Educazione al multimediale RAI Educational

Lezione n. 10

Lo studio e i nuovi media

di Gino Roncaglia

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Premessa

VC blocco 1 'I nuovi media e la didattica'Il corso che avete in mano è rivolto a chiunque abbia interesse a conoscere e capire alcune delle caratteristiche fondamentali della cosiddetta 'rivoluzione digitale'. Non possiamo (e non vogliamo) nascondere, però, che nel lavoro di ideazione e preparazione di questo materiale abbiamo avuto particolarmente presenti due fasce di utenza specifiche e strettamente collegate: gli studenti e gli insegnanti.

Perché questa scelta? In primo luogo, perché siamo convinti che la crescita di una cultura capace di utilizzare i nuovi media in maniera attiva e consapevole dipenda in gran parte dalla capacità di trasformare il mondo scolastico e universitario anche in un centro di educazione permanente alla multimedialità e ai suoi linguaggi. Viviamo in un ambiente che è già multimediale. In un certo senso, lo è sempre stato. Ma la rivoluzione digitale permette di integrare e coordinare linguaggi, strumenti e progetti comunicativi in maniera per molti versi nuova, spesso più efficace. Una eventuale chiusura del mondo scolastico a questa realtà avrebbe l'effetto di allontanare la scuola da prassi comunicative (e conoscitive) che fanno ormai parte dell'ambiente sociale e culturale di ogni cittadino, e in particolare dei giovani. In ultima analisi, avrebbe l'effetto di allontanare la scuola dalla vita.

C'è però un altro aspetto che, se possibile, è ancora più importante. Il mondo dei nuovi media costituisce l'ambiente comunicativo e conoscitivo del domani, e per certi versi già dell'oggi. Ma abbiamo già visto che questo ambiente, le sue priorità, i suoi strumenti, i suoi meccanismi di funzionamento, non costituiscono un dato, una realtà univocamente determinata dall'evoluzione tecnologica. Come ogni ambiente culturale e sociale, costituiscono invece una realtà viva, in continua evoluzione, all'interno della quale le nostre scelte hanno un peso. Sappiamo bene che l'educazione alla consapevolezza critica è fra i compiti fondamentali della scuola, anzi è forse il compito scolastico per eccellenza. Se la scuola venisse meno a questo compito proprio rispetto al mondo dei nuovi media, alle sue caratteristiche, alle sue implicazioni, rischierebbe di produrre una generazione che, pur vivendo in un ambiente ricco dal punto di vista comunicativo e multimediale, non sarebbe in grado di percepire questo ambiente come risultato anche delle nostre scelte e delle nostre opzioni, come una realtà culturale e sociale da analizzare criticamente e all'interno della quale esercitare a propria volta valutazioni e scelte.

A volte, i critici del mondo dei nuovi media tendono a rappresentarlo come una sorta di mostruosa cospirazione aziendale, mirante ad annullare - attraverso il controllo di fatto sugli strumenti di comunicazione - le capacità di scelta e di valutazione del singolo. Questa immagine è (per fortuna) largamente fuorviante. Di più: è un'immagine che nasconde spesso paure e incapacità nell'affrontare le sfide rappresentate dai nuovi linguaggi e dai nuovi strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione digitale.

Ma se non siamo capaci di abituare i giovani a un uso criticamente consapevole di questi strumenti, se lasciamo che essi vengano percepiti come un mero dato tecnologico, rischiamo di produrre una situazione che, seppure per motivi assai diversi da quelli che vorrebbero i nuovi paladini della guerra alla tecnologia, può finire per avverare alcune fra le loro funeste profezie. Occorre essere chiari: è prima di tutto la scuola che deve rispondere al compito di educare su larga scala le nuove generazioni a divenire cittadini di quel nuovo ambiente culturale e sociale nel quale i media digitali hanno un ruolo così centrale, e a divenirne cittadini consapevoli, capaci di operare razionalmente scelte e valutazioni. Se la scuola non riuscisse a rispondere a questo compito, sarebbe la società nel suo complesso a correre un grosso rischio.

Figura 1 - Tecnologie multimediali per la scuola: un laboratorio informatico
Figura 1 - Tecnologie multimediali per la scuola: un laboratorio informatico

Da questo punto di vista, risultano particolarmente preoccupanti alcuni fra i dati che emergono dalle statistiche esistenti sulla diffusione delle tecnologie multimediali nella scuola italiana, statistiche che mostrano come soprattutto i licei classici, ma anche i licei scientifici, siano in deciso ritardo, in questo settore, rispetto agli istituti tecnici e professionali. Se è confortante rilevare che molti istituti tecnici e professionali hanno già imboccato la strada della multimedialità, colpisce tuttavia che siano proprio le scuole tradizionalmente considerate 'culturalmente più prestigiose' a denunciare un ritardo maggiore. L'idea che la formazione della 'classe dirigente' del futuro spetti solo ai licei classici è per fortuna superata, ma questi dati tradiscono un'immagine 'tecnicista' delle nuove tecnologie del cui pericolo è bene essere coscienti. Se non si corre ai ripari, il rischio è che gli studenti che escono dai licei classici e scientifici siano non già i più preparati, ma i meno preparati a rispondere a molte fra le sfide culturali del mondo in cui si troveranno a vivere.

Il discorso che abbiamo fatto finora, e le considerazioni che svolgeremo nel corso di questa dispensa, possono sembrare rivolti soprattutto agli insegnanti. In realtà, non è così. Molti osservatori hanno sottolineato come lo sviluppo dei nuovi media tenda a determinare, fra l'altro, un 'gap', un salto generazionale che vede per certi aspetti la generazione dei docenti 'indietro' rispetto alle competenze dei loro stessi studenti. Si tratta di un tema molto discusso, sul quale torneremo in seguito. Ma proprio perché queste osservazioni hanno un qualche fondamento, è importante che gli studenti partecipino direttamente, in prima persona, alla costruzione di un paradigma scolastico capace di rispondere alle sfide della multimedialità. È importante che siano consapevoli dei cambiamenti nei metodi e negli strumenti dell'insegnamento. Ed è importante anche che siano consapevoli delle difficoltà che le strutture scolastiche (e in primo luogo i docenti) possono incontrare nell'avviare questi cambiamenti. L'idea di una didattica collaborativa, in cui docenti e studenti cooperino per il conseguimento di certi obiettivi, può sembrare ad alcuni la premessa di una pericolosa confusione di ruoli. A ben vedere, però, un processo educativo efficace è (o dovrebbe essere) comunque collaborativo, e questo, di per sé, non comporta affatto l'annullamento della specificità del rapporto docente-discente.

Insomma: vorremmo che gli studenti leggessero queste pagine senza rinunciare al loro punto di vista di studenti, ma cercando anche di capire i problemi specifici che l'uso dei nuovi media pone alle scuole e ai loro insegnanti. Questi problemi, e le diverse soluzioni che ad essi possono essere date, li riguardano direttamente.

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Quale collocazione per lo studio della multimedialità?

Un primo problema che ci si trova ad affrontare nel programmare, in ambito scolastico, iniziative di educazione ai nuovi media, è quello della loro collocazione nell'ambito del curriculum didattico. Possiamo individuare, a questo riguardo, tre possibili soluzioni, ciascuna delle quali ha i suoi sostenitori, e presenta, come vedremo, vantaggi e svantaggi.

In primo luogo, è possibile prevedere una materia apposita, da aggiungere al curriculum didattico tradizionale. Si tratta di una strada esplorata soprattutto in ambito americano, dove i media studies fanno ormai parte del curriculum di moltissime scuole superiori e college.

Una seconda possibilità è quella di riservare a tali argomenti uno spazio extracurricolare, all'interno delle ore di attività integrative previste nella maggior parte degli istituti scolastici. Per vari motivi - non ultimo quello rappresentato dalla flessibilità di questa scelta, che permette al singolo istituto di organizzare e calibrare in maniera totalmente autonoma le attività didattiche previste nell'ambito dell'educazione ai nuovi media - si tratta di una strada che sembra incontrare un certo favore nel nostro paese.

