Lezione n. 10
Lo studio e i nuovi media
di Gino Roncaglia
Argomenti associati:
Facendo
clic su questa icona si aprirà la scheda di
approfondimento |
|
Il PSTD 1997-2000 |
|
Laboratorio multimediale: gli
'ingredienti' |
|
Stazione multimediale di classe |
|
Dalla lavagna alle presentazioni video |
|
Didattica a distanza |
|
Guida al PSTD |
|
Oltre la 'cultura del libro'? |
|
Argomenti trattati nella lezione 10:
Il
corso che avete in mano è rivolto a chiunque abbia interesse a
conoscere e capire alcune delle caratteristiche fondamentali della
cosiddetta 'rivoluzione digitale'. Non possiamo (e non vogliamo)
nascondere, però, che nel lavoro di ideazione e preparazione di
questo materiale abbiamo avuto particolarmente presenti due fasce di
utenza specifiche e strettamente collegate: gli studenti e gli
insegnanti.
Perché questa scelta? In primo luogo, perché siamo convinti che
la crescita di una cultura capace di utilizzare i nuovi media in
maniera attiva e consapevole dipenda in gran parte dalla capacità
di trasformare il mondo scolastico e universitario anche in
un centro di educazione permanente alla multimedialità e ai suoi
linguaggi. Viviamo in un ambiente che è già multimediale.
In un certo senso, lo è sempre stato. Ma la rivoluzione digitale
permette di integrare e coordinare linguaggi, strumenti e progetti
comunicativi in maniera per molti versi nuova, spesso più efficace.
Una eventuale chiusura del mondo scolastico a questa realtà avrebbe
l'effetto di allontanare la scuola da prassi comunicative (e
conoscitive) che fanno ormai parte dell'ambiente sociale e culturale
di ogni cittadino, e in particolare dei giovani. In ultima analisi,
avrebbe l'effetto di allontanare la scuola dalla vita.
C'è però un altro aspetto che, se possibile, è ancora più
importante. Il mondo dei nuovi media costituisce l'ambiente
comunicativo e conoscitivo del domani, e per certi versi già
dell'oggi. Ma abbiamo
già visto che questo ambiente, le sue priorità, i suoi
strumenti, i suoi meccanismi di funzionamento, non costituiscono un dato,
una realtà univocamente determinata dall'evoluzione tecnologica.
Come ogni ambiente culturale e sociale, costituiscono invece una
realtà viva, in continua evoluzione, all'interno della quale le
nostre scelte hanno un peso. Sappiamo bene che l'educazione alla
consapevolezza critica è fra i compiti fondamentali della scuola,
anzi è forse il compito scolastico per eccellenza. Se la
scuola venisse meno a questo compito proprio rispetto al mondo dei
nuovi media, alle sue caratteristiche, alle sue implicazioni,
rischierebbe di produrre una generazione che, pur vivendo in un
ambiente ricco dal punto di vista comunicativo e multimediale, non
sarebbe in grado di percepire questo ambiente come risultato anche
delle nostre scelte e delle nostre opzioni, come una realtà
culturale e sociale da analizzare criticamente e all'interno della
quale esercitare a propria volta valutazioni e scelte.
A volte, i critici del mondo dei nuovi media tendono a
rappresentarlo come una sorta di mostruosa cospirazione aziendale,
mirante ad annullare - attraverso il controllo di fatto sugli
strumenti di comunicazione - le capacità di scelta e di valutazione
del singolo. Questa immagine è (per fortuna) largamente fuorviante.
Di più: è un'immagine che nasconde spesso paure e incapacità
nell'affrontare le sfide rappresentate dai nuovi linguaggi e dai
nuovi strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione digitale.
Ma se non siamo capaci di abituare i giovani a un uso
criticamente consapevole di questi strumenti, se lasciamo che essi
vengano percepiti come un mero dato tecnologico, rischiamo di
produrre una situazione che, seppure per motivi assai diversi da
quelli che vorrebbero i nuovi paladini della guerra alla tecnologia,
può finire per avverare alcune fra le loro funeste profezie.
Occorre essere chiari: è prima di tutto la scuola che deve
rispondere al compito di educare su larga scala le nuove generazioni
a divenire cittadini di quel nuovo ambiente culturale e sociale nel
quale i media digitali hanno un ruolo così centrale, e a divenirne
cittadini consapevoli, capaci di operare razionalmente scelte e
valutazioni. Se la scuola non riuscisse a rispondere a questo
compito, sarebbe la società nel suo complesso a correre un grosso
rischio.
|
Figura 1 - Tecnologie
multimediali per la scuola: un laboratorio informatico |
Da questo punto di vista, risultano particolarmente preoccupanti
alcuni fra i dati che emergono dalle statistiche esistenti sulla
diffusione delle tecnologie multimediali nella scuola italiana,
statistiche che mostrano come soprattutto i licei classici, ma anche
i licei scientifici, siano in deciso ritardo, in questo settore,
rispetto agli istituti tecnici e professionali. Se è confortante
rilevare che molti istituti tecnici e professionali hanno già
imboccato la strada della multimedialità, colpisce tuttavia che
siano proprio le scuole tradizionalmente considerate 'culturalmente
più prestigiose' a denunciare un ritardo maggiore. L'idea che la
formazione della 'classe dirigente' del futuro spetti solo ai licei
classici è per fortuna superata, ma questi dati tradiscono
un'immagine 'tecnicista' delle nuove tecnologie del cui pericolo è
bene essere coscienti. Se non si corre ai ripari, il rischio è che
gli studenti che escono dai licei classici e scientifici siano non
già i più preparati, ma i meno preparati a rispondere a molte fra
le sfide culturali del mondo in cui si troveranno a vivere.
Il discorso che abbiamo fatto finora, e le considerazioni che
svolgeremo nel corso di questa dispensa, possono sembrare rivolti
soprattutto agli insegnanti. In realtà, non è così. Molti
osservatori hanno sottolineato come lo sviluppo dei nuovi media
tenda a determinare, fra l'altro, un 'gap', un salto generazionale
che vede per certi aspetti la generazione dei docenti 'indietro'
rispetto alle competenze dei loro stessi studenti. Si tratta di un
tema molto discusso, sul quale torneremo in
seguito. Ma proprio perché queste osservazioni hanno un qualche
fondamento, è importante che gli studenti partecipino direttamente,
in prima persona, alla costruzione di un paradigma scolastico capace
di rispondere alle sfide della multimedialità. È importante che
siano consapevoli dei cambiamenti nei metodi e negli strumenti
dell'insegnamento. Ed è importante anche che siano consapevoli
delle difficoltà che le strutture scolastiche (e in primo luogo i
docenti) possono incontrare nell'avviare questi cambiamenti. L'idea
di una didattica collaborativa, in cui docenti e studenti
cooperino per il conseguimento di certi obiettivi, può sembrare ad
alcuni la premessa di una pericolosa confusione di ruoli. A ben
vedere, però, un processo educativo efficace è (o dovrebbe essere)
comunque collaborativo, e questo, di per sé, non comporta affatto
l'annullamento della specificità del rapporto docente-discente.
