo la spinta alla internazionalizzazione è stata determinata soprattutto dalla ricerca di nuovi mercati dove acquisire a basso costo le materie prime e dove vendere i prodotti in eccesso che non potevano essere assorbiti dai mercati nazionali. Anche le grandi multinazionali operavano tenendo ben piantate le radici nel paese d'origine (che nella gran parte dei casi erano gli Stati Uniti)

La globalizzazione dell'economia cui stiamo assistendo oggi è un fenomeno assai più vasto e complesso, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. In primo luogo esso riguarda tutti gli aspetti della sfera economica, dalla produzione e circolazione delle merci alla finanza, ed investe tutti gli attori dei processi economici, dai più piccoli ai più grandi.

Questo vuol dire, ad esempio, che una azienda che produce automobili può quotarsi in borsa a Londra e Milano, costruire i motori a san Paolo del Brasile, comprare i sedili in India, assemblare e verniciare le auto a Torino e venderle in tutta Europa. Che giovani e meno giovani di ogni angolo del pianeta, da Atlanta a Nairobi, si dissetano con la medesima bibita: e non si tratta, purtroppo, del nostro glorioso chinotto. Ma non possiamo dimenticare che i giovani di New York vanno pazzi per i jeans di un produttore marchigiano e che in tutto il pianeta si indossano maglie di un noto marchio veneto che produce, fra l'altro in Turchia. O ancora, che un grande investitore finanziario può decidere, una mattina, di spostare quantità enormi di denaro dai titoli di stato di un Paese del Sud Est Asiatico verso le borse europee.

In secondo luogo, la globalizzazione tende a far scomparire la distinzione tra mercati nazionali e mercati internazionali, producendo una serie di conseguenze anche sul piano politico, ed in particolare su quello della politica economica. Per tutta la seconda metà del secolo, infatti, l'importanza dei mercati interni ha consegnato agli stati ed alla loro politica economica una leva di controllo sui processi economici. Oggi questo controllo si va riducendo sempre più, poiché gli scambi mercantili e finanziari avvengono su una scala internazionale che sfugge all'azione diretta dei singoli governi.

Insomma, con la globalizzazione i processi economici assumono una estensione planetaria mai conseguita fino ad ora, varcando i confini degli stati nazionali. Un tale sviluppo non avrebbe potuto avere luogo senza lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione. Grazie ad esse, infatti, oggi è possibile controllare da Milano una fabbrica a San Paolo del Brasile; sapere quante auto ha venduto la filiale di Sidney, e rifornirla in pochi giorni; acquistare azioni alla borsa telematica di Wall Street e vendere dollari a quella di Honk Kong.

Ma è tutto oro quel che luccica? In realtà alle grandi opportunità di sviluppo economico aperte dalla globalizzazione si affiancano una serie di conseguenze negative e di rischi potenziali. La competizione su una scala così vasta, infatti, richiede dei competitori di grosso calibro: assistiamo così, soprattutto nei settori strategici, dove sono necessari grossi investimenti di capitale, ad una serie di fusioni e acquisizioni che danno origine a giganti mondiali i quali, a loro volta, rischiano di ricreare, su scala globale, le stesse situazioni di oligopolio o addirittura di monopolio di fatto che abbiamo conosciuto nel passato.

A questa concentrazione corrisponde peraltro una riduzione della domanda di lavoro, e dunque il rischio di una crescente disoccupazione industriale che non sempre viene riassorbita dalla nascita di nuovi settori economici (come quelli dei servizi). Tutto ciò mentre le aziende globali tendono a spostare i comparti produttivi che richiedono la maggiore intensità di lavoro (soprattutto lavoro a bassa qualifica) in paesi emergenti dove il costo del lavoro è assai più contenuto rispetto ai paesi avanzati.

A questo si affiancano i rischi della globalizzazione finanziaria, i cui effetti incontrollabili e potenzialmente devastanti abbiamo vissuto più volte negli ultimi anni. Se alcuni grandi investitori internazionali decidono, per qualsiasi motivo, di spostare ingenti somme di capitale investite in una borsa o nei titoli di stato di un paese, possono provocare in poco tempo il crollo di una moneta ed accelerare la crisi di una economia nazionale. Quanto è avvenuto nel sud est asiatico nel 1998, in Messico qualche anno fa, ed anche la crisi della nostra moneta vissuta nel 1992, rappresentano degli esempi paradigmatici di tali pericoli. Nessuno è oggi in grado di controllare il flusso dei capitali nei mercati, e questo ha fatto suonare molti campanelli di allarme.

back


Tecnologie e produzione: fordismo e postfordismo

Il rapporto tra innovazione tecnologica e trasformazioni economiche non riguarda solo la sfera della circolazione dei prodotti e del denaro. Anzi, in una economia capitalistica è soprattutto la produzione dei beni che vive in un costante rapporto con lo sviluppo tecnologico, e che viene da esso periodicamente rivoluzionata.

L'inizio di questo processo risale, come saprete, alla fine del Settecento, quando l'introduzione delle macchine a vapore nelle fabbriche di cotone diede l'avvio alla prima rivoluzione industriale. Le macchine in una prima fase propiziarono la concentrazione di molti lavoratori all'interno di un unico luogo in cui effettuare la produzione, anche se non modificarono radicalmente il modo di lavorare. Da piccoli artigiani i lavoratori divennero prestatori d'opera salariati alle dipendenze di pochi proprietari dei mezzi di produzione, ma il loro lavoro non subì effettivi cambiamenti. Una volta conseguito lo stadio della concentrazione del lavoro all'interno delle fabbriche, ebbe inizio un processo di riorganizzazione del ciclo di produzione intorno ai macchinari. Mentre prima ogni singola unità di prodotto era realizzata da un solo operaio, ora scaturiva da una sequenza di attività parcellizzate e ripetitive.

Figura 1 - La macchina a vapore di James Watt
Figura 1 - La macchina a vapore di James Watt

Una tappa fondamentale nella storia della organizzazione capitalistica della produzione fu l'introduzione della catena di montaggio, negli anni Venti del nostro secolo. Fu Henry Ford, il proprietario di una piccola fabbrica di automobili, che ebbe l'idea di razionalizzare ed automatizzare il ciclo di produzione all'interno delle grandi fabbriche. Questa nuova organizzazione del lavoro, che prese il nome di fordismo, ha profondamente influito sullo sviluppo della nostra società. La catena di montaggio rese possibile la produzione di massa, e con la conseguente diminuzione del costo dei beni, il consumo di massa.

Figura 2 - Linea di montaggio di una fabbrica Ford
Figura 2 - Linea di montaggio di una fabbrica Ford

Il fordismo ha caratterizzato sia l'economia capitalistica, sia, sebbene in forme diverse, le economie produttive dei paesi del socialismo reale fino alla metà degli anni settanta, quando esso entrò in crisi per la concomitanza di numerosi fattori sia interni (la sempre maggiore conflittualità degli operai e dunque la lotta sui salari e sul tempo di lavoro), sia esterni (la crisi petrolifera del 1973, la coeva crisi del dollaro, e la grande crisi economica che ad esse conseguì).

In risposta a questa crisi, a partire dalla fine degli anni settanta, assistiamo ad una ennesima fase di trasformazione della produzione e del lavoro, propiziata da una massiccia introduzione delle tecnologie informatiche. L'esito di questa fase, tuttora in corso, non è univoco, e presenta caratteristiche diverse a seconda dei paesi e dei comparti produttivi. Proprio a testimonianza di questa complessità si è adottato il termine postfordismo per indicare un insieme di innovazioni nell'organizzazione della produzione, nei mercati e nella gestione finanziaria dei capitali, la cui caratteristica unitaria più evidente è il superamento del modello fordista.

Un primo aspetto del postfordismo è costituito dall'introduzione dei computer nei processi produttivi e dalla conseguente automazione di moltissime mansioni che precedentemente erano svolte dall'uomo. Un simbolo eclatante di questa trasformazione sono i robot industriali. Un robot è una specie di utensile che invece di essere comandato da un operaio è controllato da un computer. E poiché molta parte del lavoro in fabbrica è ripetitivo e non richiede particolari abilità, i robot possono benissimo fare questi compiti in modo efficiente e produttivo. La fabbrica diventa una specie di grande sistema integrato in cui operai e robot computerizzati cooperano per realizzare il compito di produrre i beni. Dove ieri si muovevano presse e si usavano chiavi inglesi, oggi si interagisce con una tastiera di computer.

Figura 3 - Un robot industriale
Figura 3 - Un robot industriale

Ma la trasformazione nei processi produttivi non si è limitata alla introduzione di macchine intelligenti in sostituzione del lavoro umano. Forse più importante è il fatto che la produzione diviene sempre più un processo basato sulla comunicazione. Sia il controllo delle macchine, mediato dai computer, sia l'organizzazione delle cooperazione tra i lavoratori, sia le relazioni tra i diversi settori del processo produttivo richiedono una serie di attività comunicative e relazionali. Laddove la fabbrica fordista aveva separato l'intelligenza dalla prestazione lavorativa e segmentato mansioni e funzioni, la fabbrica postfordista punta sulla cooperazione comunicativa ed intelligente e sul coinvolgimento cognitivo dei lavoratori nella produzione.