Infine, si può pensare di integrare in maniera 'distribuita' lo studio dei nuovi media all'interno del curriculum didattico esistente, prevedendo che una introduzione al loro uso sia fornita contestualmente alle singole attività di studio nell'ambito delle diverse materie, in tutte le occasioni nelle quali tali attività comprendano l'impiego di strumenti multimediali.

La scelta fra queste diverse soluzioni può avere una ricaduta anche sulla selezione e sull'organizzazione delle attrezzature multimediali utilizzate all'interno della scuola: la scelta di rendere totalmente o parzialmente autonomi i cosiddetti media studies sembra infatti suggerire la concentrazione degli strumenti informatici e multimediali in un laboratorio separato, nel quale gli studenti si recheranno nelle ore dedicate allo studio di questa materia. D'altro canto, l'idea di uno studio 'distribuito' nell'ambito di più materie sembra presupporre la disponibilità degli strumenti informatici nelle singole classi, in modo da poterli utilizzare in ogni momento, nei vari contesti dell'attività didattica quotidiana.

Dicevamo che le diverse soluzioni proposte presentano vantaggi e svantaggi. Prima di provare a delineare la nostra risposta, cerchiamo di capire meglio il perché, e di valutarli insieme.

Indubbiamente, un addestramento efficace all'uso dei computer e dei nuovi media presuppone anche lo studio di argomenti specifici - molti fra i quali abbiamo cercato di affrontare, in maniera introduttiva, nelle prime dispense di questo corso. E' evidente che la comprensione dell'architettura interna e dei principi logici basilari di funzionamento di un computer, ad esempio, richiede una trattazione almeno parzialmente autonoma (noi ne abbiamo parlato nella seconda dispensa). Siamo convinti che, nell'ambito di una educazione scolastica all'uso dei nuovi media, prevedere tale trattazione sia non solo utile ma indispensabile, anche per evitare che il computer sia considerato come una sorta di 'oggetto magico' che si può utilizzare, ma i cui principi di funzionamento restano appannaggio esclusivo di una ristretta casta di esperti. Da questo punto di vista, la prima fra le soluzioni sopra prospettate può sembrare preferibile, anche perché riconosce alle tematiche di cui ci stiamo occupando un pieno diritto di cittadinanza all'interno del curriculum scolastico, considerandole come argomenti che devono ormai far parte integrante del bagaglio conoscitivo e di competenze fornito dalla scuola ad ogni studente.

D'altro canto, la 'compartimentizzazione' di questo tipo di studi all'interno di una singola materia rischia di far perdere di vista la portata globale che caratterizza - anche in ambito didattico - la 'rivoluzione digitale', fornendo un facile alibi a resistenze e rifiuti, soprattutto per quanto riguarda l'uso dei nuovi media nello studio delle scienze umane. Si rischia cioè che, una volta previsto uno spazio istituzionale e autonomo per i media studies, gli insegnanti delle altre materie siano tentati di lavarsene le mani, rinunciando alla fatica - ma anche alla sfida e ai vantaggi - di un uso di strumenti didattici avanzati nell'ambito delle rispettive discipline.

Figura 2 - Un laboratorio informatico
Figura 2 - Un laboratorio informatico

La seconda fra le opzioni delineate, quella dell'inserimento dello studio dei nuovi media in spazi autonomi extracurricolari, ha indubbiamente il vantaggio della flessibilità organizzativa. Scuole diverse, o addirittura classi diverse all'interno di una stessa scuola, possono così scegliere autonomamente se, in che forma e con quali obiettivi fornire corsi specifici di avvicinamento ai nuovi media, eventualmente sfruttando docenti esterni o offrendo agli studenti la scelta fra più indirizzi differenziati.

Questa strada presenta tuttavia un duplice rischio, che sarebbe pericoloso sottovalutare: da un lato quello di presentare come facoltativi e dunque in qualche misura secondari insegnamenti che forniscono invece competenze ormai indispensabili per l'inserimento culturale e lavorativo dei giovani; dall'altro, quello di favorire una eccessiva differenziazione di approcci e curricola, che può sfociare in una vera e propria babele formativa nella quale a studenti diversi, anche all'interno di uno stesso indirizzo di studi, sono fornite competenze radicalmente diverse fra loro, sia nei livelli di approfondimento raggiunti, sia negli argomenti affrontati.

La terza fra le opzioni considerate prevede che lo studio dei nuovi media debba avvenire non già in spazi autonomi, ma all'interno del normale curriculum didattico. Così, ad esempio, una introduzione all'uso dei programmi di videoscrittura potrebbe avvenire nell'ambito dell'insegnamento di italiano, col vantaggio di presentare tale strumento informatico non in maniera 'tecnica' ed astratta, ma nel contesto nel quale la discussione della pratica della scrittura si inserisce in maniera più naturale e consapevole. Analogamente, la lezione di matematica potrebbe fornire il contesto nel quale imparare ad utilizzare programmi di calcolo, un addestramento all'uso dei fogli elettronici potrebbe accompagnare lo studio delle procedure di stesura e verifica di un bilancio, CD-ROM e strumenti multimediali potrebbero integrare la lezione frontale un po' in tutte le materie, ma in particolare nello studio delle lingue straniere e delle scienze, lo studio della musica potrebbe offrire l'occasione per avvicinare gli studenti agli strumenti di gestione informatizzata dei suoni, e così via.

Come si è accennato, questo approccio ha alla sua base l'idea secondo cui la rivoluzione digitale ha una portata globale e una natura intrinsecamente trasversale, coinvolgendo potenzialmente tutte le discipline e le attività professionali. Sarebbe dunque sbagliato considerarla una materia fra le altre: è invece necessario coinvolgere nella sperimentazione didattica delle nuove tecnologie l'intero corpo docente, individuando - materia per materia - le forme più opportune di utilizzazione degli strumenti didattici e multimediali. Proprio il coinvolgimento dell'intero corpo docente dovrebbe inoltre ridurre il rischio di un contrasto insanabile fra le pratiche didattiche 'avanzate' adottate nello studio delle nuove tecnologie e le pratiche didattiche 'tradizionali' che altrimenti, per la naturale resistenza di un corpo docente non coinvolto nella sperimentazione di nuovi strumenti, continuerebbero a dominare incontrastate l'ambito delle altre materie curricolari, e in particolare di quelle umanistiche.

D'altro canto, non ci si può nascondere che la 'distribuzione' su più discipline della formazione relativa ai nuovi media non manca di presentare problemi: innanzitutto, sembra presupporre un corpo docente uniformemente dotato delle competenze necessarie a utilizzare le nuove tecnologie in ambito didattico, e ad addestrare a propria volta gli studenti al loro uso. È inutile nascondersi, tuttavia, che la situazione non è così rosea. Inoltre, per evitare di lasciare 'zone d'ombra' e avere la garanzia di toccare in maniera sufficientemente sistematica i settori e i problemi fondamentali del mondo dei nuovi media, un addestramento 'distribuito' di questo tipo presuppone un'alta capacità di coordinamento fra i vari docenti e di pianificazione a livello di istituto: una esigenza che, anche in questo caso, rischia di scontrarsi con situazioni concrete non sempre ideali.

Anche supponendo che questi problemi possano essere superati, magari con l'aiuto di opportuni interventi di indirizzo e formazione da parte del Ministero e dei singoli istituti, resta inoltre aperta una questione teorica di un certo rilievo: un approccio di questo genere sembra funzionale ad un addestramento all'uso dei nuovi media, ma sembra più difficile da conciliare con l'esigenza di uno studio, anche se introduttivo, dei principi - teorici e ingegneristici - alla base del loro funzionamento.