Insomma: vorremmo che gli studenti leggessero queste pagine senza
rinunciare al loro punto di vista di studenti, ma cercando anche di
capire i problemi specifici che l'uso dei nuovi media pone alle
scuole e ai loro insegnanti. Questi problemi, e le diverse soluzioni
che ad essi possono essere date, li riguardano direttamente.
Un primo problema che ci si trova ad affrontare nel programmare,
in ambito scolastico, iniziative di educazione ai nuovi media, è
quello della loro collocazione nell'ambito del curriculum didattico.
Possiamo individuare, a questo riguardo, tre possibili soluzioni,
ciascuna delle quali ha i suoi sostenitori, e presenta, come
vedremo, vantaggi e svantaggi.
In primo luogo, è possibile prevedere una materia apposita, da
aggiungere al curriculum didattico tradizionale. Si tratta di una
strada esplorata soprattutto in ambito americano, dove i media
studies fanno ormai parte del curriculum di moltissime scuole
superiori e college.
Una seconda possibilità è quella di riservare a tali argomenti
uno spazio extracurricolare, all'interno delle ore di attività
integrative previste nella maggior parte degli istituti scolastici.
Per vari motivi - non ultimo quello rappresentato dalla
flessibilità di questa scelta, che permette al singolo istituto di
organizzare e calibrare in maniera totalmente autonoma le attività
didattiche previste nell'ambito dell'educazione ai nuovi media -
si tratta di una strada che sembra incontrare un certo favore nel
nostro paese.
Infine, si può pensare di integrare in maniera 'distribuita' lo
studio dei nuovi media all'interno del curriculum didattico
esistente, prevedendo che una introduzione al loro uso sia fornita
contestualmente alle singole attività di studio nell'ambito delle
diverse materie, in tutte le occasioni nelle quali tali attività
comprendano l'impiego di strumenti multimediali.
La scelta fra queste diverse soluzioni può avere una ricaduta
anche sulla selezione e sull'organizzazione delle attrezzature
multimediali utilizzate all'interno della scuola: la scelta di
rendere totalmente o parzialmente autonomi i cosiddetti media
studies sembra infatti suggerire la concentrazione degli
strumenti informatici e multimediali in un laboratorio separato, nel
quale gli studenti si recheranno nelle ore dedicate allo studio di
questa materia. D'altro canto, l'idea di uno studio 'distribuito'
nell'ambito di più materie sembra presupporre la disponibilità
degli strumenti informatici nelle singole classi, in modo da poterli
utilizzare in ogni momento, nei vari contesti dell'attività
didattica quotidiana.
Dicevamo che le diverse soluzioni proposte presentano vantaggi e
svantaggi. Prima di provare a delineare la nostra risposta,
cerchiamo di capire meglio il perché, e di valutarli insieme.
Indubbiamente, un addestramento efficace all'uso dei computer e
dei nuovi media presuppone anche lo studio di argomenti
specifici - molti fra i quali abbiamo cercato di affrontare, in
maniera introduttiva, nelle prime dispense di questo corso. E'
evidente che la comprensione dell'architettura interna e dei
principi logici basilari di funzionamento di un computer, ad
esempio, richiede una trattazione almeno parzialmente autonoma (noi
ne abbiamo parlato nella seconda dispensa).
Siamo convinti che, nell'ambito di una educazione scolastica all'uso
dei nuovi media, prevedere tale trattazione sia non solo utile ma
indispensabile, anche per evitare che il computer sia considerato
come una sorta di 'oggetto magico' che si può utilizzare, ma i cui
principi di funzionamento restano appannaggio esclusivo di una
ristretta casta di esperti. Da questo punto di vista, la prima fra
le soluzioni sopra prospettate può sembrare preferibile, anche
perché riconosce alle tematiche di cui ci stiamo occupando un pieno
diritto di cittadinanza all'interno del curriculum scolastico,
considerandole come argomenti che devono ormai far parte integrante
del bagaglio conoscitivo e di competenze fornito dalla scuola ad
ogni studente.
D'altro canto, la 'compartimentizzazione' di questo tipo di studi
all'interno di una singola materia rischia di far perdere di vista
la portata globale che caratterizza - anche in ambito didattico
- la 'rivoluzione digitale', fornendo un facile alibi a resistenze
e rifiuti, soprattutto per quanto riguarda l'uso dei nuovi media
nello studio delle scienze umane. Si rischia cioè che, una volta
previsto uno spazio istituzionale e autonomo per i media studies,
gli insegnanti delle altre materie siano tentati di lavarsene le
mani, rinunciando alla fatica - ma anche alla sfida e ai vantaggi
- di un uso di strumenti didattici avanzati nell'ambito delle
rispettive discipline.
|
Figura 2 - Un
laboratorio informatico |
La seconda fra le opzioni delineate, quella dell'inserimento
dello studio dei nuovi media in spazi autonomi extracurricolari, ha
indubbiamente il vantaggio della flessibilità organizzativa. Scuole
diverse, o addirittura classi diverse all'interno di una stessa
scuola, possono così scegliere autonomamente se, in che forma e con
quali obiettivi fornire corsi specifici di avvicinamento ai nuovi
media, eventualmente sfruttando docenti esterni o offrendo agli
studenti la scelta fra più indirizzi differenziati.
Questa strada presenta tuttavia un duplice rischio, che sarebbe
pericoloso sottovalutare: da un lato quello di presentare come
facoltativi e dunque in qualche misura secondari insegnamenti che
forniscono invece competenze ormai indispensabili per l'inserimento
culturale e lavorativo dei giovani; dall'altro, quello di favorire
una eccessiva differenziazione di approcci e curricola, che
può sfociare in una vera e propria babele formativa nella quale a
studenti diversi, anche all'interno di uno stesso indirizzo di
studi, sono fornite competenze radicalmente diverse fra loro, sia
nei livelli di approfondimento raggiunti, sia negli argomenti
affrontati.
La terza fra le opzioni considerate prevede che lo studio dei
nuovi media debba avvenire non già in spazi autonomi, ma
all'interno del normale curriculum didattico. Così, ad esempio, una
introduzione all'uso dei programmi di videoscrittura potrebbe
avvenire nell'ambito dell'insegnamento di italiano, col vantaggio di
presentare tale strumento informatico non in maniera 'tecnica' ed
astratta, ma nel contesto nel quale la discussione della pratica
della scrittura si inserisce in maniera più naturale e consapevole.