Una importante conseguenza di questa nuova organizzazione del lavoro è la destrutturazione della grande fabbrica, simbolo dell'era fordista e monumento tipico del secolo che si sta chiudendo. Grazie ai sistemi di telecomunicazione molte attività lavorative e di coordinamento possono essere erogate e controllate in modo relativamente indipendente dallo spazio. La fabbrica fordista richiedeva la vicinanza fisica dei vari reparti; la nuova fabbrica può essere disseminata nel territorio, anche al di fuori dei confini nazionali.

Ma la destrutturazione investe anche gli stessi assetti aziendali. La produzione fordista dispiegava tutta la sua efficienza se l'impresa integrava al suo interno l'intero ciclo produttivo, dalla progettazione all'imballaggio del prodotto finito, ed anche parti del processo di distribuzione delle merci. Con la produzione postfordista questa struttura monolitica si rivela piuttosto una causa di inefficienza. Al contrario, per una azienda è economicamente vantaggioso affidare parti accessorie del processo produttivo ad aziende esterne, di dimensione piccola o media, e concentrare investimenti e forze produttive interne sui nodi centrali della produzione, sulla progettazione, sulla commercializzazione. Insomma, anche nella organizzazione aziendale si diffonde quel modello di rete che sembra il paradigma della nostra epoca.

back


Economia dell'immateriale e lavoro intellettuale

VC blocco 2 'Il telelavoro e l'economia digitale'Le trasformazioni introdotte dalle nuove tecnologie non si limitano all'automazione della produzione nei comparti produttivi tradizionali. L'innovazione tecnologica, infatti, ha stimolato la crescita di nuovi settori economici, dove si producono direttamente beni immateriali. In questo caso non solo la prestazione lavorativa diventa essenzialmente una attività intellettuale e comunicativa, ma anche il prodotto è immediatamente un oggetto informazionale.

La diffusione della produzione immateriale è determinata da moltissimi fattori. In primo luogo, la fabbrica postfordista richiede sempre meno lavoro manuale e sempre più lavoro di progettazione, di controllo, di comunicazione interna, tra i vari settori di una azienda, ed esterna tre le aziende, il mercato e le istituzioni. In secondo luogo l'evoluzione dei mercati nazionali ed internazionali ha stimolato la nascita di nuove professioni legate alla promozione delle merci, come la pubblicità ed il marketing. Ed infine le nuove tecnologie hanno stimolato la nascita di settori produttivi, come quello della comunicazione, dello spettacolo, dell'informatica, dei servizi avanzati, in cui il ruolo dell'attività intellettuale è dominate rispetto a quello dell'attività manuale.

A ben vedere, non è che la produzione immateriale sia una novità assoluta della nostra epoca. Sia l'industria editoriale sia quella dello spettacolo hanno una storia almeno centenaria. Ma, come più volte rilevato, le dimensioni quantitative e qualitative del fenomeno sono decisamente nuove, specialmente nelle economie avanzate occidentali.

Si calcola che attualmente la quota di lavoratori in Europa che tratta informazioni sia valutabile nell'ordine del 50% della forza lavoro, quota che sale al 60% per gli Stati Uniti. Inoltre circa l'80% dei nuovi posti di lavoro si colloca in questa fascia di attività lavorative. Simmetricamente, il volume di affari sviluppato dall'economia dell'immateriale sta per sopravanzare quello generato dai comparti tradizionali: si vendono informazioni, idee o sogni più che automobili e lavatrici, e comunque questa vendita rende molto di più. Basti pensare che negli Stati Uniti i due settori economici più ricchi sono l'industria del software (e non dell'hardware, si badi) e quella dello spettacolo.

Un fattore determinante nella crescita dell'economia dell'immateriale è legato proprio alla natura qualitativa delle recenti innovazioni tecnologiche, ed in particolare alla rivoluzione digitale. Infatti, dove il lavoro consiste immediatamente nella creazione e nella elaborazione di conoscenza ed informazione, la digitalizzazione produce il massimo aumento di produttività individuale e la massima riduzione dei costi di produzione e distribuzione.

back


Verso l'economia digitale

Fino ad ora ci siamo occupati delle trasformazioni economiche avvenute negli ultimi decenni sotto la spinta dell'innovazione tecnologica. Ma la rivoluzione digitale, ed in particolare la diffusione planetaria della rete Internet, sta aprendo un nuovo territorio di attività per gli operatori economici, che promette una notevole espansione. Nel giro di pochi anni, infatti, intorno al fenomeno Internet si sono concentrate una moltitudine di attività commerciali e produttive, accompagnata da una ancora più vasta campagna pubblicistica e promozionale.

Chiaramente i primi ad avere tratto vantaggi da questa esplosione sono state le imprese "tradizionali" del settore: produttori di hardware e software, in misura minore; gestori delle infrastrutture delle telecomunicazioni, in misura maggiore. Accanto ad esse hanno avuto una ottima performance anche i fornitori di accesso alla rete, o provider, anche se in questo settore si è verificata assai presto una fase di concentrazione, con una conseguente riduzione del numero di competitori, ed una parallela crescita del loro volume. Si tratta di un fenomeno ben evidente negli Stati Uniti, dove America on Line, il maggiore provider di accesso, raccoglie ormai oltre un terzo del mercato con un giro di affari annuo pari a 2 miliardi di dollari, ed è stato protagonista di importanti acquisizioni (tra cui quella di Netscape, l'azienda che ha realizzato il noto Web browser). Anche in Italia, tuttavia, la divisione della Telecom che vende accesso alla rete, TIN, sembra orientata a creare una posizione di predominio assoluto del mercato, riducendo lo spazio per i tanti piccoli provider cresciuti negli ultimi anni in tutto il territorio nazionale.

Ma le maggiori attese suscitate dallo "sfruttamento" del fenomeno Internet sono legate allo sviluppo di una vera e propria economia digitale, basata sulla fornitura di beni e servizi interna, per così dire, al ciberspazio. Ci riferiamo in particolare al commercio elettronico e alla fornitura di servizi on-line ad alto valore aggiunto coniugata al marketing digitale.

back

Il commercio elettronico

Sotto molti punti di vista, la rete Internet è la migliore concretizzazione dell'idea di mercato globale. Nel suo mondo virtuale le distanze si annullano. Un eventuale "navigatore compratore" dunque, in pochi secondi, con un semplice click del mouse, può raggiungere un esercizio commerciale che si trova al di là dell'oceano. E con pochi altri click può ordinare un prodotto, e farselo recapitare direttamente a casa. Se poi il prodotto acquistato non è un bene materiale, ma un oggetto informativo e dunque immediatamente "digitalizzabile", la consegna può essere effettuata direttamente attraverso il canale telematico, riducendo a zero i tempi di attesa.

La prospettiva del commercio elettronico ha scatenato una vera e propria corsa all'oro. Attirate dalla prospettiva di una marea di compratori virtuali, moltissime aziende si sono tuffate nel ciberspazio, sperimentando varie forme di vendita diretta on-line. Le pagine multimediali del World Wide Web si sono dunque popolate di cataloghi interattivi, che illustrano al potenziale acquirente le caratteristiche di un prodotto, collegati a sistemi di gestione delle transazioni economiche in rete.

Per procedere all'acquisto, generalmente la procedura è abbastanza semplice ed automatica. Con un click su un apposito pulsante si arriva ad un modulo di ordine, in cui vengono richiesti i dati personali, l'indirizzo e le modalità di pagamento. Attualmente il mezzo di pagamento più utilizzato nel commercio elettronico è la di carta di credito, il cui numero viene inviato direttamente on-line. Ma sono molto diffusi anche il pagamento contrassegno alla consegna (naturalmente se il prodotto acquistato è un oggetto materiale) o il bonifico bancario.

Figura 4 - Dettaglio dell'interfaccia per l'acquisto in un negozio virtuale
Figura 4 - Dettaglio dell'interfaccia per l'acquisto in un negozio virtuale

Dal punto di vista organizzativo, possiamo distinguere due modelli di vendita on-line: vendita diretta da parte del produttore e vendita mediata da distributori specializzati.

Nel primo caso viene saltata la mediazione tradizionale della distribuzione. L'azienda produttrice si assume direttamente la funzione di commercializzare on-line i suoi prodotti, aprendo un suo negozio virtuale che le permette di entrare in contatto diretto con i clienti consumatori. Questo modello, tuttavia, funziona solo se il nome dell'azienda o il marchio commercializzato ha una sufficiente penetrazione nel mercato, grazie alla posizione conquistata nella distribuzione "materiale", o ad una notevole campagna di promozione effettuata direttamente on-line o sui media tradizionali (ad esempio riviste specializzate, etc.)