Ognuna delle opzioni considerate presenta dunque vantaggi e svantaggi. A ben guardare, una parte dei problemi deriva dalla potenziale confusione fra lo studio dei nuovi media e lo studio coi nuovi media, riferito trasversalmente a molte discipline. Si tratta di due aspetti evidentemente interconnessi, ma che sarebbe pericoloso confondere. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, qual è allora la strategia che è preferibile adottare?

A costo di rischiare l'ovvietà, ci sembra che la risposta migliore alle esigenze di formazione all'uso dei nuovi media sia data da una strategia che integri elementi di tutte e tre le opzioni sopra delineate, cercando di massimizzarne i vantaggi e di limitarne, proprio attraverso l'integrazione, gli svantaggi specifici.

Pensiamo così che occorra trovare uno spazio specifico per lo studio dei principi generali di funzionamento di alcune tecnologie fondamentali - in primo luogo il computer e le reti telematiche - e che questo spazio debba essere curricolare, per garantire anche in questo campo (divenuto fondamentale per l'inserimento nel mondo del lavoro) un minimo di uniformità nella formazione di base. Le dispense di questo corso danno un'idea degli argomenti che a nostro avviso andrebbero trattati in tale sede - argomenti dunque non solo tecnici o ingegneristici, ma comprendenti anche alcuni principi fondamentali di teoria della comunicazione, e aperti alla considerazione della dimensione sociale e culturale dell'uso dei nuovi media. Riteniamo però che la pratica d'uso dei nuovi media non vada limitata a tale spazio curricolare specifico, ma debba attraversare trasversalmente l'insieme delle discipline scolastiche, tenendo presente che i nuovi media non forniscono solo strumenti didattici ma veri e propri ambienti cognitivi all'interno dei quali è possibile prevedere una pluralità di pratiche didattiche diverse.

L'idea di una 'distribuzione' dell'uso delle nuove tecnologie all'interno delle varie discipline non deve dunque in alcun modo essere sacrificata alla pur necessaria formazione specifica sui principi di base del loro funzionamento. Al contrario, fra queste due situazioni didattiche - spazio autonomo dedicato a una introduzione ai principi di base delle nuove tecnologie, e in particolare di quelle digitali, e loro uso 'distribuito' all'interno dei singoli insegnamenti curricolari - dovrebbe svilupparsi una proficua collaborazione, nella quale al primo di tali ambiti siano riservati da un lato la costruzione di una 'base comune' di competenze teoriche e pratiche sulla quale sviluppare poi le esperienze didattiche specifiche nelle singole materie, dall'altro una sorta di 'metalivello' di riflessione e raccordo, nel quale l'esito di tali esperienze possa essere a sua volta ricondotto ed analizzato.

Non si tratta però, va detto subito e a scanso di equivoci, di trasformare gli spazi specifici destinati allo studio dei nuovi media in una sorta di forum supremo - e valutativo - rispetto alle pratiche didattiche adottate all'interno delle altre discipline, o di farne il luogo in cui riproporre la contrapposizione fra didattica generale e didattiche di settore. Si tratta piuttosto di sfruttare questo spazio anche per riflettere insieme agli studenti su quali tecnologie entrino a far parte della loro esperienza di studio, e su come esse vengano utilizzate, permettendo così fra l'altro di fornire un ancoraggio concreto a nozioni tecniche e principi teorici che rischierebbero altrimenti di essere percepiti come puramente astratti.

Una collaborazione proficua fra l'insegnamento dei cosiddetti media studies (all'interno dei quali, come si è accennato, l'informatica ha un ruolo rilevante ma non esclusivo) e gli altri insegnamenti settoriali potrebbe anche contribuire a ridurre i problemi collegati alla scarsa preparazione dei docenti nell'uso delle nuove tecnologie. La soluzione qui delineata garantirebbe infatti la presenza nell'ambito scolastico di competenze tecniche specifiche che possano essere utilizzate anche dagli altri docenti, soprattutto al momento dell'avvio di esperienze didattiche per loro ancora poco familiari. E farebbe correttamente percepire, sia agli studenti, sia al resto del corpo docente, il carattere non meramente strumentale di queste competenze, assicurate non già da 'collaboratori tecnici' didatticamente subordinati, ma da figure docenti dotate di piena titolarità di insegnamento.

Abbiamo fin qui delineato l'ipotesi di una integrazione fra la prima e la terza opzione: previsione cioè di un insegnamento specifico di introduzione ai nuovi media e alle tecnologie digitali, e 'distribuzione' dell'uso didattico di queste stesse tecnologie all'interno delle diverse discipline. Si deve forse concludere che sia preferibile accantonare la seconda fra le opzioni considerate, quella che suggerisce l'impiego per questi fini di spazi didattici extracurricolari? Non necessariamente. Va detto tuttavia che a nostro avviso questi spazi possono essere utilizzati proficuamente solo a condizione che ad essi non venga affidato il compito di fornire competenze generali e di base: tali competenze vanno garantite a tutti gli studenti, e devono avere pieno diritto di cittadinanza all'interno della formazione scolastica. La loro introduzione più o meno surrettizia in spazi didattici gestiti in maniera troppo differenziata o destinati a pochi studenti è comprensibile solo in una fase iniziale e transitoria, in cui le strutture formative, che sono anche, forse inevitabilmente, una 'macchina burocratica', avviano la non facile manovra di adeguamento a una realtà didattica - ma soprattutto esperenziale - che sta conoscendo cambiamenti particolarmente rapidi e radicali.

Questo però non significa che gli spazi extracurricolari non possano essere sfruttati anche per un approfondimento dell'uso delle nuove tecnologie. Tali spazi possono al contrario costituire la sede ideale - oltre che per la formazione dei docenti - per sperimentazioni particolarmente avanzate o innovative, per progetti specifici, o per avviare, anche nel campo dei nuovi media, forme di collaborazione fra la scuola e il mercato del lavoro. Purché si abbia chiaro che non di alfabetizzazione tecnologica si tratta, ma di approfondimenti, integrazioni, sperimentazioni che presuppongono tale alfabetizzazione, sotto forma di competenze di base fornite a tutti gli studenti nell'ambito degli studi curricolari.

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"Aule multimediali" o computer di classe?

Abbiamo accennato poc'anzi al fatto che il conflitto fra la prima e la terza impostazione sembra avere conseguenze anche sulla concreta collocazione degli strumenti audiovisivi ed informatici all'interno della scuola. La scelta di rendere totalmente o parzialmente autonomi i media studies sembra infatti suggerire la concentrazione di tali strumenti in un laboratorio separato, nel quale gli studenti si recheranno nelle ore dedicate allo studio di questa materia. Da questo punto di vista, il 'laboratorio multimediale' sembra proseguire idealmente l'esperienza rappresentata dal laboratorio linguistico e audiovisivo: uno spazio autonomo utilizzato prevalentemente nell'ambito di alcuni insegnamenti, e comunque in momenti didattici specifici. L'integrazione fra laboratorio linguistico e laboratorio informatico, resa possibile dalle tecnologie digitali, tende così a presentarsi più come una possibilità occasionale ed estrinseca di risparmio di spazi e (non sempre) di spesa, che come primo indizio di una convergenza tecnologica di ben più vasta portata.

D'altro canto, l'idea di uno studio 'distribuito' nell'ambito di più materie sembra presupporre la disponibilità degli strumenti informatici e multimediali nelle singole classi, a disposizione di studenti e docenti in ogni momento dell'attività didattica. Si tratta della prospettiva che in alcuni college americani ha già portato a raggiungere l'obiettivo "one head, one PC", un computer per ogni studente, e che nella situazione italiana (ma, a onor del vero, anche di molti altri paesi europei) si indirizza verso il più modesto ma più realistico obiettivo di una stazione multimediale per classe.