Analogamente, la lezione di matematica potrebbe fornire il contesto
nel quale imparare ad utilizzare programmi di calcolo, un
addestramento all'uso dei fogli elettronici potrebbe accompagnare lo
studio delle procedure di stesura e verifica di un bilancio, CD-ROM
e strumenti multimediali potrebbero integrare la lezione frontale un
po' in tutte le materie, ma in particolare nello studio delle lingue
straniere e delle scienze, lo studio della musica potrebbe offrire
l'occasione per avvicinare gli studenti agli strumenti di gestione
informatizzata dei suoni, e così via.
Come si è accennato, questo approccio ha alla sua base l'idea
secondo cui la rivoluzione digitale ha una portata globale e una
natura intrinsecamente trasversale, coinvolgendo potenzialmente
tutte le discipline e le attività professionali. Sarebbe dunque
sbagliato considerarla una materia fra le altre: è invece
necessario coinvolgere nella sperimentazione didattica delle nuove
tecnologie l'intero corpo docente, individuando - materia per
materia - le forme più opportune di utilizzazione degli strumenti
didattici e multimediali. Proprio il coinvolgimento dell'intero
corpo docente dovrebbe inoltre ridurre il rischio di un contrasto
insanabile fra le pratiche didattiche 'avanzate' adottate nello
studio delle nuove tecnologie e le pratiche didattiche
'tradizionali' che altrimenti, per la naturale resistenza di un
corpo docente non coinvolto nella sperimentazione di nuovi
strumenti, continuerebbero a dominare incontrastate l'ambito delle
altre materie curricolari, e in particolare di quelle umanistiche.
D'altro canto, non ci si può nascondere che la 'distribuzione'
su più discipline della formazione relativa ai nuovi media non
manca di presentare problemi: innanzitutto, sembra presupporre un
corpo docente uniformemente dotato delle competenze necessarie a
utilizzare le nuove tecnologie in ambito didattico, e ad addestrare
a propria volta gli studenti al loro uso. È inutile nascondersi,
tuttavia, che la situazione non è così rosea. Inoltre, per evitare
di lasciare 'zone d'ombra' e avere la garanzia di toccare in maniera
sufficientemente sistematica i settori e i problemi fondamentali del
mondo dei nuovi media, un addestramento 'distribuito' di questo tipo
presuppone un'alta capacità di coordinamento fra i vari docenti e
di pianificazione a livello di istituto: una esigenza che, anche in
questo caso, rischia di scontrarsi con situazioni concrete non
sempre ideali.
Anche supponendo che questi problemi possano essere superati,
magari con l'aiuto di opportuni interventi di indirizzo e formazione
da parte del Ministero e dei singoli istituti, resta inoltre aperta
una questione teorica di un certo rilievo: un approccio di questo
genere sembra funzionale ad un addestramento all'uso dei
nuovi media, ma sembra più difficile da conciliare con l'esigenza
di uno studio, anche se introduttivo, dei principi - teorici e
ingegneristici - alla base del loro funzionamento.
Ognuna delle opzioni considerate presenta dunque vantaggi e
svantaggi. A ben guardare, una parte dei problemi deriva dalla
potenziale confusione fra lo studio dei nuovi media e lo
studio coi nuovi media, riferito trasversalmente a molte
discipline. Si tratta di due aspetti evidentemente interconnessi, ma
che sarebbe pericoloso confondere. Alla luce delle considerazioni
fin qui svolte, qual è allora la strategia che è preferibile
adottare?
A costo di rischiare l'ovvietà, ci sembra che la risposta
migliore alle esigenze di formazione all'uso dei nuovi media sia
data da una strategia che integri elementi di tutte e tre le opzioni
sopra delineate, cercando di massimizzarne i vantaggi e di
limitarne, proprio attraverso l'integrazione, gli svantaggi
specifici.
Pensiamo così che occorra trovare uno spazio specifico per lo
studio dei principi generali di funzionamento di alcune
tecnologie fondamentali - in primo luogo il computer e le reti
telematiche - e che questo spazio debba essere curricolare, per
garantire anche in questo campo (divenuto fondamentale per
l'inserimento nel mondo del lavoro) un minimo di uniformità nella
formazione di base. Le dispense di questo corso danno un'idea degli
argomenti che a nostro avviso andrebbero trattati in tale sede -
argomenti dunque non solo tecnici o ingegneristici, ma comprendenti
anche alcuni principi fondamentali di teoria della comunicazione, e
aperti alla considerazione della dimensione sociale e culturale
dell'uso dei nuovi media. Riteniamo però che la pratica d'uso dei
nuovi media non vada limitata a tale spazio curricolare specifico,
ma debba attraversare trasversalmente l'insieme delle discipline
scolastiche, tenendo presente che i nuovi media non forniscono solo strumenti
didattici ma veri e propri ambienti cognitivi
all'interno dei quali è possibile prevedere una pluralità di
pratiche didattiche diverse.
L'idea di una 'distribuzione' dell'uso delle nuove tecnologie
all'interno delle varie discipline non deve dunque in alcun modo
essere sacrificata alla pur necessaria formazione specifica sui
principi di base del loro funzionamento. Al contrario, fra queste
due situazioni didattiche - spazio autonomo dedicato a una
introduzione ai principi di base delle nuove tecnologie, e in
particolare di quelle digitali, e loro uso 'distribuito' all'interno
dei singoli insegnamenti curricolari - dovrebbe svilupparsi una
proficua collaborazione, nella quale al primo di tali ambiti siano
riservati da un lato la costruzione di una 'base comune' di
competenze teoriche e pratiche sulla quale sviluppare poi le
esperienze didattiche specifiche nelle singole materie, dall'altro
una sorta di 'metalivello' di riflessione e raccordo, nel quale
l'esito di tali esperienze possa essere a sua volta ricondotto ed
analizzato.
Non si tratta però, va detto subito e a scanso di equivoci, di
trasformare gli spazi specifici destinati allo studio dei nuovi
media in una sorta di forum supremo - e valutativo - rispetto alle
pratiche didattiche adottate all'interno delle altre discipline, o
di farne il luogo in cui riproporre la contrapposizione fra
didattica generale e didattiche di settore. Si tratta piuttosto di
sfruttare questo spazio anche per riflettere insieme agli
studenti su quali tecnologie entrino a far parte della loro
esperienza di studio, e su come esse vengano utilizzate, permettendo
così fra l'altro di fornire un ancoraggio concreto a nozioni
tecniche e principi teorici che rischierebbero altrimenti di essere
percepiti come puramente astratti.
Una collaborazione proficua fra l'insegnamento dei cosiddetti media
studies (all'interno dei quali, come si è accennato,
l'informatica ha un ruolo rilevante ma non esclusivo) e gli altri
insegnamenti settoriali potrebbe anche contribuire a ridurre i
problemi collegati alla scarsa preparazione dei docenti nell'uso
delle nuove tecnologie. La soluzione qui delineata garantirebbe
infatti la presenza nell'ambito scolastico di competenze tecniche
specifiche che possano essere utilizzate anche dagli altri docenti,
soprattutto al momento dell'avvio di esperienze didattiche per loro
ancora poco familiari. E farebbe correttamente percepire, sia agli
studenti, sia al resto del corpo docente, il carattere non meramente
strumentale di queste competenze, assicurate non già da
'collaboratori tecnici' didatticamente subordinati, ma da figure
docenti dotate di piena titolarità di insegnamento.