In alternativa alla vendita diretta da parte del produttore si pongono i "centri commerciali virtuali", o cyber-mall. In questo caso alcuni grossi gestori di siti specializzati nelle vendita on-line forniscono alle aziende delle vetrine virtuali, insieme al supporto per la gestione delle transazioni (procedura complessa e delicata). I costi di promozione ricadono in questo caso sui gestori del sito commerciale, che hanno l'interesse ad attirare visitatori. Questo modello risulta vantaggioso per aziende piccole e medie che non possono investire notevoli cifre nel marketing.

Figura 5 - Un noto sito di commercio elettronico americano
Figura 5 - Un noto sito di commercio elettronico americano

Che cosa si vende on-line? Di tutto: si va dai prodotti hardware e software ai vini di qualità. Le statistiche aggiornate al 1998, segnalano che i prodotti più venduti sono, alquanto sorprendentemente, i libri, con 5 milioni e 600 mila acquirenti ed un tasso di crescita superiore al 100 per cento. Ne è testimonianza l'enorme successo delle librerie on-line, di cui diamo conto in una delle schede. Ottimi livelli di vendita, poi, sono stati raggiunti nel settore musicale e video, in quello dei capi di abbigliamento (dove sono presenti tutte la maggiori firme della moda mondiale), nel turismo, specialmente per quanto riguarda i viaggi aerei. Naturalmente molto elevate sono anche le vendite di prodotti informatici professionali e di intrattenimento. Il software, inoltre, è uno pochi dei beni che può essere non solo acquisito direttamente on-line, ma anche preso in prova prima di perfezionare l'acquisto.

Ma quali sono le reali dimensioni del fenomeno commercio elettronico, e le tendenze di sviluppo più attendibili? Nonostante le forti attese, per il momento il volume di affari sviluppato dal commercio elettronico (stimato in circa 95 miliardi di dollari nel 1999) ammonta ad una quota infinitesimale del commercio mondiale. E l'abitudine all'acquisto on-line si concentra soprattutto negli Stati Uniti. Ne ostacolano la diffusione diversi fattori. Prima di tutto ci sono resistenze culturali e di costume: specialmente in ambito europeo permane una forte attrazione verso lo shopping tradizionale, che diviene anche una occasione di impiego del tempo libero e di socializzazione (passeggiare tra le vetrine dei negozi sommersi dalle buste con gli acquisti effettuati è uno degli svaghi preferiti per moltissima gente).

Ma esiste anche un limite tecnico, che riguarda le modalità di pagamento on-line. Attualmente il sistema più usato è quello della carta di credito, come abbiamo visto. Sebbene la trasmissione via Internet del numero di una carta sia ormai abbastanza sicura (i rischi di frode per l'uso in rete sono infatti pari a quelli dell'uso "normale"), tra la gente rimane una netta diffidenza a rilasciare informazioni tanto preziose tra i meandri della rete, infestati da diversi "predoni". Inoltre per una spesa di poche migliaia di lire l'uso della carta di credito è antieconomico. Infatti ogni transazione con carta di credito ha un suo costo. Anche se questo costo è basso, su cifre molto piccole si fa sentire. Ad esempio, se volessimo acquistare - per cento lire - il diritto di consultare una singola pagina di giornale, l'uso della carta di credito finirebbe per costarci di più del bene che vogliamo acquistare.

Se i numeri attuali non sono esaltanti in termini assoluti, i tassi di sviluppo attuali e previsti fanno pensare a una crescita esponenziale per il prossimo futuro. Dal 1997 a 1998 si è registrato un incremento di acquirenti medio pari al 100 %; nello stesso anno le entrate sono salite del 72 %, mentre nel 99 la crescita è stata del 150 % nel 1999. Secondo varie stime, proseguendo con questi ritmi, il volume di affari nel il 2003 supererà la quota di 1200 miliardi di dollari (ma ci sono stime anche più ottimistiche). Molte attese sono riposte non tanto nello sviluppo del commercio al consumo (o come lo chiamano gli economisti business-to-consumer), quanto nelle transazioni commerciali tra aziende (il segmento business-to-business), che ovviamente non soffrono di ostacoli culturali, e soprattutto possono in questo modo ridurre i costi di vendita e soprattutto i tempi di approvvigionamento (per la ditta acquirente) e consegna (per la ditta fornitrice).

Quali che siano le reali dimensioni del commercio elettronico di qui ai prossimi anni, la sua espansione globale pone comunque numerose questioni di ordine legale e dunque politico. In primo luogo vanno sviluppati dei sistemi di controlli e restrizioni per alcune categorie di beni la cui vendita libera potrebbe avere effetti dannosi: ad esempio le armi, ampiamente disponibili già oggi su Internet; i farmaci; gli oggetti d'arte (che potrebbero provenire da attività illecite); per non parlare di tutti i prodotti illegali. In secondo luogo, occorre sviluppare un adeguato sistema di garanzie per i consumatori, onde evitare il rischio di truffe e raggiri. Ed infine va ripensato radicalmente il sistema fiscale, sia per quanto riguarda la tassazione diretta dei proventi (ad esempio: se io apro un negozio virtuale presso un provider di uno dei vari paradisi fiscali sparsi nel mondo, posso comodamente evadere le tasse senza per questo essere punibile agli effetti di legge) sia per la tassazione indiretta al consumo (se io acquisto un software prodotto a Taiwan presso in negozio virtuale americano e lo uso in Italia, a chi va la quota di IVA compresa nel prezzo?).

back


I servizi on-line e la pubblicità telematica

Il secondo asse di sviluppo dell'economia digitale è costituito dalla fornitura di servizi on-line. In questa categoria rientrano una serie di iniziative commerciali on-line che potremmo dividere in due classi.

  • siti Web specializzati che forniscono informazioni e servizi ad alto valore aggiunto ad una utenza professionale
  • grandi e medi siti Web che forniscono contenuti e servizi ad una utenza generica

Le iniziative del primo tipo traggono i loro profitti direttamente dalla vendita delle informazioni o dei servizi. Esse infatti si rivolgono ad una utenza che utilizza tali informazioni per motivi professionali, ha bisogno di un alto livello di garanzia sulla qualità ed efficienza del servizio, ed è per questo disposta a pagare cifre anche considerevoli. Rientrano in questo gruppo i siti di informazione finanziaria, con le quotazione delle borse e gli andamenti delle aziende, e gli archivi normativi e legislativi. Ma possiamo includervi anche le iniziative editoriali come quella realizzata dall'Enciclopedia Britannica, che vende l'accesso on-line alla versione digitale di suoi volumi; le agenzie di traduzione on-line; e naturalmente le tradizionali agenzie giornalistiche. Dal punto di vista dei pagamenti la formula più diffusa è l'abbonamento periodico. D'altra parte per il momento non esistono alternative valide. Infatti, come abbiamo già rilevato, i mezzi di pagamento on-line, basati su transazioni bancarie o carte di credito, hanno dei costi fissi che li rendono antieconomici nella vendita di beni o servizi con costi unitari molto bassi, come le singole informazioni di una banca dati.

Il secondo gruppo di iniziative che abbiamo individuato è costituito da una serie di siti, di varia natura, che si rivolgono ad una utenza generica, e che riescono ad avere un elevato numero di visitatori al giorno (fina a diverse decine di milioni). Tuttavia, questo tipo di navigatori (i quali, per inciso, in parte coincidono con i navigatori professionali che usano la rete al di fuori del contesto lavorativo) non sono propensi a pagare, almeno per ora, l'accesso a servizi e informazioni che in genere possono trovare gratuitamente sulla rete. La fonte dei profitti, dunque, in questo caso non è la vendita diretta dell'acceso, bensì la cessione di spazi pubblicitari, secondo un modello ereditato dall'esperienza televisiva.

L'enorme diffusione delle rete, infatti, ha creato un pubblico potenziale vastissimo e, date le caratteristiche sociologiche (gli utenti di Internet sono in prevalenza di estrazione sociale medio alta e con livelli di istruzione elevati), propenso al consumo. In questo contesto un sito che genera milioni di contatti al giorno rappresenta una ottima tribuna per affiggere una sorta di manifesto pubblicitario virtuale, che in gergo viene definito banner. Di norma si tratta di immagini pubblicitarie che, sfruttando le capacità ipertestuali del Web, fungono anche da collegamenti attivi ai siti dei marchi o delle aziende pubblicizzate.

Figura 6 - La home page di Lycos
Figura 6 - La home page di Lycos

Le caratteristiche della comunicazione pubblicitarie in rete, e le prospettive di sviluppo del suo mercato, hanno attirato una grande attenzione negli ultimi anni, suscitando numerosi dibattiti e stimolando pubblicazioni e ricerche di mercato. Il problema più controverso riguarda l'effettiva efficacia del messaggio pubblicitario, il reale ritorno in termini di immagine e di vendite, ed il conseguente prezzo degli spazi pubblicitari messi in vendita dai siti concessionari.