Il lettore non si stupirà se, così come abbiamo auspicato una integrazione più che una contrapposizione fra le diverse opzioni sopra delineate per la didattica delle nuove tecnologie, ci sembra preferibile una integrazione anche fra la prospettiva della concentrazione in aule attrezzate degli strumenti informatici e multimediali e quella della loro distribuzione nelle classi. La scheda qui a fianco suggerisce una possibile configurazione di un sistema di attrezzature multimediali d'istituto; in un modello di tale genere, l'aula multimediale può servire in particolare nell'ambito dell'insegnamento delle lingue straniere e delle nuove tecnologie, ma anche nell'insegnamento delle altre materie, per momenti didattici specifici che richiedano l'uso attivo del computer da parte dei singoli studenti. Col diffondersi di pratiche didattiche di questo tipo, istituti di medie e grandi dimensioni finiranno probabilmente per prevedere che le aule dotate di attrezzature multimediali individuali possano essere più di una.

Figura 3 - Laboratorio informatico
Figura 3 - Laboratorio informatico

D'altro canto, le singole classi potranno essere dotate ciascuna di una stazione multimediale che potrà essere utilizzata dal docente nell'ambito della sua normale attività didattica: per illustrare e sottolineare attraverso schermate esemplificative (si veda la scheda 'Dalla lavagna alle presentazioni video') punti specifici di una lezione frontale, per integrare nella lezione materiali didattici audiovisivi, per reperire, illustrare e discutere risorse di rete sull'argomento affrontato, per permettere a uno studente o a gruppi di studenti di illustrare alla classe i risultati di una autonoma attività di ricerca, e così via.

Preme sottolineare che quest'uso 'quotidiano' delle risorse multimediali di classe può (e dovrebbe) veramente riguardare in maniera trasversale tutte le materie e molti tipi diversi di attività didattica. Le risorse multimediali di classe non dovrebbero cioè essere intese dal docente (e dagli studenti) come una risorsa strumentale alla quale ricorrere in pochi casi specifici, ma come un elemento costitutivo dell'ambiente di insegnamento e di apprendimento.

Come è facile capire, in questa prospettiva le risorse multimediali dell'aula attrezzata e quelle di classe non sono in conflitto, dato che servono a scopi diversi.

Una parola, per concludere, sulla prospettiva "one head, one PC", verso la quale, come si è accennato, sembra indirizzarsi il mondo anglosassone, e in particolare quello statunitense. È nostra convinzione che l'ipotesi qui prospettata (aula multimediale d'istituto, e una stazione multimediale per classe) sia già sufficiente a fare molto, moltissimo, soprattutto in una situazione come quella italiana che sconta ancora in questo campo ritardi e resistenze spesso notevoli. D'altro canto, è indubbio che per la nostra organizzazione scolastica tale ipotesi rappresenti già, finanziariamente e organizzativamente, uno sforzo considerevole, se non una vera e propria sfida. Né ci si può nascondere che l'organizzazione dell'attività di insegnamento in un ambiente "one head, one PC" comporterebbe da parte del corpo docente competenze e consuetudini didattiche ancora assai lontane da quelle che possiamo ragionevolmente presupporre nella scuola italiana (d'altro canto, le modalità del lavoro didattico in un ambiente di questo tipo sono tutt'altro che chiare anche nelle situazioni statunitensi di punta nelle quali tale equilibrio è stato raggiunto). Non va dimenticato, infine, che i college e le università statunitensi che hanno raggiunto o si avviano a raggiungere questo obiettivo finanziano le relative spese attraverso tasse di iscrizione e di frequenza assai più alte di quelle che noi considereremmo accettabili, limitando di fatto l'accesso a studenti provenienti da famiglie di fascia medio-alta.

Nonostante la validità di queste considerazioni, riteniamo tuttavia che in una prospettiva di medio e lungo periodo anche il sistema educativo italiano dovrà rispondere alla sfida "one head, one PC". Per farlo, dovrà elaborare soluzioni organizzative e gestionali innovative, sulle quali potrebbe essere utile avviare fin d'ora qualche discussione e sperimentazione.

Figura 4 - L'articolo 6 del collegato alla legge finanziaria 1998 ha previsto per la prima volta un contributo per l'acquisto di attrezzature multimediali nelle scuole
Figura 4 - L'articolo 6 del collegato alla legge finanziaria 1998 ha previsto per la prima volta un contributo per l'acquisto di attrezzature multimediali nelle scuole

Una soluzione interessante da valutare potrebbe ad esempio essere quella che vede il singolo studente proprietario del computer utilizzato, prevedendo che il computer resti in classe nel periodo di lezioni e venga invece portato a casa nei periodi di vacanza estiva e invernale. I computer potrebbero essere acquistati, in una configurazione standard, attraverso la scuola, in modo da ridurre al minimo i costi unitari con un singolo acquisto complessivo. Lo stato potrebbe inoltre intervenire per ridurre ulteriormente il prezzo dei PC attraverso un meccanismo analogo a quello già sperimentato nella finanziaria 1998, prevedendo un contributo (sotto forma di sgravio fiscale per l'impresa produttrice) a condizione che l'impresa pratichi un analogo sconto sul prezzo del computer. La scuola potrebbe a sua volta intervenire con un contributo, facendo eventualmente ricorso anche a sponsorizzazioni private. La famiglia coprirebbe la spesa residua, che - considerati i costi attuali di un computer multimediale di medie capacità e del relativo software di base (acquistato con i forti sconti previsti per le multilicenze educational) - non dovrebbe a questo punto superare i cinquecento Euro. La spesa sostenuta dalla famiglia (inferiore, si noti alla spesa sostenuta per l'acquisto dei libri di testo nel corso di un quinquennio di studi) potrebbe essere ripartita nel corso dei cinque anni e deducibile dalla dichiarazione dei redditi; un fondo apposito potrebbe coprirla in tutto o in parte nel caso delle famiglie al di sotto di una soglia minima di reddito.

Prevedere, come abbiamo suggerito, che il computer utilizzato sia di proprietà dello studente anziché della scuola o in leasing avrebbe il vantaggio di garantire una maggiore cura nella sua utilizzazione, sollevando inoltre la scuola dalla responsabilità della sua conservazione nei periodi di vacanza, dato che in tali periodi il computer verrebbe portato a casa dallo studente. D'altro canto, la 'vita' tecnologica di un computer può misurarsi in 3-5 anni, e corrisponde dunque più o meno alla durata di un ciclo di studi: se il computer fosse di proprietà della scuola, esso dovrebbe comunque prevedibilmente essere sostituito dopo tale periodo.

L'ipotesi qui delineata presenta naturalmente problemi organizzativi e gestionali, molti dei quali di non facile soluzione; mostra tuttavia, ci pare, che i costi materiali di una didattica basata anche sull'informatica distribuita non sono necessariamente proibitivi. I problemi più seri risiedono forse altrove: nella elaborazione e valutazione dei modelli didattici, nella preparazione dei docenti, nella capacità di integrare in maniera proficua vecchie e nuove metodologie di insegnamento. Proprio su questi temi può dunque essere opportuno soffermarci in maniera più approfondita.

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Oltre la lezione frontale

VC blocco 3 'Esperienze didattiche'La componente fondamentale (anche se non certo unica) della didattica tradizionale, quella che per molto tempo è stata considerata la lezione per eccellenza, è la cosiddetta 'lezione frontale'. Nella lezione frontale l'insegnante è in un certo senso 'solo' di fronte alla classe: la trasmissione del contenuto didattico è tutta affidata alle sue conoscenze, alla sua capacità di farsi comprendere, di suscitare interesse.

Pensare che le nuove tecnologie propongano un semplice abbandono della lezione frontale sarebbe sbagliato: in tutti i casi di didattica 'in presenza', la comunicazione diretta, interpersonale, fra insegnante e studenti e la capacità dell'insegnante di coinvolgere i propri studenti nel dialogo didattico - anche attraverso la lezione frontale - restano fondamentali. E tuttavia indubbiamente le nuove tecnologie allargano il ventaglio di opzioni che possono essere affiancate alla lezione frontale o integrate con essa, permettendo di superare in tutto o in parte alcuni fra i limiti maggiori della didattica tradizionale.