Abbiamo fin qui delineato l'ipotesi di una integrazione fra la
prima e la terza opzione: previsione cioè di un insegnamento
specifico di introduzione ai nuovi media e alle tecnologie digitali,
e 'distribuzione' dell'uso didattico di queste stesse tecnologie
all'interno delle diverse discipline. Si deve forse concludere che
sia preferibile accantonare la seconda fra le opzioni considerate,
quella che suggerisce l'impiego per questi fini di spazi didattici
extracurricolari? Non necessariamente. Va detto tuttavia che a
nostro avviso questi spazi possono essere utilizzati proficuamente
solo a condizione che ad essi non venga affidato il compito di
fornire competenze generali e di base: tali competenze vanno
garantite a tutti gli studenti, e devono avere pieno diritto di
cittadinanza all'interno della formazione scolastica. La loro
introduzione più o meno surrettizia in spazi didattici gestiti in
maniera troppo differenziata o destinati a pochi studenti è
comprensibile solo in una fase iniziale e transitoria, in cui le
strutture formative, che sono anche, forse inevitabilmente, una
'macchina burocratica', avviano la non facile manovra di adeguamento
a una realtà didattica - ma soprattutto esperenziale - che sta
conoscendo cambiamenti particolarmente rapidi e radicali.
Questo però non significa che gli spazi extracurricolari non
possano essere sfruttati anche per un approfondimento dell'uso delle
nuove tecnologie. Tali spazi possono al contrario costituire la sede
ideale - oltre che per la formazione dei docenti - per
sperimentazioni particolarmente avanzate o innovative, per progetti
specifici, o per avviare, anche nel campo dei nuovi media, forme di
collaborazione fra la scuola e il mercato del lavoro. Purché si
abbia chiaro che non di alfabetizzazione tecnologica si tratta, ma
di approfondimenti, integrazioni, sperimentazioni che presuppongono
tale alfabetizzazione, sotto forma di competenze di base fornite a
tutti gli studenti nell'ambito degli studi curricolari.
Abbiamo accennato poc'anzi al fatto che il conflitto fra la prima
e la terza impostazione sembra avere conseguenze anche sulla
concreta collocazione degli strumenti audiovisivi ed informatici
all'interno della scuola. La scelta di rendere totalmente o
parzialmente autonomi i media studies sembra infatti
suggerire la concentrazione di tali strumenti in un laboratorio
separato, nel quale gli studenti si recheranno nelle ore dedicate
allo studio di questa materia. Da questo punto di vista, il
'laboratorio multimediale' sembra proseguire idealmente l'esperienza
rappresentata dal laboratorio linguistico e audiovisivo: uno spazio
autonomo utilizzato prevalentemente nell'ambito di alcuni
insegnamenti, e comunque in momenti didattici specifici.
L'integrazione fra laboratorio linguistico e laboratorio
informatico, resa possibile dalle tecnologie digitali, tende così a
presentarsi più come una possibilità occasionale ed estrinseca di
risparmio di spazi e (non sempre) di spesa, che come primo indizio
di una convergenza tecnologica di ben più vasta portata.
D'altro canto, l'idea di uno studio 'distribuito' nell'ambito di
più materie sembra presupporre la disponibilità degli strumenti
informatici e multimediali nelle singole classi, a disposizione di
studenti e docenti in ogni momento dell'attività didattica. Si
tratta della prospettiva che in alcuni college americani ha già
portato a raggiungere l'obiettivo "one head, one PC", un
computer per ogni studente, e che nella situazione italiana (ma, a
onor del vero, anche di molti altri paesi europei) si indirizza
verso il più modesto ma più realistico obiettivo di una stazione
multimediale per classe.
Il lettore non si stupirà se, così come abbiamo auspicato una
integrazione più che una contrapposizione fra le diverse opzioni
sopra delineate per la didattica delle nuove tecnologie, ci sembra
preferibile una integrazione anche fra la prospettiva della
concentrazione in aule attrezzate degli strumenti informatici e
multimediali e quella della loro distribuzione nelle classi. La
scheda qui a fianco suggerisce una possibile configurazione di un
sistema di attrezzature multimediali d'istituto; in un modello di
tale genere, l'aula multimediale può servire in particolare
nell'ambito dell'insegnamento delle lingue straniere e delle nuove
tecnologie, ma anche nell'insegnamento delle altre materie, per
momenti didattici specifici che richiedano l'uso attivo del computer
da parte dei singoli studenti. Col diffondersi di pratiche
didattiche di questo tipo, istituti di medie e grandi dimensioni
finiranno probabilmente per prevedere che le aule dotate di
attrezzature multimediali individuali possano essere più di una.
|
Figura 3 - Laboratorio
informatico |
D'altro canto, le singole classi potranno essere dotate ciascuna
di una stazione multimediale che potrà essere utilizzata dal
docente nell'ambito della sua normale attività didattica: per
illustrare e sottolineare attraverso schermate esemplificative (si
veda la scheda 'Dalla
lavagna alle presentazioni video') punti specifici di una
lezione frontale, per integrare nella lezione materiali didattici
audiovisivi, per reperire, illustrare e discutere risorse di rete
sull'argomento affrontato, per permettere a uno studente o a gruppi
di studenti di illustrare alla classe i risultati di una autonoma
attività di ricerca, e così via.
Preme sottolineare che quest'uso 'quotidiano' delle risorse
multimediali di classe può (e dovrebbe) veramente riguardare in
maniera trasversale tutte le materie e molti tipi diversi di
attività didattica. Le risorse multimediali di classe non
dovrebbero cioè essere intese dal docente (e dagli studenti) come
una risorsa strumentale alla quale ricorrere in pochi casi
specifici, ma come un elemento costitutivo dell'ambiente di
insegnamento e di apprendimento.
Come è facile capire, in questa prospettiva le risorse
multimediali dell'aula attrezzata e quelle di classe non sono in
conflitto, dato che servono a scopi diversi.