In generale tale valore, come per la televisione, viene calcolato in base al numero di visitatori che accedono a una certa pagina. Tuttavia calcolare effettivamente questo numero per le pagine Web è alquanto complesso. I sistemi di registrazione più comuni infatti si basano sul numero di richieste che un server Web riceve. Ma di norma una singola pagina Web è composta da tanti diversi file (file HTML, file grafici, eventuali plug-in o applet Java) che generano altrettante richieste al server. Dunque il numero di richieste è sempre maggiore del numero effettivo di visitatori. Ma anche ammesso che si tenga conto di questo particolare, il solo computo degli accessi non è in grado di dire quanto a lungo un utente si sofferma su una pagina, quali parti esamina, dove ripone la sua attenzione. Una pagina Web non ha lo stesso potere di seduzione, o se volete di coercizione, dell'immagine televisiva. Per questa ragione sono stati proposti altri sistemi di calcolo dell'efficacia e dunque del costo di un messaggio pubblicitario on-line. Un indicatore molto utile, ad esempio, è il cosiddetto click-trough, cioè il calcolo del numero di utenti che "cliccano" sul banner per raggiungere il sito pubblicizzato.

Non seguiremo oltre gli esperti di marketing e pubblicità virtuale per i meandri delle loro elucubrazioni. In effetti, ci pare, queste discussioni, ancorché stimolate da materialissimi interessi, denotano un certa attitudine conservatrice rispetto alle potenzialità di un medium innovativo come la rete. La pubblicità sulla rete, infatti, piuttosto che riprodurre i medesimi meccanismi di quella televisiva, dovrebbe sfruttare meglio le potenzialità, in termini di approfondimento del messaggio, di interattività, di personalizzazione che essa consente. E d'altra parte gli utenti di Internet, anche i meno esperti e smaliziati, si rivolgono alla rete proprio per queste sue caratteristiche. Proporre loro una semplice versione digitale delle affissioni stradali, collegate a piatte brochure promozionali con su scritto "siamo i migliori", o a un classico volantino pubblicitario, serve a poco. La promozione sul Web, oltre ad essere presentata in modo graficamente accattivante, deve essere anche o soprattutto informazione. Informazione completa e dettagliata, articolata in modo da facilitare la navigazione al suo interno, e in grado di fornire al potenziale compratore tutti i dati che possono essergli utili ad effettuare una scelta ragionata.

Ma quali sono i siti più gettonati, e dunque più pagati dal mercato pubblicitario? Tra i grandi siti "concentratori" di utenti, dominano il mercato i siti che forniscono strumenti di ricerca delle informazioni. La grande varietà di informazioni disponibili su World Wide Web, e la conseguente difficoltà nel reperimento dell'informazione desiderata, attira sui vari motori di ricerca e cataloghi sistematici on-line milioni di contatti al giorno. Grazie a questo enorme successo di pubblico, alcuni dei più noti motori di ricerca (come Yahoo Esci da MediaMente, Lycos Esci da MediaMente, Infoseek Esci da MediaMente ed Excite Esci da MediaMente) si sono rivelati delle vere e proprie miniere d'oro.

Molto frequentati sono anche i siti realizzati dai vari provider, che si assicurano i contatti quotidiani di buona parte dei loro utenti, e le cosiddette "comunità virtuali". Sono questi ultimi siti che offrono agli utenti forum di discussione e spazi gratuiti per la creazioni di pagine Web personali: tra i più noti ricordiamo la storica The Well (http://www.thewell.com Esci da MediaMente), e Geocities (http://www.geocities.com Esci da MediaMente). Ci sono poi una serie di siti informativi specializzati in particolari ambiti tematici, che si rivolgono pertanto ad un'utenza più circoscritta ma proprio per questo più selezionata e fedele. Questo garantisce, almeno in teoria, una maggiore efficacia dei messaggi promozionali, che si rivolgono ad un pubblico presumibilmente più recettivo.

Figura 7 - La home page di Geocities
Figura 7 - La home page di Geocities

Un discorso a parte va fatto per i siti informativi generali. Superata una prima fase di diffidenza, la maggior parte delle testate giornalistiche e televisive internazionali hanno iniziato ad investire sulla rete, creando siti Web in cui riversare del tutto o in parte i contenuti dei loro giornali e notiziari. In alcuni casi sono stati fatti dei veri e propri giornali on-line, diversi dalle versioni originali, ma proprio per questo decisamente interessanti. Non possiamo nemmeno pensare di far un elenco di tali siti in questa sede. Ma non mancheremo di ricordare che tra essi spiccano per qualità e livello di sperimentazione anche alcune testate italiane. In una prima fase l'obiettivo degli editori è stato la vendita diretta del giornale on-line. Tuttavia ben presto ci si è resi conto che presso gli utenti l'idea di pagare le informazioni in un mondo in cui lo scambio gratuito è ancora prevalente non è particolarmente apprezzata. Dopo alcuni tentavi di varie testate, ed alcuni grandi fallimenti finanziari, anche molti siti giornalistici si sono rivolti al meccanismo della rendita pubblicitaria. Naturalmente non è detto che il futuro non possa portare una progressiva mutazione delle attitudini del popolo di Internet. Ma affinché questo avvenga sarà necessario lo sviluppo di forme di pagamento che rendano conveniente acquistare un quotidiano, o persino un singolo articolo di un quotidiano direttamente on-line.

Figura 8 - Hotwired, una nota rivista on-line
Figura 8 - Hotwired, una nota rivista on-line

La forte concorrenza nell'accaparrarsi le risorse del mercato pubblicitario, ed il tentativo di aumentare a un tempo sia il numero sia la fedeltà degli utenti (e di conseguenza il valore degli spazi pubblicitari), ha portato recentemente alla elaborazione di una nuova forma di sito concentratore: il portal. Nel concetto di portal convergono l'idea di motore di ricerca, di comunità virtuale, di sito informativo specializzato o generale, di negozio virtuale. Offrendo all'interno di in un unico sito tutti i servizi che generalmente devono essere rintracciati in molti siti sparsi sulla rete, e rivestendo il tutto con una interfaccia semplice ed accattivante, si tenta di catturare l'utente, e di concentrare la maggior parte del tempo di stazionamento on-line dentro i confini del portal. Si tratta insomma di una sorta di fusione tra la logica interattiva delle rete e quella centralizzata del broadcasting televisivo.

Ad incentivare ulteriormente gli utenti ad utilizzare un portal come punto di partenza fisso delle loro navigazioni sulla rete (e possibilmente anche di arrivo), i vari gestori stanno iniziando a fornire anche una serie di servizi avanzati, come la posta elettronica basata sul Web, e persino l'accesso ad operazioni sui conti bancari ed il pagamento delle bollette.

Quella dei portal è attualmente l'arena in cui si stanno combattendo le più grandi battaglie tra i protagonisti dell'economia digitale. Motori di ricerca, importanti siti giornalistici, grandi provider e giganti del software si sono affrettati ad investire miliardi di dollari in questo settore, promuovendo accordi e fusioni. Resta da vedere se gli utenti della rete saranno disposti ad abbandonare la navigazione di altro mare per accontentarsi di fare gite in canotto dentro riparate baie virtuali!

back

Una moneta elettronica

Quando abbiamo analizzato le cause che limitano la diffusione di massa del commercio elettronico, abbiamo menzionato il problema dei mezzi di pagamento. Un problema, abbiamo visto, che ostacola anche la vendita di servizi ed informazioni on-line. Va detto che, dal punto di vista della sicurezza, gli ostacoli sono dovuti più alla diffidenza dei consumatori a rilasciare sulla rete il numero della propria carta di credito, che a vere proprie cause tecniche. Infatti, la riservatezza delle transazioni elettroniche mediante carta di credito è oggi quasi assoluta, grazie allo sviluppo di protocolli di comunicazione sicuri, basati su complicatissimi sistemi di cifratura dei dati.

Il vero problema è che la carta di credito, almeno nella situazione attuale, non è lo strumento ideale per ogni tipo di acquisto. In primo luogo, come si è già accennato, ogni transazione attraverso carta di credito ha un certo costo. Questo costo è abbastanza basso da poter essere trascurato quando la spesa è di una certa entità. Ma nel caso di "micro-acquisti" che hanno prezzi unitari molto bassi (ad esempio una pagina di un giornale on-line, o le quotazioni di borsa di una data azienda), la situazione cambia radicalmente. In secondo luogo, ogni acquisto con carta di credito viene esplicitamente registrato ed archiviato, come ogni utilizzo di carte bancomat. Un uso estensivo della carta di credito, e di ogni tipo di carta basata sulla registrazione delle transazioni, potrebbe portare alla creazione di banche dati in cui sono memorizzati, sub specie di acquisti e spese sostenute, i gusti, i desideri le abitudini, gli orientamenti culturali, ideologici e sessuali di ogni cittadino consumatore. Vi renderete conto di quale rischio ciò possa costituire per la privacy.