Proviamo a capire perché. Consideriamo innanzitutto alcune fra le caratteristiche che sono state spesso associate, con valenza almeno parzialmente negativa, alla lezione frontale:

  • verticalità della comunicazione (comunicazione asimmetrica, da un emittente a più destinatari);

  • passività dei destinatari;

  • eccessiva dipendenza della lezione dalle competenze, dalla capacità comunicativa e didattica e dallo stato d'animo dell'insegnante;

  • modello didattico basato sull'idea dell'insegnamento come 'trasferimento della conoscenza' dall'insegnante agli allievi:

  • difficoltà nel differenziare il contenuto didattico tenendo conto delle peculiarità dei singoli allievi;

  • tendenza a privilegiare la comunicazione verbale rispetto ad altri codici comunicativi:

  • forte 'uniformità' della comunicazione didattica, con conseguente difficoltà nel mantenere viva l'attenzione degli allievi;

  • peso eccessivo del 'gruppo classe' rispetto ad altre possibili aggregazioni e segmentazioni

Su ognuna di queste caratteristiche si potrebbe discutere a lungo, e in effetti molto si è discusso in tutte le sedi. Occorre guardarsi dall'idea che i nuovi media forniscano in maniera automatica una sorta di panacea, di rimedio universale ai mali della lezione frontale, così come bisogna guardarsi dall'idea che la lezione frontale sia uno strumento sempre e comunque 'sbagliato'. Sappiamo bene, del resto, che in molti casi un buon insegnante può non aver bisogno di strumenti tecnologici particolari per integrare la lezione frontale con pratiche didattiche diverse. Pensiamo, solo per fare un esempio, ai giochi di simulazione nell'insegnamento della storia, che permettono, senza altri ausili particolari se non la fantasia degli studenti e un'abile guida da parte dell'insegnante, di approfondire un avvenimento o un periodo storico in modo attivo e fortemente coinvolgente; e non è un caso che spesso l'uso dei giochi di simulazione con funzione didattica presupponga una fase preparatoria basata anche sulla lezione frontale.

Figura 5 - La lezione frontale
Figura 5 - La lezione frontale

Va tenuto presente, d'altro canto, che anche nei modelli d'insegnamento più tradizionali l'insegnante dispone di una serie di strumenti e di opzioni didattiche che permettono di 'modulare' e di integrare la pratica della lezione frontale: dal libro di testo alla lavagna, dagli esercizi da far svolgere autonomamente agli allievi a interrogazioni e ricerche. E spazi destinati a forme specifiche di didattica - dal laboratorio scientifico alla palestra e alla biblioteca d'istituto - esistevano ben prima dei laboratori linguistici e di quelli multimediali.

Detto questo, siamo però convinti che l'uso delle nuove tecnologie nella didattica non offra semplicemente un'aggiunta marginale rispetto agli strumenti del passato: la loro portata - se bene utilizzate - è tale da proporre un vero e proprio salto di qualità dell'insegnamento, a tutto vantaggio di una didattica più completa, interessante ed efficace. Cerchiamo di capire come, provando a chiederci se e in che modo le nuove tecnologie potrebbero aiutarci a superare le limitazioni della lezione frontale elencate poc'anzi.

In queste dispense abbiamo già sottolineato come la comunicazione telematica e le reti tendano a costruire canali di comunicazione circolare, nella quale tutti i partecipanti possano assumere, all'occorrenza, la funzione di emittente come quella di destinatario dell'informazione. È interessante notare come questa tendenza corrisponda a una tendenza riscontrabile ormai da anni nel campo della didattica: anche qui acquista progressivamente sempre maggiore importanza un tipo di comunicazione che non è puramente verticale, da un singolo emittente, l'insegnante, a molti destinatari, gli studenti, ma che è piuttosto comunicazione circolare, nella quale più voci - comprese quelle degli studenti - sono contemporaneamente e attivamente coinvolte. Un buon insegnante sa che già la stessa lezione frontale, se è fatta bene, non è mai basata su una comunicazione puramente verticale, dall'alto in basso, ma è comunque una forma di dialogo.

Ebbene, l'uso delle nuove tecnologie può consentire di accentuare questo aspetto di dialogo proprio della comunicazione didattica, permettendo inoltre di moltiplicare le voci e i punti di vista coinvolti. Pensiamo ad esempio a una pratica esistente già da anni, ma che rientra a pieno titolo nel panorama delle opzioni didattiche offerte dalla multimedialità, la lettura dei giornali in classe. E riflettiamo su come all'allargamento dei punti di vista e delle voci proposto dalla lettura dei giornali si affianchi anche un allargamento dei codici e degli stili comunicativi considerati, una volta che alla lettura dei giornali si affianchi, ad esempio, un monitoraggio e una analisi di come determinate notizie siano presentate da altri media (la radio, la televisione, Internet...).

Un confronto di questo tipo permette non solo di familiarizzare gli studenti con la pluralità di opinioni e di impostazioni esistenti nella società, ma anche di capire in che modo il medium e le sue caratteristiche specifiche possono intervenire nella costituzione del messaggio. In questo lavoro gli studenti, non più posti a confronto con un'unica auctoritas, con la sola voce del docente, possono assumere con maggiore facilità un ruolo attivo, soprattutto se alla pura 'lettura' delle informazioni giornalistiche, radiotelevisive o di rete si affianca la produzione di contenuti informativi autonomi. Da questo punto di vista, l'uso attivo di Internet attraverso la creazione di siti d'istituto o di progetto può rivelarsi uno strumento prezioso.

Quest'idea della moltiplicazione delle voci, che potremmo assumere un po' come filo conduttore di una didattica caratterizzata dall'uso consapevole dei nuovi media, riguarda trasversalmente tutte le materie, e si collega alla moltiplicazione degli strumenti didattici. Un CD-ROM, una videocassetta, un sito Internet - siano essi dedicati a materie umanistiche o scientifiche, allo studio delle lingue o a notizie di attualità - non rappresentano semplicemente un ausilio alla lezione dell'insegnante, ma costituiscono voci aggiuntive, punti di vista diversi, offrono contenuti e competenze che non potrebbero essere chiesti a un singolo docente, per quanto preparato egli possa essere.

L'interattività di molte fra le nuove tecnologie didattiche costituisce un ulteriore stimolo al superamento di un ruolo puramente passivo da parte dello studente, sollecitato a intervenire in prima persona, a reagire e modificare l'informazione che gli viene presentata. Un buon software didattico, ad esempio, non dovrebbe limitarsi a fornire all'utente - in maniera resa magari più vivace e piacevole dall'uso di suoni e immagini - una nozione o un insieme di nozioni, secondo il modello del trasferimento di informazioni da un emittente al destinatario. Dovrebbe invece stimolare nell'utente stesso la progressiva costruzione e organizzazione delle conoscenze, proponendogli un uso attivo del contenuto informativo fornito: confronto fra esempi, esercizi da risolvere, simulazione di esperimenti, e così via. La sostituzione di un modello didattico basato sull'attività a quello rappresentato dal puro trasferimento passivo di nozioni è qui fondamentale: pur senza voler entrare in questa sede nel complesso (ed affascinante) panorama teorico offerto dalle discussioni di teoria della conoscenza, siamo sicuri che ogni insegnante e ogni studente possano facilmente rendersi conto per esperienza diretta di come la conoscenza non sia né oggetto materiale da trasferire da una persona all'altra, né un insieme di segni da copiare da un 'quaderno' all'altro.