Una parola, per concludere, sulla prospettiva "one head, one
PC", verso la quale, come si è accennato, sembra indirizzarsi
il mondo anglosassone, e in particolare quello statunitense. È
nostra convinzione che l'ipotesi qui prospettata (aula multimediale
d'istituto, e una stazione multimediale per classe) sia già
sufficiente a fare molto, moltissimo, soprattutto in una situazione
come quella italiana che sconta ancora in questo campo ritardi e
resistenze spesso notevoli. D'altro canto, è indubbio che per la
nostra organizzazione scolastica tale ipotesi rappresenti già,
finanziariamente e organizzativamente, uno sforzo considerevole, se
non una vera e propria sfida. Né ci si può nascondere che
l'organizzazione dell'attività di insegnamento in un ambiente
"one head, one PC" comporterebbe da parte del corpo
docente competenze e consuetudini didattiche ancora assai lontane da
quelle che possiamo ragionevolmente presupporre nella scuola
italiana (d'altro canto, le modalità del lavoro didattico in un
ambiente di questo tipo sono tutt'altro che chiare anche nelle
situazioni statunitensi di punta nelle quali tale equilibrio è
stato raggiunto). Non va dimenticato, infine, che i college e le
università statunitensi che hanno raggiunto o si avviano a
raggiungere questo obiettivo finanziano le relative spese attraverso
tasse di iscrizione e di frequenza assai più alte di quelle che noi
considereremmo accettabili, limitando di fatto l'accesso a studenti
provenienti da famiglie di fascia medio-alta.
Nonostante la validità di queste considerazioni, riteniamo
tuttavia che in una prospettiva di medio e lungo periodo anche il
sistema educativo italiano dovrà rispondere alla sfida "one
head, one PC". Per farlo, dovrà elaborare soluzioni
organizzative e gestionali innovative, sulle quali potrebbe essere
utile avviare fin d'ora qualche discussione e sperimentazione.
|
Figura 4 - L'articolo
6 del collegato alla legge finanziaria 1998 ha previsto per la
prima volta un contributo per l'acquisto di attrezzature
multimediali nelle scuole |
Una soluzione interessante da valutare potrebbe ad esempio essere
quella che vede il singolo studente proprietario del computer
utilizzato, prevedendo che il computer resti in classe nel periodo
di lezioni e venga invece portato a casa nei periodi di vacanza
estiva e invernale. I computer potrebbero essere acquistati, in una
configurazione standard, attraverso la scuola, in modo da ridurre al
minimo i costi unitari con un singolo acquisto complessivo. Lo stato
potrebbe inoltre intervenire per ridurre ulteriormente il prezzo dei
PC attraverso un meccanismo analogo a quello già sperimentato nella
finanziaria 1998, prevedendo un contributo (sotto forma di sgravio
fiscale per l'impresa produttrice) a condizione che l'impresa
pratichi un analogo sconto sul prezzo del computer. La scuola
potrebbe a sua volta intervenire con un contributo, facendo
eventualmente ricorso anche a sponsorizzazioni private. La famiglia
coprirebbe la spesa residua, che - considerati i costi attuali di un
computer multimediale di medie capacità e del relativo software di
base (acquistato con i forti sconti previsti per le multilicenze
educational) - non dovrebbe a questo punto superare i cinquecento
Euro. La spesa sostenuta dalla famiglia (inferiore, si noti alla
spesa sostenuta per l'acquisto dei libri di testo nel corso di un
quinquennio di studi) potrebbe essere ripartita nel corso dei cinque
anni e deducibile dalla dichiarazione dei redditi; un fondo apposito
potrebbe coprirla in tutto o in parte nel caso delle famiglie al di
sotto di una soglia minima di reddito.
Prevedere, come abbiamo suggerito, che il computer utilizzato sia
di proprietà dello studente anziché della scuola o in leasing
avrebbe il vantaggio di garantire una maggiore cura nella sua
utilizzazione, sollevando inoltre la scuola dalla responsabilità
della sua conservazione nei periodi di vacanza, dato che in tali
periodi il computer verrebbe portato a casa dallo studente. D'altro
canto, la 'vita' tecnologica di un computer può misurarsi in 3-5
anni, e corrisponde dunque più o meno alla durata di un ciclo di
studi: se il computer fosse di proprietà della scuola, esso
dovrebbe comunque prevedibilmente essere sostituito dopo tale
periodo.
L'ipotesi qui delineata presenta naturalmente problemi
organizzativi e gestionali, molti dei quali di non facile soluzione;
mostra tuttavia, ci pare, che i costi materiali di una didattica
basata anche sull'informatica distribuita non sono
necessariamente proibitivi. I problemi più seri risiedono forse
altrove: nella elaborazione e valutazione dei modelli didattici,
nella preparazione dei docenti, nella capacità di integrare in
maniera proficua vecchie e nuove metodologie di insegnamento.
Proprio su questi temi può dunque essere opportuno soffermarci in
maniera più approfondita.
La
componente fondamentale (anche se non certo unica) della didattica
tradizionale, quella che per molto tempo è stata considerata la
lezione per eccellenza, è la cosiddetta 'lezione frontale'. Nella
lezione frontale l'insegnante è in un certo senso 'solo' di fronte
alla classe: la trasmissione del contenuto didattico è tutta
affidata alle sue conoscenze, alla sua capacità di farsi
comprendere, di suscitare interesse.
Pensare che le nuove tecnologie propongano un semplice abbandono
della lezione frontale sarebbe sbagliato: in tutti i casi di
didattica 'in presenza', la comunicazione diretta, interpersonale,
fra insegnante e studenti e la capacità dell'insegnante di
coinvolgere i propri studenti nel dialogo didattico - anche
attraverso la lezione frontale - restano fondamentali. E tuttavia
indubbiamente le nuove tecnologie allargano il ventaglio di opzioni
che possono essere affiancate alla lezione frontale o integrate con
essa, permettendo di superare in tutto o in parte alcuni fra i
limiti maggiori della didattica tradizionale.
Proviamo a capire perché. Consideriamo innanzitutto alcune fra
le caratteristiche che sono state spesso associate, con valenza
almeno parzialmente negativa, alla lezione frontale:
-
verticalità della comunicazione (comunicazione asimmetrica,
da un emittente a più destinatari);
-
passività dei destinatari;
-
eccessiva dipendenza della lezione dalle competenze, dalla
capacità comunicativa e didattica e dallo stato d'animo
dell'insegnante;
-
modello didattico basato sull'idea dell'insegnamento come
'trasferimento della conoscenza' dall'insegnante agli allievi:
-
difficoltà nel differenziare il contenuto didattico tenendo
conto delle peculiarità dei singoli allievi;
-
tendenza a privilegiare la comunicazione verbale rispetto ad
altri codici comunicativi:
-
forte 'uniformità' della comunicazione didattica, con
conseguente difficoltà nel mantenere viva l'attenzione degli
allievi;
-
peso eccessivo del 'gruppo classe' rispetto ad altre
possibili aggregazioni e segmentazioni
Su ognuna di queste caratteristiche si potrebbe discutere a
lungo, e in effetti molto si è discusso in tutte le sedi. Occorre
guardarsi dall'idea che i nuovi media forniscano in maniera
automatica una sorta di panacea, di rimedio universale ai mali della
lezione frontale, così come bisogna guardarsi dall'idea che la
lezione frontale sia uno strumento sempre e comunque 'sbagliato'.