Per ovviare a tutti questi problemi è stata proposta da più parti l'adozione di una vera e propria moneta elettronica. Al pari di una moneta reale, essa sarebbe divisa in vari tagli e soprattutto sarebbe del tutto anonima: se guardate mille lire (o tra qualche tempo un euro) non ci troverete scritto chi le ha possedute. Naturalmente le monete elettroniche, invece che di metallo o di carta filigranata, consisterebbero di codici numerici, gestiti mediante software capaci di offrire tutte le garanzie di sicurezza del caso.

Diverse tecnologie sono state proposte in questo campo. Alcune sono orientate ad un utilizzo esclusivo sulla rete. Un esempio è la E-cash, una forma di moneta elettronica ideata dall'olandese David Chaum. Il funzionamento è semplice: per utilizzare E-cash, è necessario aprire un conto presso una delle banche autorizzate a coniare questa particolare 'moneta' elettronica. Ovviamente il versamento iniziale andrà fatto in un una valuta reale, attraverso assegni, bonifici, contanti, o carta di credito.

Una volta aperto un conto è possibile ritirare presso la banca emittente, o altri siti autorizzati, una sorta di portafogli elettronico, ovvero un programma capace di gestire i codici numerici che corrispondono alle nostre monete, opportunamente "caricato". Una complessa procedura di cifratura dei dati garantisce l'autenticità e l'unicità di ogni singolo "codice moneta", e al contempo rende impossibile risalire al suo proprietario (a meno che egli non lo voglia). Essa ha una funzione per certi versi simile a quella della filigrana delle banconote: senza possederne la chiave, è impossibile contraffarla.

A questo punto è possibile collegarsi a siti convenzionati e fare acquisti. Quando si effettua una transazione il nostro programma borsellino comunica con quello del venditore, e trasferisce i codici per un ammontare pari al prezzo da pagare. Naturalmente, oltre a spendere possiamo anche incassare, ricevendo moneta E-cash da altri utenti privati. Chi è in possesso di monete virtuali, ad esempio il venditore on-line, quando vuole può rivolgersi alla banca, e convertirle in valuta reale. In tal modo, molte piccole transazioni vengono ridotte, dal punto di vista della gestione di valuta 'reale', a poche grandi transazioni: il nostro versamento iniziale, che sarà presumibilmente di una certa entità (lo stesso varrà per quelli successivi eventualmente necessari per mantenere 'coperto' il conto), e le periodiche compensazioni fra le banche e i venditori, che riguarderanno cifre più alte.

Altri sistemi di moneta elettronica, pur adottando una architettura simile a questa, prevedono anche la possibilità di trasferire delle cifre di denaro su apposite smart-card, carte cioè dotate di microchip che possono registrare dati e programmi. In questo modo potremo usare il contante digitale anche nei negozi reali per acquistare il latte, il caffè o il giornale. Secondo gli ottimisti, entro pochi anni la moneta digitale sostituirà completamente il denaro contante, anche nei pagamenti reali. Per ora, tuttavia, la moneta elettronica ha trovato applicazioni solo nel corso di sperimentazioni, o nell'ambito di contesti chiusi come alcuni college universitari americani o il villaggio olimpico di Atlanta durante le olimpiadi del 1996.

Infatti, al di là delle problematiche tecniche, la moneta elettronica solleva moltissimi problemi di ordine legislativo, economico, finanziario, fiscale e politico che ne complicano la reale applicazione. In primo luogo, il diritto di battere moneta e di controllare la massa monetaria circolante è una delle prerogative che, per definizione, spettano agli Stati, i quali lo esercitano in genere attraverso le banche centrali. È proprio l'autorità e le credibilità dello Stato che garantisce sul valore delle banconote circolanti, da quando la convertibilità in oro è stata del tutto abbandonata.

Che cosa avviene nel momento in cui un soggetto privato è in grado di battere moneta, ancorché elettronica? La moneta elettronica costituisce o no una forma di valuta? In caso positivo è evidente che uno dei fondamenti della sovranità statale moderna viene meno. Si badi, non è detto che questo sia un problema in assoluto. Basti pensare che negli Stati Uniti il monopolio sulla zecca è stato stabilito solo nella seconda metà del secolo scorso, e che prima di allora ogni banca aveva la possibilità di emettere banconote. Ma furono proprio i problemi di instabilità del valore delle varie monete e di insolvenza delle piccole banche periferiche determinati da questa forma estrema di liberismo a convincere il governo federale che fosse necessaria una centralizzazione.

Se oggi si ripetesse l'esperimento su scala mondiale, quali conseguenze si avrebbero sulla stabilità dei cambi? Come controllare la circolazione, e soprattutto i trasferimenti attraverso i confini nazionali (resi così facili dal carattere 'deterritorializzato' di Internet) di monete elettroniche che non lasciano tracce del loro spostamento, a differenza delle transazioni attuali? Una moneta elettronica anonima e pienamente convertibile potrebbe essere uno strumento ideale per il riciclaggio del 'denaro sporco', e permetterebbe a chiunque di sottrarsi al fisco. Infatti, basterebbe insediare una azienda in uno dei tanti paradisi fiscali e utilizzare come mezzo di pagamento una moneta elettronica coniata da una banca off shore (una banca cioè, abilitata ad effettuare operazioni in qualsiasi valuta) per eludere legalmente qualsiasi forma di imposizione fiscale. Inoltre, prima di basare la circolazione economica su una o più valute elettroniche, bisognerà avere una sicurezza quasi assoluta circa la effettiva solidità degli algoritmi di cifratura e la sicurezza delle procedure di trasferimento usate. D'altra parte, se per evitare i rischi determinati da una valuta anonima si accettasse una qualche forma di controllo sulle transazioni, i rischi di invasione della privacy sarebbero enormi. Nessuno stato totalitario mai esistito finora ha mai avuto un controllo così profondo e dettagliato sulla vita dei suoi cittadini.

Come abbiamo visto, dunque, la moneta elettronica solleva problemi di estrema complessità. Si tratta però di temi fondamentali per lo sviluppo di Internet come strumento per transazioni commerciali, e attorno ai quali si muovono interessi enormi, economici ma anche politici e strategici. Un campo che nei prossimi anni dovrà essere seguito da ognuno di noi non solo per curiosità o per interesse specifico, ma anche perché su di esso si giocheranno partite decisive per la forma della nostra economia, e quindi anche per lo sviluppo della nostra società.

back

I mercati finanziari e Internet

I beni, materiali o immateriali che siano, non sono l'unica cosa che può essere scambiata attraverso una rete telematica. A ben vedere, la compravendita di azioni e di valuta è, tra tutte le attività economiche, quella che si presta in modo "naturale" alla digitalizzazione. Se ci riflettiamo infatti, nelle transazioni finanziarie ad essere scambiati non sono oggetti fisici, ma informazioni: informazioni circa il possesso di valuta, titoli azionari ed obbligazioni. E da tempo, ormai, le grandi banche regolano i loro rapporti economici attraverso lo scambio di scritture contabili anziché di valuta reale. È dunque naturale che l'uso della telematica in questo settore risulti conveniente ed efficiente.

In effetti, già da alcuni anni le maggiori borse valori del mondo hanno compiuto il "salto nel ciberspazio", consegnando l'immagine degli agenti che si affollano lanciando "grida" per vendere e comperare azioni alla memoria del passato (vedi filmato). Ormai la maggior parte del valore che quotidianamente si scambia in queste borse transita tra i titoli dei listini telematici, a cui si accede a distanza mediante terminali e computer. Tuttavia le reti telematiche delle borse sono reti private e specializzate, a cui hanno accesso soltanto gli operatori professionisti, i cosiddetti broker, le società di intermediazione finanziaria e i gestori dei fondi di investimento. Fino a poco tempo fa, dunque, l'investitore privato doveva rivolgersi agli intermediari per effettuare le sue operazioni, piccole o grandi che fossero. Ma anche in questo settore Internet ha portato dei profondi cambiamenti.

Negli ultimi due anni, infatti, sulla rete sono comparsi diversi siti che offrono servizi di acquisto, gestione e vendita on-line di azioni e partecipazioni finanziarie direttamente agli utenti finali. Questi servizi permettono a chiunque di operare in qualsiasi borsa del mondo. Infatti l'acquisto e la vendita di azioni sono estremamente semplici, ed al navigatore investitore vengono fornite tutte le informazioni necessarie ad orientarsi in mercati poco conosciuti. Ma soprattutto, a causa della vera e propria guerra ingaggiata da questi siti per aggiudicarsi il maggior numero di utenti, i costi di gestione e le soglie minime di investimento sono veramente minime: con cinquanta dollari si può diventare finanzieri internazionali.