Non bisogna pensare che strumenti e ambienti di apprendimento interattivi debbano essere necessariamente individuali (sul modello del CD-ROM usato da un singolo utente su un singolo computer). Ma certo anche strumenti d'uso individuale, sia i cosiddetti strumenti di autoapprendimento, sia quelli di autovalutazione, possono entrare in questo quadro, fornendo anche un mezzo per rispondere a un altro dei problemi sopra ricordati, quello rappresentato dalla difficoltà di differenziare i contenuti didattici tenendo conto delle peculiarità dei singoli allievi. Esperimenti di uso integrativo di programmi di autoapprendimento in situazioni di svantaggio didattico sono già stati condotti con buoni risultati, ed evidentemente non vi è alcun motivo per cui l'uso di strumenti di questo tipo debba essere limitato all'obiettivo - pur fondamentale - di colmare gli svantaggi. In molti casi può essere ad esempio importante che la scuola sappia rispondere a richieste e interessi specifici degli allievi, che costituiscono sempre un importante fattore di motivazione. Ricordiamo, di passaggio, che l'allargamento dell'offerta tematica da parte della televisione, resa possibile dalla moltiplicazione dei canali attraverso il ricorso a tecnologie digitali, può aiutare il mondo della scuola a rispondere a queste esigenze.

Figura 6 - Un esempio di software di autovalutazione
Figura 6 - Un esempio di software di autovalutazione

A questa differenziazione dell'offerta didattica risponde anche la possibilità di riaggregare attorno a particolari attività gruppi diversi dal tradizionale 'gruppo classe'. Si tratta di una opzione la cui utilità è percepita con sempre maggior frequenza nelle situazioni di sperimentazione didattica più avanzata. Anche in questo caso, le nuove tecnologie didattiche possono aiutare: ad esempio attraverso la costituzione di gruppi di interesse tematici attorno a un forum di discussione o a un sito Internet (si veda al riguardo quanto già detto nella quarta dispensa; la redazione di un sito Internet può costituire un ottimo contesto per disaggregare e riaggregare studenti e docenti in configurazioni diverse dal 'gruppo classe'), o attraverso la programmazione di attività tematiche all'interno del laboratorio multimediale. In alcuni casi, le reti telematiche permettono di superare il 'gruppo classe' favorendo riaggregazioni non solo all'interno dell'istituto, ma anche attraverso contatti fra istituti diversi, magari situati in paesi diversi.

Che i nuovi media costituiscano anche un'occasione per costruire un ambiente didattico aperto a forme di comunicazione musicale e visiva, e dunque a codici diversi dalla pura comunicazione verbale, dovrebbe risultare abbastanza intuitivo; occorre ammettere tuttavia che il mondo della scuola è spesso impreparato - se non esplicitamente sospettoso - davanti a questa opportunità. Si tratta di un tema ampiamente affrontato da Roberto Maragliano nel suo Nuovo manuale di didattica multimediale, uno dei pochi testi italiani ad affrontare l'argomento dal punto di vista didattico. In questa sede ci limiteremo a sottolineare l'importanza di non limitare l'uso dei mezzi audiovisivi alle sole materie che possono apparire più direttamente interessate (ad esempio la storia dell'arte, o la musica). Gli studenti vivono in un mondo nel quale la comunicazione audiovisiva ha un ruolo fondamentale, anche se in forme che possono talvolta lasciar perplesso chi è cresciuto in un mondo più 'povero' dal punto di vista della varietà e della tipologia degli stimoli dei media. È bene che la scuola ne abbia coscienza, e sappia rispondere a questa sfida imparando ad utilizzare materiali audiovisivi in ambito didattico, a pieno titolo e non solo in maniera occasionale. È bene anzi che il mondo della scuola si attrezzi anche per produrre materiali di questo tipo, e per produrli con la collaborazione e la partecipazione degli studenti.

Figura 7 - Roberto Maragliano, Nuovo manuale di didattica multimediale
Figura 7 - Roberto Maragliano, Nuovo manuale di didattica multimediale

Non proponiamo certo una scuola che segua passivamente il modello comunicativo offerto dalla televisione, spesso pessimo. Ma - come ha sottolineato con forza Maragliano - una scuola totalmente refrattaria a codici comunicativi musicali e visivi sarebbe una scuola estranea all'ambiente esperenziale dei suoi fruitori - in altri termini, nuovamente, una scuola lontana dalla vita. E non saprebbe rispondere a uno dei suoi compiti fondamentali, quello di addestrare alla valutazione critica dell'informazione che gli studenti ricevono all'interno della società in cui vivono.

Molto altro potrebbe essere detto sui possibili usi delle nuove tecnologie nel mutamento delle pratiche didattiche tradizionali. Occorre però forse soffermarsi anche su alcuni rischi che è bene tener presenti, soprattutto in una fase di penetrazione ancora in parte confusa e disorganizzata dei nuovi media nella scuola.

Innanzitutto, il rischio di un certo 'fanatismo tecnologico' che talvolta porta a ritenere che i nuovi media possano costituire strumenti didattici autonomi e autosufficienti, e dunque che il rapporto fra essi e la figura del docente sia quello di una progressiva anche se parziale sostituzione, o sia comunque tale da ridurre l'importanza del ruolo del docente.

È vero il contrario: ampliando il ventaglio di opzioni didattiche a sua disposizione, il docente acquista - e non perde - libertà di costruzione e organizzazione del percorso didattico. Nelle situazioni di didattica in presenza (e anche in molte situazioni di didattica a distanza) il computer o la videocassetta non possono e non devono sostituire l'insegnante, ma integrarsi all'interno di un progetto didattico unitario del quale l'insegnante è il regista, e al quale possono collaborare - con tanto maggior facilità in quanto le caratteristiche stesse degli strumenti usati sono tali da favorire questa collaborazione - anche gli altri docenti e gli allievi.

Un potenziale pericolo in parte collegato a quello appena ricordato viene poi dalla 'pigrizia d'uso' che può talvolta accompagnare l'uso delle nuove tecnologie da parte sia degli studenti, sia degli insegnanti. Un insegnante che abbia a disposizione un modulo audiovisivo sulla guerra dei trent'anni potrebbe pensare di 'risparmiarsi' il lavoro di preparazione della relativa lezione, sostituendo tout court la lezione frontale con la visione collettiva della videocassetta; la versione 'virtuale' di un esperimento di fisica su CD-ROM potrebbe indurre a rinunziare alla sua controparte reale, magari anche in situazioni in cui l'esperimento reale sarebbe facilmente realizzabile; e così via. Analogamente, uno studente abituato ad affidarsi troppo a strumenti di autovalutazione potrebbe guardare con fastidio altre situazioni di verifica, e potrebbe impostare il proprio studio più al fine di superare i test di autovalutazione (per molti versi comunque meccanici) che al fine di raggiungere una reale comprensione degli argomenti studiati.

Il tratto comune a tutti questi esempi (e molti altri se ne potrebbero fare) è rappresentato dall'idea che le nuove tecnologie offrano una 'voce didattica' singola e più autorevole, che sostituisce piuttosto che integrare quella del docente. È bene rendersi conto che quest'idea, del tutto sbagliata, spesso non è altro che un alibi per la tendenza a ridurre al minimo il lavoro da svolgere, da parte dello studente o da parte del docente. Una tendenza forse naturale, ma con la quale occorre fare i conti 'a viso aperto', senza mascherarla dietro un facile paravento tecnologico. Le nuove tecnologie non riducono né il lavoro dell'insegnante, né quello dello studente. D'altro canto non è neanche vero, come pure spesso si tende a credere, che rendano necessariamente più complesso e faticoso il lavoro di preparazione di una lezione, fino ai limiti dell'insostenibilità. Al contrario, a volte possono razionalizzarlo, permettendo inoltre di ottenere un risultato qualitativamente molto migliore. L'esempio rappresentato dall'uso di presentazioni video, del quale ci occupiamo in una scheda a parte), può essere indicativo: si tratta certo di un lavoro impegnativo (ma anche molto più creativo della preparazione di una lezione tradizionale); il suo risultato può essere però, oltre che didatticamente efficace, anche riutilizzabile, in forme e contesti diversi. Per affidarci a una metafora agricola, possiamo dire che coltivare bene un campo, anche con l'aiuto delle tecnologie più opportune, è molto più faticoso e complesso che seminare a mano e affidarsi agli elementi; ma il raccolto sarà poi maggiore e di migliore qualità.