Sappiamo bene, del resto, che in molti casi un buon insegnante può
non aver bisogno di strumenti tecnologici particolari per integrare
la lezione frontale con pratiche didattiche diverse. Pensiamo, solo
per fare un esempio, ai giochi di simulazione nell'insegnamento
della storia, che permettono, senza altri ausili particolari se non
la fantasia degli studenti e un'abile guida da parte
dell'insegnante, di approfondire un avvenimento o un periodo storico
in modo attivo e fortemente coinvolgente; e non è un caso che
spesso l'uso dei giochi di simulazione con funzione didattica
presupponga una fase preparatoria basata anche sulla lezione
frontale.
|
Figura 5 - La
lezione frontale |
Va tenuto presente, d'altro canto, che anche nei modelli
d'insegnamento più tradizionali l'insegnante dispone di una serie
di strumenti e di opzioni didattiche che permettono di 'modulare' e
di integrare la pratica della lezione frontale: dal libro di testo
alla lavagna, dagli esercizi da far svolgere autonomamente agli
allievi a interrogazioni e ricerche. E spazi destinati a forme
specifiche di didattica - dal laboratorio scientifico alla palestra
e alla biblioteca d'istituto - esistevano ben prima dei laboratori
linguistici e di quelli multimediali.
Detto questo, siamo però convinti che l'uso delle nuove
tecnologie nella didattica non offra semplicemente un'aggiunta
marginale rispetto agli strumenti del passato: la loro portata - se
bene utilizzate - è tale da proporre un vero e proprio salto di
qualità dell'insegnamento, a tutto vantaggio di una didattica più
completa, interessante ed efficace. Cerchiamo di capire come,
provando a chiederci se e in che modo le nuove tecnologie potrebbero
aiutarci a superare le limitazioni della lezione frontale elencate
poc'anzi.
In queste dispense abbiamo già sottolineato come la
comunicazione telematica e le reti tendano a costruire canali di
comunicazione circolare, nella quale tutti i partecipanti
possano assumere, all'occorrenza, la funzione di emittente come
quella di destinatario
dell'informazione. È interessante notare come questa tendenza
corrisponda a una tendenza riscontrabile ormai da anni nel campo
della didattica: anche qui acquista progressivamente sempre maggiore
importanza un tipo di comunicazione che non è puramente verticale,
da un singolo emittente, l'insegnante, a molti destinatari, gli
studenti, ma che è piuttosto comunicazione circolare, nella quale
più voci - comprese quelle degli studenti - sono
contemporaneamente e attivamente coinvolte. Un buon insegnante sa
che già la stessa lezione frontale, se è fatta bene, non è mai
basata su una comunicazione puramente verticale, dall'alto in basso,
ma è comunque una forma di dialogo.
Ebbene, l'uso delle nuove tecnologie può consentire di
accentuare questo aspetto di dialogo proprio della comunicazione
didattica, permettendo inoltre di moltiplicare le voci e i punti
di vista coinvolti. Pensiamo ad esempio a una pratica esistente
già da anni, ma che rientra a pieno titolo nel panorama delle
opzioni didattiche offerte dalla multimedialità, la lettura dei
giornali in classe. E riflettiamo su come all'allargamento dei punti
di vista e delle voci proposto dalla lettura dei giornali si
affianchi anche un allargamento dei codici e degli stili
comunicativi considerati, una volta che alla lettura dei giornali si
affianchi, ad esempio, un monitoraggio e una analisi di come
determinate notizie siano presentate da altri media (la radio, la
televisione, Internet...).
Un confronto di questo tipo permette non solo di familiarizzare
gli studenti con la pluralità di opinioni e di impostazioni
esistenti nella società, ma anche di capire in che modo il medium e
le sue caratteristiche specifiche possono intervenire nella
costituzione del messaggio. In questo lavoro gli studenti, non più
posti a confronto con un'unica auctoritas, con la sola voce
del docente, possono assumere con maggiore facilità un ruolo
attivo, soprattutto se alla pura 'lettura' delle informazioni
giornalistiche, radiotelevisive o di rete si affianca la produzione
di contenuti informativi autonomi. Da questo punto di vista, l'uso
attivo di Internet attraverso la creazione di siti d'istituto o di
progetto può rivelarsi uno strumento prezioso.
Quest'idea della moltiplicazione delle voci, che potremmo
assumere un po' come filo conduttore di una didattica caratterizzata
dall'uso consapevole dei nuovi media, riguarda trasversalmente tutte
le materie, e si collega alla moltiplicazione degli strumenti
didattici. Un CD-ROM, una videocassetta, un sito Internet -
siano essi dedicati a materie umanistiche o scientifiche, allo
studio delle lingue o a notizie di attualità - non rappresentano
semplicemente un ausilio alla lezione dell'insegnante, ma
costituiscono voci aggiuntive, punti di vista diversi, offrono
contenuti e competenze che non potrebbero essere chiesti a un
singolo docente, per quanto preparato egli possa essere.
L'interattività
di molte fra le nuove tecnologie didattiche costituisce un ulteriore
stimolo al superamento di un ruolo puramente passivo da parte dello
studente, sollecitato a intervenire in prima persona, a reagire e
modificare l'informazione che gli viene presentata. Un buon software
didattico, ad esempio, non dovrebbe limitarsi a fornire all'utente
- in maniera resa magari più vivace e piacevole dall'uso di suoni
e immagini - una nozione o un insieme di nozioni, secondo il modello
del trasferimento di informazioni da un emittente al destinatario.
Dovrebbe invece stimolare nell'utente stesso la progressiva costruzione
e organizzazione delle conoscenze, proponendogli un uso
attivo del contenuto informativo fornito: confronto fra esempi,
esercizi da risolvere, simulazione di esperimenti, e così via. La
sostituzione di un modello didattico basato sull'attività a
quello rappresentato dal puro trasferimento passivo di nozioni è
qui fondamentale: pur senza voler entrare in questa sede nel
complesso (ed affascinante) panorama teorico offerto dalle
discussioni di teoria della conoscenza, siamo sicuri che ogni
insegnante e ogni studente possano facilmente rendersi conto per
esperienza diretta di come la conoscenza non sia né oggetto
materiale da trasferire da una persona all'altra, né un insieme di
segni da copiare da un 'quaderno' all'altro.
Non bisogna pensare che strumenti e ambienti di apprendimento
interattivi debbano essere necessariamente individuali (sul modello
del CD-ROM usato da un singolo utente su un singolo computer). Ma
certo anche strumenti d'uso individuale, sia i cosiddetti
strumenti di autoapprendimento, sia quelli di autovalutazione,
possono entrare in questo quadro, fornendo anche un mezzo per
rispondere a un altro dei problemi sopra ricordati, quello
rappresentato dalla difficoltà di differenziare i contenuti
didattici tenendo conto delle peculiarità dei singoli allievi.