Figura 9 - E*trade, uno dei più noti siti di compravendita azioni on-line
Figura 9 - E*trade, uno dei più noti siti di compravendita azioni on-line

In pochissimo tempo questi servizi hanno avuta una crescita enorme, e oggi una parte non piccola (ma di fatto difficilmente calcolabile) delle transazioni di borsa passa attraverso Internet. Si calcolano una media di 440 mila transazioni al giorno, con un popolo di investitori on-line che si aggira intorno ai cinque milioni di persone. Si prevede che alla fine del '99 toccherà i dieci milioni, per arrivare nel 2001 a 12.7 milioni

Gli effetti di questa rivoluzione cominciano già a farsi vedere, anche se per il momento solo come tendenze. In una situazione in cui gli investimenti possono essere condotti da chiunque, da casa, a costi estremamente bassi, e la possibilità di seguire l'andamento dei titoli è garantita in tempo reale dalla rete, il mercato finanziario è destinato a subire grandi cambiamenti. In primo luogo la velocità e soprattutto la durata degli investimenti e dei disinvestimenti è destinata a ridursi drasticamente. Chiunque è in grado di sfruttare le fluttuazioni di mercato comprando ad esempio azioni IBM per venti minuti, per poi rivenderle e investire magari in azioni Coca Cola. In secondo luogo, poiché l'ammontare dei singoli investimenti può essere assai basso, aumenta la tendenza al rischio dei piccoli investitori, che cifre ben più consistenti scoraggerebbero. In terzo luogo la globalizzazione dei mercati finanziari si estende anche a livello dei singoli investitori: come si è accennato, è possibile investire indifferentemente, a costi analoghi e seguendo le stesse procedure, sulla borsa di New York come su quella di Tokyo, a Milano come a Francoforte. Ed infine la grande massa di piccoli investitori che entra nel mercato senza la mediazione dei broker professionisti o delle società di intermediazione, introduce nei mercati una variabile sconosciuta ed incontrollabile. Si parla comunemente di "gioco di borsa": ebbene, i punti di contatto fra investimenti finanziari di questo tipo e un vero e proprio gioco d'azzardo sono effettivamente notevoli.

Ci si può facilmente rendere conto che questi cambiamenti potranno determinare notevoli problemi di stabilità dei mercati, la cui soluzione sarà assai difficile. Già oggi, in un mercato internazionale dominato da pochi ed esperti grandi investitori, si sono verificati più volte improvvisi crolli di borse e valute, che in breve tempo si ripercuotono, con un cosiddetto "effetto domino", su tutti mercati finanziari, senza che nessuno sia in grado di arginarne gli effetti. Ci si può immaginare che cosa può accedere in un mercato in cui opera una massa di piccoli investitori il cui comportamento (influenzato da singoli avvenimenti, voci, mode del momento...) sarà non solo incontrollabile ma anche imprevedibile. Le grandi istituzioni nazionali ed internazionali che tradizionalmente hanno assunto il ruolo di gestire ed equilibrare i mercati sono dunque chiamate ad un importante opera di regolamentazione, per evitare che l'economia mondiale, e con essa il destino di milioni di uomini e donne, sia appesa all'andamento di un gigantesco casinò.

back


Nuovi media e comunicazione politica

VC blocco 3 'Politica e nuove tecnologie'Se il rapporto tra le nuove tecnologie e l'economia ci propone molti interessanti temi di riflessione, quello con la politica non è meno importante. Uno dei fondamenti di uno Stato democratico infatti è la comunicazione. Comunicazione tra istituzioni ed associazioni politiche e cittadini, comunicazione delle varie istituzioni tra loro.

Affinché una democrazia funzioni, infatti, è vitale che la sfera delle istituzioni politiche non sia percepita dai cittadini come un corpo separato, dai comportamenti incomprensibili e imprevedibili. Non a caso i Romani chiamavano lo Stato res publica, cosa che appartiene al popolo. Con lo Stato deve essere possibile comunicare e interagire attraverso strumenti efficaci e accessibili a tutti. E lo stesso vale per quanto riguarda i rapporti tra i cittadini e le associazioni mediatrici della rappresentanza, che negli Stati democratici assumono la forma di partiti. Solo una comunicazione trasparente, infatti, garantisce la possibilità di scegliere i propri rappresentanti in maniera consapevole e informata, di controllarne e indirizzarne l'attività, e, più in generale, di esercitare liberamente e responsabilmente i propri diritti di partecipazione alla formazione della volontà generale.

Altrettanto importante ai fini del buon andamento di una democrazia è l'efficienza con cui i vari corpi ed istituti dello stato si scambiano informazioni e direttive, specialmente in una società complessa e sempre più difficilmente governabile come la nostra.

Dati questi assunti generali, è facile capire come le tecnologie della comunicazione possano svolgere un ruolo essenziale nelle moderne società democratiche. E d'altra parte, ci si rende conto di come le intrinseche caratteristiche comunicative di un determinato medium possano influire sui meccanismi stessi della vita democratica.

Esemplare a questo riguardo è il dibattito che si è scatenato intorno al rapporto tra politica e televisione. A partire dalla metà del nostro secolo essa ha assunto un ruolo sempre più importante nella comunicazione politica. Oggi la televisione costituisce senza dubbio il medium più influente in questo settore, avendo scalzato da tale ruolo sia la stampa (che sin dal settecento aveva contribuito notevolmente alla costituzione della "opinione pubblica" e dunque alla formazione di una coscienza politica diffusa), sia, soprattutto, la comunicazione interpersonale nei luoghi intermedi della partecipazione politica (come le sezioni di partito, le assemblee nei posti di lavoro, i comizi).

Come sappiamo (vedi dispense sei e sette), la televisione si basa su un modello comunicativo verticale ed unidirezionale, e i suoi messaggi sono dotati di una notevole capacità persuasiva. Ne consegue che la comunicazione politica mediata dalla televisione limita la facoltà di controllare e criticare i messaggi e soprattutto non consente la partecipazione dei cittadini al discorso politico. Non a caso sono molti a lamentare i possibili effetti antidemocratici di una completa "virtualizzazione televisiva" della comunicazione politica. D'altra parte occorre rilevare come un uso corretto e trasparente della televisione potrebbe rappresentare un importante fattore di trasparenza, e di fatto questo avviene, seppure in modo saltuario.

Se la televisione rappresenta ad oggi il medium più utilizzato nella comunicazione politica, con tutti i rischi che ne derivano, Internet potrebbe rappresentare l'alternativa del prossimo futuro. La natura reticolare ed interattiva della comunicazione in rete, infatti, potrebbe ricostruire il tessuto della comunicazione dialettica, che è alla base di un corretto funzionamento della politica. Con questo intendiamo dire che la rete da una parte si presta a fornire nelle mani delle istituzioni e delle associazioni politiche un formidabile strumento per veicolare informazioni verso i cittadini; ma dall'altra permette la riattivazione del processo inverso, ovvero la partecipazione attiva dei cittadini al dibattito politico ed alla formazione degli indirizzi e degli orientamenti politici sia nelle istituzioni che nei partiti. Strumenti come i gruppi di discussione e le comunità virtuali sul Web possono diventare i nuovi luoghi della partecipazione, in cui cittadini manifestano le loro opinione e contribuiscono alla determinazione della volontà generale, pur con i limiti ei problemi di cui parleremo tra breve.

Bisogna dire che, se le speranze e le aspettative suscitate da Internet sono molto ambiziose, la realtà attuale della politica in rete è un po' meno brillante. E questo non tanto dal punto di vista quantitativo: dopo una prima fase di diffidenza, infatti, le istituzioni e le associazioni politiche di molti paesi occidentali sembrano avere percepito le possibilità innovative offerte dalla comunicazione telematica. Ma piuttosto da quello qualitativo: da una analisi dei siti politici realizzati finora, infatti, emerge la persistenza di un modello di comunicazione verticale ed unidirezionale, che nei siti istituzionali si affianca ad una limitata utilizzazione delle potenzialità della rete per fornire servizi effettivi ai cittadini.

Ci accorgiamo insomma, che la "comunicazione zoppa" che caratterizza la politica contemporanea sembra essere in qualche modo connaturata al sistema politico in sé ed ai suoi attuali protagonisti, piuttosto che alle caratteristiche dei media con cui viene effettuata. E che un cambiamento di questo stato di cose, oltre che di nuovi e più interattivi strumenti di comunicazione (che oggi esistono), ha bisogno di un cambiamento di cultura politica.

back

Verso la democrazia virtuale?

La disponibilità di tecnologie capaci di collegare in tempo reale il cittadino con le varie strutture politiche, sebbene usate in modo parziale, rappresenta sicuramente un grande passo avanti, se non altro nella trasparenza della comunicazione politica.