Un rischio ulteriore dal quale vorremmo mettere in guardia è rappresentato dalla tendenza a pensare che le nuove tecnologie offrano una risposta specifica e adeguata a ogni problema o esigenza didattica. Può sembrare banale dirlo, ma non è affatto così. Anzi, in molti casi, l'uso delle nuove tecnologie costringe ad affrontare, magari in forme nuove, problemi che erano già familiari in contesti didattici più tradizionali. In altri casi, può presentarne di nuovi, anche gravi. Per fare solo un esempio, la diffusione delle nuove tecnologie all'interno dei nuclei familiari degli studenti tende spesso ad avvenire, sia per problemi di costi economici che di alfabetizzazione tecnologica e preparazione culturale, in maniera tale da approfondire - anziché limitare - le differenze socioeconomiche preesistenti, e questo costituisce evidentemente, oltre che un problema sociale complessivo, anche uno specifico problema didattico.

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Il problema della formazione dei docenti: imparare dagli studenti?

VC blocco 2 'Il ruolo del docente'Uno dei problemi più frequentemente citati quando si parla di uso didattico delle nuove tecnologie è quello della preparazione dei docenti. Preparazione spesso insufficiente, a causa da un lato della velocità del progresso tecnologico, che rende rapidamente obsolete le competenze specifiche offerte i questo campo ai docenti dal loro processo formativo, dall'altro del più classico dei circoli viziosi: le strutture che dovrebbero formare i docenti - a cominciare dall'università - sono esse stesse largamente impreparate.

Si tratta di un problema di grande rilievo, affrontato più volte, in molteplici sedi e attraverso un ventaglio assai ampio di posizioni e di proposte. In questa sede, vorremmo discutere brevemente tre punti che ci sembrano particolarmente importanti.

In primo luogo, l'addestramento all'uso e alla padronanza delle nuove tecnologie ha sempre una fortissima componente di lavoro (e motivazione) individuale. Non si tratta di scaricare sul docente l'intera responsabilità della propria 'formazione tecnologica' - mossa che sarebbe evidentemente poco produttiva, oltre che sbagliata - ma di sollecitarlo ad agire anche individualmente: le nuove tecnologie non mordono, l'apprendimento per tentativi ed errori non è sempre il più veloce ma in genere - soprattutto in campo informatico - produce risultati duraturi ed efficaci, le librerie sono piene di manuali di tutti i tipi atti ad introdurre in maniera per quanto possibile piana ed agevole tematiche anche complesse, molto può essere fatto anche attraverso l'uso individuale di programmi didattici per computer, e non è ormai difficile trovarsi accanto, anche nel mondo scolastico, colleghi (e magari studenti) più preparati ai quali chiedere aiuto e suggerimenti.

Certo, tutto questo non può bastare, e non può scaricare il mondo scolastico e universitario dal compito fondamentale di 'formare i formatori'. Ma senza la spinta rappresentata dalla curiosità e dall'iniziativa individuale la sfida in questo campo sarebbe persa in partenza: spesso è la natura stessa degli strumenti che si vuole imparare a conoscere, a richiedere una familiarizzazione e un addestramento anche autonomo e individuale. In alcuni casi, questo può comportare per l'insegnante investimenti di tempo e denaro non indifferenti. La scuola dovrà trovare il modo di riconoscere ed incentivare questi investimenti individuali, e dovrà fornire un contesto nel quale inserirli e coordinarli, in modo da evitare la dispersione e il disorientamento: si tratta di un compito del quale è difficile sopravvalutare l'importanza. Dal canto nostro, non possiamo che raccomandare all'insegnante di fare questi investimenti: difficilmente se ne pentirà.

In secondo luogo, occorre sollecitare non solo i singoli docenti, ma anche gli istituti a informarsi, seguire, sfruttare il più possibile le iniziative di formazione disponibili, a cominciare da quelle previste dal Ministero e da strutture come IRRSAE e Università. Il ruolo che in questo contesto possono avere i singoli istituti scolastici è fondamentale, anche per la larga autonomia che è ormai loro riconosciuta. Per gli istituti non si tratta più solo di fare da 'cinghia di trasmissione' di informazioni provenienti dall'alto, ma anche di muoversi autonomamente per sollecitare, spingere alla partecipazione e se del caso organizzare o coordinare direttamente iniziative di formazione dei propri docenti. Naturalmente, è importante che questo accada non in maniera spontaneistica e disorganizzata ma seguendo modelli precisi e ragionevolmente uniformi. Anche per questo motivo, abbiamo riportato in un'apposita scheda la sezione della guida al PSTD dedicata alla formazione dei docenti; ricordiamo comunque che notizie e materiali più aggiornati possono essere reperiti sul sito Internet del Ministero della pubblica istruzione, all'indirizzo http://www.istruzione.it Esci da MediaMente. Una menzione particolare merita anche il prezioso sito della Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze http://www.bdp.it/ Esci da MediaMente, che fornisce ulteriori strumenti e numerosi link a risorse in rete dedicate alla didattica e alla formazione.

Figura 8 - Il sito della Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze
Figura 8 - Il sito della Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze

Infine, vorremmo toccare, anche se brevemente, uno dei temi 'classici' del dibattito sulla formazione dei docenti: il 'gap' di competenze che può a volte sussistere fra studenti e docenti, a tutto favore dei primi. Un gap che ha portato molti a rilevare come nel campo delle nuove tecnologie possa molto spesso accadere che siano i docenti a dover imparare dagli studenti, e non viceversa.

E' inutile negare che in alcuni casi questo possa essere vero. Riteniamo però che occorra guardare a questa prospettiva, che spaventa (a torto!) molti insegnanti, cum grano salis. Innanzitutto, va notato che le competenze degli studenti all'interno della classe restano comunque di norma assai differenziate. Alcuni studenti possono avere una particolare familiarità con i nuovi media (e in particolare con l'informatica), ma molti altri non ne avranno alcuna. L'insegnante non si trova dunque davanti a una situazione in cui dover abdicare al proprio ruolo a favore di una generazione compatta di 'piccoli mostri' tecnologici, ma in una situazione in cui poter sfruttare nel lavoro didattico quotidiano, a vantaggio proprio ma anche del resto della classe, le eventuali competenze specifiche già acquisite da alcuni dei propri allievi, per promuovere una formazione che riguarda comunque tutti i partecipanti al dialogo didattico.

Questa situazione dovrà essere gestita con saggezza, trasformandola in una occasione di apprendimento cooperativo, e tenendo sempre presente che le competenze degli allievi, pur essendo talvolta assai sviluppate, possono tendere a essere 'poco meditate': sarà allora il docente che potrà spingere alla riflessione e all'inquadramento di competenze prevalentemente pratiche all'interno di un contesto più complesso e generale. Occorrerà anche guardarsi dal rischio di scambiare la padronanza dello strumento tecnologico utilizzato per l'apprendimento, con la padronanza degli argomenti trattati.

Se bene affrontata, dunque, la situazione in cui si 'impara dagli studenti' (e perché non si dovrebbe? Forse che il dialogo didattico e l'attività di insegnamento non costituiscono in ogni caso una occasione di formazione continua per il docente?) si trasforma in una situazione in cui si impara con gli studenti. Una situazione che, lungi dallo svuotare di significato la figura del docente, gli può offrire al contrario - e lo diciamo per esperienza diretta - particolari soddisfazioni.