Esperimenti di uso integrativo di programmi di autoapprendimento in
situazioni di svantaggio didattico sono già stati condotti con
buoni risultati, ed evidentemente non vi è alcun motivo per cui
l'uso di strumenti di questo tipo debba essere limitato
all'obiettivo - pur fondamentale - di colmare gli svantaggi. In
molti casi può essere ad esempio importante che la scuola sappia
rispondere a richieste e interessi specifici degli allievi, che
costituiscono sempre un importante fattore di motivazione.
Ricordiamo, di passaggio, che l'allargamento dell'offerta tematica
da parte della televisione, resa possibile dalla moltiplicazione dei
canali attraverso il ricorso a tecnologie digitali, può aiutare il
mondo della scuola a rispondere a queste esigenze.
|
Figura 6 - Un
esempio di software di autovalutazione |
A questa differenziazione dell'offerta didattica risponde anche
la possibilità di riaggregare attorno a particolari attività
gruppi diversi dal tradizionale 'gruppo classe'. Si tratta di una
opzione la cui utilità è percepita con sempre maggior frequenza
nelle situazioni di sperimentazione didattica più avanzata. Anche
in questo caso, le nuove tecnologie didattiche possono aiutare: ad
esempio attraverso la costituzione di gruppi di interesse tematici
attorno a un forum di discussione o a un sito Internet (si veda al
riguardo quanto già detto nella quarta
dispensa; la redazione di un sito Internet può costituire un
ottimo contesto per disaggregare e riaggregare studenti e docenti in
configurazioni diverse dal 'gruppo classe'), o attraverso la
programmazione di attività tematiche all'interno del laboratorio
multimediale. In alcuni casi, le reti telematiche permettono di
superare il 'gruppo classe' favorendo riaggregazioni non solo
all'interno dell'istituto, ma anche attraverso contatti fra istituti
diversi, magari situati in paesi diversi.
Che i nuovi media costituiscano anche un'occasione per costruire
un ambiente didattico aperto a forme di comunicazione musicale e
visiva, e dunque a codici diversi dalla pura comunicazione verbale,
dovrebbe risultare abbastanza intuitivo; occorre ammettere tuttavia
che il mondo della scuola è spesso impreparato - se non
esplicitamente sospettoso - davanti a questa opportunità. Si tratta
di un tema ampiamente affrontato da Roberto Maragliano nel suo Nuovo
manuale di didattica multimediale, uno dei pochi testi italiani
ad affrontare l'argomento dal punto di vista didattico. In questa
sede ci limiteremo a sottolineare l'importanza di non limitare l'uso
dei mezzi audiovisivi alle sole materie che possono apparire più
direttamente interessate (ad esempio la storia dell'arte, o la
musica). Gli studenti vivono in un mondo nel quale la comunicazione
audiovisiva ha un ruolo fondamentale, anche se in forme che possono
talvolta lasciar perplesso chi è cresciuto in un mondo più
'povero' dal punto di vista della varietà e della tipologia degli
stimoli dei media. È bene che la scuola ne abbia coscienza, e
sappia rispondere a questa sfida imparando ad utilizzare materiali
audiovisivi in ambito didattico, a pieno titolo e non solo in
maniera occasionale. È bene anzi che il mondo della scuola si
attrezzi anche per produrre materiali di questo tipo, e per
produrli con la collaborazione e la partecipazione degli studenti.
|
Figura 7 - Roberto Maragliano, Nuovo
manuale di didattica multimediale |
Non proponiamo certo una scuola che segua passivamente il modello
comunicativo offerto dalla televisione, spesso pessimo. Ma - come
ha sottolineato con forza Maragliano - una scuola totalmente
refrattaria a codici comunicativi musicali e visivi sarebbe una
scuola estranea all'ambiente esperenziale dei suoi fruitori - in
altri termini, nuovamente, una scuola lontana dalla vita. E non
saprebbe rispondere a uno dei suoi compiti fondamentali, quello di
addestrare alla valutazione critica dell'informazione che gli
studenti ricevono all'interno della società in cui vivono.
Molto altro potrebbe essere detto sui possibili usi delle nuove
tecnologie nel mutamento delle pratiche didattiche tradizionali.
Occorre però forse soffermarsi anche su alcuni rischi che è bene
tener presenti, soprattutto in una fase di penetrazione ancora in
parte confusa e disorganizzata dei nuovi media nella scuola.
Innanzitutto, il rischio di un certo 'fanatismo tecnologico' che
talvolta porta a ritenere che i nuovi media possano costituire
strumenti didattici autonomi e autosufficienti, e dunque che il
rapporto fra essi e la figura del docente sia quello di una
progressiva anche se parziale sostituzione, o sia comunque
tale da ridurre l'importanza del ruolo del docente.
È vero il contrario: ampliando il ventaglio di opzioni
didattiche a sua disposizione, il docente acquista - e non perde -
libertà di costruzione e organizzazione del percorso didattico.
Nelle situazioni di didattica in presenza (e anche in molte
situazioni di didattica
a distanza) il computer o la videocassetta non possono e non
devono sostituire l'insegnante, ma integrarsi all'interno di un
progetto didattico unitario del quale l'insegnante è il regista, e
al quale possono collaborare - con tanto maggior facilità in quanto
le caratteristiche stesse degli strumenti usati sono tali da
favorire questa collaborazione - anche gli altri docenti e gli
allievi.
Un potenziale pericolo in parte collegato a quello appena
ricordato viene poi dalla 'pigrizia d'uso' che può talvolta
accompagnare l'uso delle nuove tecnologie da parte sia degli
studenti, sia degli insegnanti. Un insegnante che abbia a
disposizione un modulo audiovisivo sulla guerra dei trent'anni
potrebbe pensare di 'risparmiarsi' il lavoro di preparazione della
relativa lezione, sostituendo tout court la lezione frontale
con la visione collettiva della videocassetta; la versione
'virtuale' di un esperimento di fisica su CD-ROM potrebbe indurre a
rinunziare alla sua controparte reale, magari anche in situazioni in
cui l'esperimento reale sarebbe facilmente realizzabile; e così
via. Analogamente, uno studente abituato ad affidarsi troppo a
strumenti di autovalutazione potrebbe guardare con fastidio altre
situazioni di verifica, e potrebbe impostare il proprio studio più
al fine di superare i test di autovalutazione (per molti versi
comunque meccanici) che al fine di raggiungere una reale
comprensione degli argomenti studiati.