Ma il dibattito sul rapporto tra nuove tecnologie e politica non si è fermato a questo punto. Se è vero che le tecnologie sono un agente di trasformazione radicale degli assetti sociali, allora, sostengono in molti, dobbiamo aspettarci grandi trasformazioni nella forma stessa della democrazia. Ma quale tipo di democrazia sarà questa democrazia virtuale ventura? E non c'è piuttosto il rischio che la democrazia virtuale si riveli una pericolosa illusione che nasconde un nuovo e tecnologico totalitarismo?

Il paradigma che sta alla base di tutte le discussioni sulla democrazia virtuale prende le mosse dalla classica opposizione tra il modello della democrazia rappresentativa e quello della democrazia diretta, formulata con grande chiarezza da Jean Jacques Rousseau, e da allora tornata più volte nella teoria politica occidentale.

In una democrazia rappresentativa i cittadini eleggono periodicamente dei rappresentati, che esercitano il potere per loro conto, attraverso le istituzioni del parlamento e del governo, senza alcun vincolo di mandato. Se i cittadini non sono soddisfatti del loro operato, possono decidere di cambiarli alla successiva elezione, ma non hanno un limitato potere effettivo di incidere sulle loro scelte, e non hanno il potere di revocare il mandato. In compenso, il luogo della rappresentanza diventa anche il luogo della mediazione politica, grazie alla quale esigenze ed interessi diversi (e possibilmente particolaristici o corporativi) vengono (almeno in teoria) armonizzati alla luce dell'interesse generale.

La democrazia diretta, invece, si basa sulla partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni collettive: è infatti l'assemblea del popolo che esercita il potere. In casi eccezionali o per motivi di efficienza, la democrazia diretta prevede l'elezione di rappresentanti, che però agiscono con un vincolo di mandato e sono revocabili in qualsiasi momento. Il più noto esempio storico di democrazia diretta istituzionalizzata che conosciamo è quella della antica Atene, dove i cittadini si riunivano periodicamente nella agorà, la piazza, e decidevano le leggi. Ma alcuni brevi esperienze sono state realizzate anche in epoca moderna, ad esempio nella Comune di Parigi e nei primi mesi della Rivoluzione di Ottobre.

Una democrazia diretta come quella ateniese è ovviamente impraticabile nei grandi stati nazionali che la storia ci ha consegnato, per evidenti motivi logistici ed organizzativi. In effetti, tutte le moderne democrazie si basano sul modello rappresentativo. Ebbene, i fautori della democrazia virtuale sostengono che gli strumenti telematici permetterebbero finalmente di realizzare una vera democrazia diretta anche su vasta scala. Essi immaginano un regime di formazione della volontà generale fortemente partecipativo, nel quale ogni decisione politica dovrebbe essere sottoposta ad una consultazione referendaria, da svolgersi mediante terminali telematici. La democrazia virtuale prefigura dunque una situazione di "referendum permanente".

Al facile ottimismo che in varia forma si manifesta nelle affermazioni dei teorici della democrazia elettronica, si oppone una fitta schiera di critici le cui argomentazioni non sono prive di rilievo. Infatti la democrazia diretta telematica, facendo a meno degli istituti della mediazione e della rappresentanza politica, potrebbe dare luogo ad un rapporto diretto tra governante e governato. La partecipazione popolare si ridurrebbe così ad una sorta di sondaggio elettronico. Se poi si pensa alla grande influenza che mezzi di comunicazione hanno nella determinazione della opinione pubblica, ci rendiamo conto che la destabilizzazione dell'equilibrio tra forme e istituzioni della politica può generare gravi distorsioni della stessa democrazia, indirizzandola verso forme pericolose di "tecno-populismo". Dalla democrazia diretta si passerebbe alla democrazia plebiscitaria, che è l'anticamera della tirannide (come d'altronde gli stessi Platone ed Aristotele avevano a loro tempo rilevato).

back

Il grande fratello: la società della sorveglianza

Un aspetto dell'impatto politico-sociale delle tecnologie informatiche strettamente connesso con le discussioni sulla democrazia cui abbiamo accennato nel paragrafo precedente è il problema della "sorveglianza elettronica" e della privacy. Come si è già accennato, con la crescente informatizzazione delle transazioni economiche e burocratiche, nella nostra vita quotidiana lasciamo, spesso senza rendercene conto, una serie di tracce digitali: dalla richiesta di un documento o di un certificato, agli acquisti con carta di credito o bancomat, dal prestito di un libro in una biblioteca alla telefonata con il cellulare, dalla corrispondenza mediante posta elettronica alle navigazioni su World Wide Web, ormai la maggior parte delle nostre attività, dei nostri spostamenti, dei nostri rapporti pubblici e (in parte) privati vengono registrati ed archiviati in grandi database. Senza contare i dati personali che le varie istituzioni raccolgono, le informazioni sul nostro conto in banca, i sondaggi o i questionari a cui veniamo consapevolmente o inconsapevolmente sottoposti. Queste tracce digitali parlano della vita, dei gusti, delle abitudini e delle convinzioni di ciascuno di noi.

Naturalmente, molte di queste registrazioni non sono un portato diretto della società dell'informazione. Sin dalle loro origini gli stati moderni si sono basati sul controllo burocratico dei cittadini. Ma con l'informatizzazione sia la quantità sia, soprattutto, la qualità di questo controllo ha subito una evoluzione sorprendente. E ciò che più conta, gli archivi elettronici, a differenza dei vecchi schedari, sono consultabili in modo estremamente rapido e i loro risultati possono essere incrociati in modo rapido ed efficiente. Grazie alla interconnessione dei vari sistemi digitali, insomma, queste registrazioni possono essere raccolte ed utilizzate dal potere politico, nelle sue varie articolazioni, come strumento di sorveglianza e, all'occorrenza, di repressione. Secondo molti sociologi e politologi, questa situazione ricorda molto da vicino la società totalitaria descritta in 1984, il famoso romanzo di George Orwell, dove il Grande Fratello era in grado di sorvegliare e punire - per dirla con il titolo di un libro di Michel Foucault dedicato alla repressione nelle società moderne - tutti i cittadini, ridotti a una massa di inconsapevoli schiavi.

Se i timori per le tendenze neoautoritarie nelle moderne società tecnologiche possono essere frutto di eccessiva preoccupazione, o di un atteggiamento pregiudizialmente anti-tecnologico, non si può certamente negare che il problema esista. Non a caso questo, ed il connesso tema della privacy, è uno dei temi principali nel dibattito politico sulla società dell'informazione. Sono infatti moltissime le organizzazioni indipendenti che si battono per il rispetto della riservatezza dei dati personali, e che promuovono l'adozione di tecniche di protezione del cittadino nei confronti degli apparati di sorveglianza. Un caso esemplare è la questione dei programmi di cifratura, quei programmi cioè che permettono di crittografare i dati inviati su una rete (ad esempio i messaggi di posta elettrica) in modo tale che nessuno possa accedervi se non i legittimi destinatari. Alcuni di questi programmi sono così efficienti da essere praticamente inviolabili. Ma se questi sistemi garantiscono la privacy di ogni cittadino, è anche vero che rendono impossibile il controllo di eventuali attività criminali, di sabotaggio o di spionaggio svolte con la mediazione di sistemi telematici. Sulla base di queste argomentazioni si è svolta una famosa battaglia legale negli Stati Uniti che ha visto contrapposti il governo federale e Philip Zimmerman.

Zimmermann, dopo aver sviluppato uno dei programmi crittografici più potenti, il celeberrimo Pretty Good Privacy (PGP), lo distribuì gratuitamente su Internet. Per questo fu citato dal governo per esportazione di materiale militare. Il lungo procedimento legale che ne è scaturito si è trasformato in una battaglia che ha visto opposti le associazioni di difesa della privacy, schierate accanto a Zimmermann, ed il governo, e si è risolto in uno scacco per quest'ultimo: da un lato, i tribunali hanno finito per assolvere Zimmermann (le cui ingenti spese di difesa sono state coperte da una sottoscrizione che ha coinvolto migliaia di utenti della rete); dall'altro, l'ingiunzione a rendere disponibile attraverso Internet solo versioni di PGP fornite di una cosiddetta backdoor - basate cioè su un algoritmo di cifratura del quale le istituzioni di sicurezza possedessero una delle chiavi - è stata vanificata dal fatto che le versioni depotenziate di PGP immesse in rete in America sono state largamente ignorate dagli utenti, ai quali bastava collegarsi ad un sito europeo per scaricare una versione del programma "a prova di FBI".