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Conclusioni

Le brevi osservazioni che abbiamo raccolto fin qui non costituiscono evidentemente una trattazione esaustiva del complesso problema costituito da un lato dagli usi delle nuove tecnologie nella didattica, e dall'altro dalla didattica delle nuove tecnologie. Speriamo tuttavia che possano fornire un primo inquadramento generale, utile in primo luogo agli studenti e agli insegnanti, ma anche, più in generale, a chi si rende conto - e dovremmo rendercene conto tutti - che è proprio nel campo dell'educazione che si gioca la partita più importante relativa alla comprensione e all'uso consapevole delle nuove tecnologie.

Molto altro, certo, dovrebbe essere detto. In particolare, una trattazione approfondita avrebbe certo meritato la tematica del futuro del libro di testo e del rapporto fra libro di testo e strumenti multimediali. Non v'è dubbio, infatti, che il libro di testo uscirà profondamente modificato dalla rivoluzione multimediale, e probabilmente, anziché parlare singolarmente di 'libro di testo', dovremo parlare di materiali di studio e di supporto, auspicabilmente coordinati e integrati fra loro, nei quali la scrittura sarà usata in forme, strutture e modulazioni assai varie, e sarà affiancata da codici comunicativi diversi. Per i motivi già discussi nella settima dispensa, non riteniamo però che questo debba comportare necessariamente la fine della cosiddetta 'cultura del libro', ma piuttosto la sua integrazione e il suo sviluppo. Non possiamo approfondire qui la questione, complessa ed affascinante, ma abbiamo inserito nel CD-ROM un testo che approfondisce proprio questo problema.

Un altro argomento - solo apparentemente più pratico - al quale sarebbe stato certo utile dedicare più spazio è rappresentato dall'uso di Internet in ambito scolastico. Le esperienze fatte al riguardo sottolineano tutte da un lato l'entusiasmo dei ragazzi, dall'altro però il timore degli insegnanti che lo strumento possa sfuggire al controllo, e la preoccupazione di dover sorvegliare costantemente la navigazione e i siti visitati, per evitare 'deviazioni' poco compatibili con l'ambiente scolastico, a cominciare dai siti pornografici.

Si tratta certo di problemi reali, ed è indubbio che una certa vigilanza è opportuna. Vorremmo però raccomandare anche una buona dose di pragmatismo. Gli studenti hanno mille occasioni, nel mondo che li circonda, per 'navigazioni' spesso ben più pericolose di quelle sulle pagine di un sito pornografico, e d'altro canto il divieto e la sanzione in questi casi possono poco, da un lato perché entrano in conflitto con la natura di risorsa informativa generale propria della rete, dall'altro perché da sempre il fascino del proibito può tendere ad incentivare piuttosto che disincentivare i comportamenti che si vorrebbe sanzionare. La scuola può certo cercare di disincentivare usi poco opportuni della rete, sia attraverso la presenza (più che la censura) degli insegnanti, sia, se proprio lo si ritiene opportuno, attraverso l'installazione di prodotti software che blocchino la navigazione su alcuni fra i siti dal contenuto meno accettabile. Riteniamo però che sarebbe sbagliato limitare più di tanto l'uso - anche libero - di Internet da parte degli studenti: una scuola che affrontasse l'educazione degli studenti alla rete preoccupandosi principalmente di come esercitare uno stretto controllo censorio non renderebbe un buon servigio né ai propri allievi, né alla società.

VC blocco 4 'Colmare le disuguaglianze'Ancora, una trattazione a parte avrebbe meritato il problema dell'uso delle tecnologie informatiche come ausilio per quello che è uno fra gli scopi fondamentali della didattica, quello di colmare le diseguaglianze nell'accesso all'istruzione. Si tratta di un tema sul quale ci siamo comunque brevemente soffermati nella videocassetta che accompagna questa dispensa.

Infine, un altro tema che avrebbe richiesto una trattazione ben più ampia di quella possibile nella breve scheda che gli abbiamo dedicato è sicuramente quello della didattica a distanza. Anche in questo caso, e forse soprattutto in questo caso, le nuove tecnologie aprono un ventaglio larghissimo di nuove possibilità. Internet da un lato e le reti televisive tematiche satellitari dall'altro non sono che i due elementi più recenti di un quadro che comprende moltissime applicazioni, dai corsi su audio e videocassette ai programmi di autoapprendimento. In un certo senso, anche il nostro corso costituisce una sperimentazione dell'uso di nuove tecnologie per la didattica a distanza. Si tratta di un tema che non possiamo sviluppare ulteriormente all'interno di queste dispense, ma al quale sono dedicate numerose fra le interviste della biblioteca digitale inserite sul CD-ROM e disponibili in rete Esci da MediaMente; rimandiamo dunque a tali risorse - oltre che ai testi citati in bibliografia - per un approfondimento ulteriore.

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Esercizi

  1. (per insegnanti e studenti) Immaginate di dover illustrare alla classe l'assetto costituzionale di un paese straniero. Quali strumenti possono esservi utili? Che tipo di sussidi multimedialipotreste eventualmente utilizzare, e in che modo potreste reperirli?
  2. (per insegnanti e studenti) La vostra scuola dispone di un laboratorio multimediale? Quali sono i suoi punti di forza, e quali le sue carenze? Supponete di avere un budget di 50 milioni per aggiornarlo e ampliarlo: quali acquisti riterreste utile programmare?
  3. (per insegnanti e studenti) Attraverso una navigazione su World Wide Web, individuate e confrontate fra loro i siti di dieci scuole diverse di indirizzo analogo alla vostra. Quale sito vi sembra migliore, e perché? Se la vostra scuola dispone già di un sito Internet: quali integrazioni e cambiamenti vi sono suggeriti dalla navigazione che avete fatto? Se non ne dispone: come progettereste il vostro sito, alla luce della navigazione che avete fatto?
  4. (per insegnanti e studenti) Dividete la classe in due gruppi, scegliete un argomento non ancora affrontato e fate preparare uno dei gruppi solo attraverso strumenti tradizionali (libro di testo, biblioteca.) e uno solo attraverso una navigazione su Internet. Ognuno dei due gruppi avrà a disposizione un'ora per proporre un'esposizione introduttiva dell'argomento scelto. Confrontate le due esposizioni, cercando di individuare vantaggi e debolezze delle due diverse strategie di preparazione. Ognuno dei due gruppi potrà poi completare la propria preparazione attraverso gli strumenti che nella prima fase aveva utilizzato l'altro gruppo.
  5.  (per insegnanti e studenti) Scegliete un CD-ROM didattico e, dopo averlo utilizzato e averne esplorato adeguatamente caratteristiche e potenzialità, compilate una scheda di valutazione che illustri i suoi punti di forza e le sue carenze. Se possibile, provate a confrontarlo con un altro CD-ROM di argomento analogo, o con materiale disponibile in rete.
  6.  (per insegnanti) Provate a immaginare il programma di un corso di aggiornamento per docenti su didattica e multimedialità: quali argomenti dovrebbero essere affrontati, e in che modo? Quali sono le competenze di cui disponete già, e quali quelle che avreste bisogno di acquisire?
  7. (per studenti) Attraverso uno dei molti indirizzari disponibili in rete (ad esempio la bacheca raggiungibile all'indirizzo http://www.quipo.it/parlaeuropa/homeit.html Esci da MediaMente), contattate un 'amico di penna' di un altro paese, con il quale corrispondere attraverso Internet.

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Alcuni riferimenti bibliografici

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  • Fasano M., et alii, Telematica e processi di trasposizione didattica, DIDAMATICA '96, Atti 1, AICA, Cesena 1996
  • Garito, M.A. (a cura di), Multimedia and Distance Learning for Science and Technology, Garamond, Roma 1995
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  • Maragliano, R., Esseri multimediali. Immagini del bambino di fine millennio, La Nuova Italia, Firenze 1996
  • Maragliano, R., Nuovo manuale di didattica multimediale, Laterza, Roma-Bari, 1998
  • Maragliano, R., Tre ipertesti su multimedialità e formazione, Laterza, Roma-Bari, 1998
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