Ma il problema di una "società della sorveglianza" non è legato solo al rischio di un forte controllo politico e sociale da parte dello stato neototalitario. Gli uffici marketing delle imprese, i responsabili dei sondaggi per conto dei partiti politici, gli uffici del personale delle aziende possono infatti acquisire le informazioni personali sparse nelle reti telematiche e nei vari archivi elettronici pubblici e privati, per usarle al fine di confezionare offerte commerciali, di influenzare il nostro voto, o di controllare se le nostre preferenze sessuali sono compatibili col decoro dell'azienda. E purtroppo, questo avviene oggi con fastidiosa regolarità. Insomma, quello spazio di libertà individuale che gli ordinamenti giuridici occidentali moderni riconoscono come diritto inviolabile della persona, potrebbe essere messo in questione non tanto da un grande fratello, quanto da una serie di "piccoli fratelli". Per evitare questa pericolosa tendenza è necessario da una parte la promozione di adeguate normative a tutela della privacy e la costituzione di autorità di controllo efficienti (come sta avvenendo in molti paesi occidentali); dall'altra una informazione completa e particolareggiate di tutti i cittadini e uno stimolo ad esercitare il diritto alla riservatezza ed al controllo democratico delle istituzioni di sorveglianza.

back


Il problema dell'accesso

VC blocco 4 'Il problema dell'accesso'Un ultimo tema critico legato al rapporto tra tecnologia società e politica è il cosiddetto "problema dell'accesso". Per garantire a tutti una adeguata partecipazione alla vita sociale e politica, e pari opportunità di sviluppo individuale, è fondamentale assicurarsi che ogni cittadino sia in grado di avere accesso ai nuovi strumenti della comunicazione.

Al conseguimento di questo obiettivo concorrono tre fattori: garantire a chiunque, indipendentemente dalle diseguaglianze economiche, la disponibilità materiale dei nuovi strumenti di comunicazione; evitare che la mancanza di conoscenza impedisca ad interi gruppi sociali di capire ed utilizzare i nuovi strumenti; adoperarsi affinché ogni cittadino desideri utilizzare tali strumenti, o evitare che risulti penalizzato se, per motivi culturali o generazionali, ciò non avviene.

Questo risultato non è affatto scontato. Anzi, tutte le statistiche mettono in evidenza una forte sperequazione nella disponibilità materiale nella conoscenza delle nuove tecnologie, che si riscontra sia tra i vari gruppi sociali all'interno delle società avanzate, sia (soprattutto) tra queste e i paesi del terzo o quarto mondo. Si tratta di una sperequazione che ricalca abbastanza da vicino quella socioeconomica, anche se la differenza generazionale gioca un ruolo non indifferente in questo contesto. E le tendenze per gli anni a venire fanno temere una acutizzazione della distanza tra gli have e gli have not, come vengono definiti i due segmenti dai sociologi statunitensi. In queste condizioni, si profila il forte rischio che l'attesa "agorà telematica" richiami fin troppo da vicino quella ateniese, la quale notoriamente si sorreggeva sullo sfruttamento e la schiavitù di gran parte della popolazione cui veniva negato lo status di cittadini.

Come avviene sempre di fronte ai grandi problemi sociali, due possibili soluzioni sono state proposte per cercare di porre un rimedio a queste profonde diseguaglianze materiali e cognitive. Da una parte ci sono i "tecnoliberisti", i quali sostengono che l'azione del libero mercato, coniugata con la intrinseca capacità di penetrazione delle nuove tecnologie, saranno in grado di risolvere in pochi anni ogni differenza e di mettere tutti sulla stesso piano. Anzi, sostengono ancora, saranno proprio gli attuali have not ad essere avvantaggiati dalle nuove tecnologie.

Alla tesi tecnoliberista si oppone una visione più interventista, che - memore del ruolo assunto in passato nella garanzia dell'accesso universale ai servizi di base come la telefonia e l'elettricità - ritiene necessario un coinvolgimento più o meno diretto dello Stato anche nel settore delle nuove tecnologie. In realtà le visioni circa l'entità e la natura di tale intervento non sono uniformi: c'è chi, andando controcorrente rispetto alle attuali dominanti del pensiero economico e politico, invoca un impegno diretto dello Stato mediante una politica di investimenti pubblici; altri invece preferiscono limitare la funzione pubblica ad un ruolo di indirizzo normativo e di supporto agli investimenti privati.

È difficile, e peraltro non è nostro compito, dire quale sia la via migliore. Siamo tuttavia convinti almeno di una cosa: indipendentemente dal modo con cui si cercherà di garantire a tutti l'accesso ad un computer e alla rete, è necessario coniugare tale disponibilità materiale con una formazione culturale all'uso delle tecnologie (vedi filmato). Si tratta, insomma, di avviare quanto prima un grande progetto di alfabetizzazione, anzi meglio, di acculturazione tecnologica, di cui la collettività dovrà assumersi l'onere.

back


Esercizi

  1. Su Internet esistono diversi siti che permettono di simulare le attività di compravendita di azioni in modo gratuito, introducendo così al mondo della finanza. Visitatene uno (vi consigliamo Edustock, all'indirizzo http://tqd.advanced.org/3088/ Esci da MediaMente, che offre anche una notevole mole di materiali introduttivi) e provate ad effettuare alcune simulazioni di gioco in borsa.
  2. Analizzate e confrontate i vari siti di librerie on-line di cui abbiamo parlato nella dispensa, cercando di individuare in che modo ciascuno di essi cerca di catturare l'attenzione del cliente, se propone sconti, offerte speciali, servizi di consulenza e recensione, consigli ai lettori.
  3. Provate a progettare un vostro negozio elettronico: che tipo di prodotti vendereste? In che modo organizzereste i vostro sito? Quali servizi, oltre alla vendita, vorreste offrire ai vostri clienti? In che modo pensereste di pubblicizzare il vostro negozio e i vostri prodotti?
  4. Analizzate i siti dei vari partiti politici, cercando di capire se e come la comunicazione on-line si differenzia da quella televisiva e giornalistica, che tipo di linguaggio viene usato (slogan politici, discorsi teorici, comunicazione informale), che tipo di risorse ed informazioni vengono messe a disposizione, quanto spazio viene dedicato alla interattività con gli utenti.
  5. Fate la stessa operazione con i siti dei vari ministeri italiani, ponendo particolare attenzione alla presenza o meno di effettivi servizi offerti agli utenti.
  6. Provate a progettare una rete civica: che tipo di informazioni e di servizi mettereste a disposizioni? In che modo e in che forma provereste a stimolare la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni comuni?

back

homepage

lezioni


lezione 01lezione 06
lezione 02lezione 07
lezione 03lezione 08
lezione 04lezione 09
lezione 05lezione 10

strumenti
filmati

biblioteca

autori

cerca

aiuto

Alcuni riferimenti bibliografici

  • Armstrong, A., Hagel, J., Net gain. Creare nuovi mercati con Internet, Etas libri, Milano 1998
  • Becca, A., Conti, P., Commercio elettronico, Apogeo, Milano 1999
  • Bentivegna, S., La politica in rete, Meltemi, Roma 1999
  • Berardi, F. (a cura di), Cibernauti. Tecnologia, comunicazione, democrazia, Castelvecchi, Roma 1996
  • Berardi, F. (a cura di), La rete come paradigma e la reinvenzione della democrazia, Castelvecchi, Roma 1996
  • Berardi, F., Neuromagma. Lavoro cognitivo e infoproduzione, Castelvecchi, Roma 1995
  • Bologna, S., Fumagalli, A., Il lavoro autonomo di seconda generazione, Feltrinelli, Milano 1998
  • Carlini, F., Internet, Pinocchio e il gendarme. Le prospettive della democrazia in rete, Manifestolibri, Roma 1996
  • Coupland, D., Microservi, Feltrinelli, Milano 1996
  • Dettori, G., Greenwald, D., Fare marketing con Internet, Apogeo, Milano 1998
  • Dorn, J. A. (a cura di), Il futuro della moneta, Feltrinelli, Milano 1998
  • Ettighoffer, D., L'impresa virtuale, Muzzio, Padova 1993
  • Flichy, P., L'innovazione tecnologica. Le teorie dell'innovazione di fronte alla rivoluzione digitale, Feltrinelli, Milano 1996
  • Grossman, L., The Electronic Republic. Reshaping Democracy in the Information Age, The Viking Press, New York 1995
  • Kroker, A., Weinstein, M., Data Trash. La teoria della classe virtuale, Urra Apogeo, Milano 1996
  • Luke, T. W., Toulouse, C. (a cura di), The politics of Cyberspace, Routledge, New York and London 1998
  • Lyon, D., L'occhio elettronico, Feltrinelli, Milano 1997
  • Maldonado, T., Critica della ragione informatica, Feltrinelli, Milano 1997
  • Martignano, M., Pasteris, V., Romagnolo, S., Sesto potere, Apogeo, Milano 1996
  • Murtula, M., Scott, W. G., Stecco, M., Commercio elettronico. Verso nuovi rapporti tra imprese e mercati, ISEDI, 1999
  • Porter, D. (a cura di), Internet Culture, Routledge, New York and London 1997
  • Rodotà, S., Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari 1997
  • Stefik, M. (a cura di), Internet Dreams, Utet, Torino 1997
  • Stoll, C., Miracoli virtuali, Garzanti, Milano 1996

back

torna a inizio pagina