Il tratto comune a tutti questi esempi (e molti altri se ne
potrebbero fare) è rappresentato dall'idea che le nuove tecnologie
offrano una 'voce didattica' singola e più autorevole, che
sostituisce piuttosto che integrare quella del docente. È bene
rendersi conto che quest'idea, del tutto sbagliata, spesso non è
altro che un alibi per la tendenza a ridurre al minimo il lavoro da
svolgere, da parte dello studente o da parte del docente. Una
tendenza forse naturale, ma con la quale occorre fare i conti 'a
viso aperto', senza mascherarla dietro un facile paravento
tecnologico. Le nuove tecnologie non riducono né il lavoro
dell'insegnante, né quello dello studente. D'altro canto non è
neanche vero, come pure spesso si tende a credere, che rendano
necessariamente più complesso e faticoso il lavoro di preparazione
di una lezione, fino ai limiti dell'insostenibilità. Al contrario,
a volte possono razionalizzarlo, permettendo inoltre di ottenere un
risultato qualitativamente molto migliore. L'esempio rappresentato
dall'uso di presentazioni video, del quale ci occupiamo in una scheda
a parte), può essere indicativo: si tratta certo di un lavoro
impegnativo (ma anche molto più creativo della preparazione di una
lezione tradizionale); il suo risultato può essere però, oltre che
didatticamente efficace, anche riutilizzabile, in forme e contesti
diversi. Per affidarci a una metafora agricola, possiamo dire che
coltivare bene un campo, anche con l'aiuto delle tecnologie più
opportune, è molto più faticoso e complesso che seminare a mano e
affidarsi agli elementi; ma il raccolto sarà poi maggiore e di
migliore qualità.
Un rischio ulteriore dal quale vorremmo mettere in guardia è
rappresentato dalla tendenza a pensare che le nuove tecnologie
offrano una risposta specifica e adeguata a ogni problema o esigenza
didattica. Può sembrare banale dirlo, ma non è affatto così.
Anzi, in molti casi, l'uso delle nuove tecnologie costringe ad
affrontare, magari in forme nuove, problemi che erano già familiari
in contesti didattici più tradizionali. In altri casi, può
presentarne di nuovi, anche gravi. Per fare solo un esempio, la
diffusione delle nuove tecnologie all'interno dei nuclei familiari
degli studenti tende spesso ad avvenire, sia per problemi di costi
economici che di alfabetizzazione tecnologica e preparazione
culturale, in maniera tale da approfondire - anziché limitare - le
differenze socioeconomiche preesistenti, e questo costituisce
evidentemente, oltre che un problema sociale complessivo, anche uno
specifico problema didattico.
Uno
dei problemi più frequentemente citati quando si parla di uso
didattico delle nuove tecnologie è quello della preparazione dei
docenti. Preparazione spesso insufficiente, a causa da un lato della
velocità del progresso tecnologico, che rende rapidamente obsolete
le competenze specifiche offerte i questo campo ai docenti dal loro
processo formativo, dall'altro del più classico dei circoli
viziosi: le strutture che dovrebbero formare i docenti - a
cominciare dall'università - sono esse stesse largamente
impreparate.
Si tratta di un problema di grande rilievo, affrontato più
volte, in molteplici sedi e attraverso un ventaglio assai ampio di
posizioni e di proposte. In questa sede, vorremmo discutere
brevemente tre punti che ci sembrano particolarmente importanti.
In primo luogo, l'addestramento all'uso e alla padronanza delle
nuove tecnologie ha sempre una fortissima componente di lavoro (e
motivazione) individuale. Non si tratta di scaricare sul docente
l'intera responsabilità della propria 'formazione tecnologica' -
mossa che sarebbe evidentemente poco produttiva, oltre che sbagliata
- ma di sollecitarlo ad agire anche individualmente: le nuove
tecnologie non mordono, l'apprendimento per tentativi ed errori non
è sempre il più veloce ma in genere - soprattutto in campo
informatico - produce risultati duraturi ed efficaci, le librerie
sono piene di manuali di tutti i tipi atti ad introdurre in maniera
per quanto possibile piana ed agevole tematiche anche complesse,
molto può essere fatto anche attraverso l'uso individuale di
programmi didattici per computer, e non è ormai difficile trovarsi
accanto, anche nel mondo scolastico, colleghi (e magari studenti)
più preparati ai quali chiedere aiuto e suggerimenti.
Certo, tutto questo non può bastare, e non può scaricare il
mondo scolastico e universitario dal compito fondamentale di
'formare i formatori'. Ma senza la spinta rappresentata dalla
curiosità e dall'iniziativa individuale la sfida in questo campo
sarebbe persa in partenza: spesso è la natura stessa degli
strumenti che si vuole imparare a conoscere, a richiedere una
familiarizzazione e un addestramento anche autonomo e
individuale. In alcuni casi, questo può comportare per l'insegnante
investimenti di tempo e denaro non indifferenti. La scuola dovrà
trovare il modo di riconoscere ed incentivare questi investimenti
individuali, e dovrà fornire un contesto nel quale inserirli e
coordinarli, in modo da evitare la dispersione e il disorientamento:
si tratta di un compito del quale è difficile sopravvalutare
l'importanza. Dal canto nostro, non possiamo che raccomandare
all'insegnante di fare questi investimenti: difficilmente se ne
pentirà.
In secondo luogo, occorre sollecitare non solo i singoli docenti,
ma anche gli istituti a informarsi, seguire, sfruttare il più
possibile le iniziative di formazione disponibili, a cominciare da
quelle previste dal Ministero e da strutture come IRRSAE e
Università. Il ruolo che in questo contesto possono avere i singoli
istituti scolastici è fondamentale, anche per la larga autonomia
che è ormai loro riconosciuta. Per gli istituti non si tratta più
solo di fare da 'cinghia di trasmissione' di informazioni
provenienti dall'alto, ma anche di muoversi autonomamente per
sollecitare, spingere alla partecipazione e se del caso organizzare
o coordinare direttamente iniziative di formazione dei propri
docenti. Naturalmente, è importante che questo accada non in
maniera spontaneistica e disorganizzata ma seguendo modelli precisi
e ragionevolmente uniformi. Anche per questo motivo, abbiamo
riportato in un'apposita
scheda la sezione della guida al PSTD dedicata alla formazione
dei docenti; ricordiamo comunque che notizie e materiali più
aggiornati possono essere reperiti sul sito Internet del Ministero
della pubblica istruzione, all'indirizzo http://www.istruzione.it
.
Una menzione particolare merita anche il prezioso sito della
Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze http://www.bdp.it/
,
che fornisce ulteriori strumenti e numerosi link a risorse in rete
dedicate alla didattica e alla formazione.
|
Figura 8 - Il
sito della Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze |
Infine, vorremmo toccare, anche se brevemente, uno dei temi
'classici' del dibattito sulla formazione dei docenti: il 'gap' di
competenze che può a volte sussistere fra studenti e docenti, a
tutto favore dei primi. Un gap che ha portato molti a rilevare come
nel campo delle nuove tecnologie possa molto spesso accadere che
siano i docenti a dover imparare dagli studenti, e non viceversa.
E' inutile negare che in alcuni casi questo possa essere vero.
Riteniamo però che occorra guardare a questa prospettiva, che
spaventa (a torto!) molti insegnanti, cum grano salis.
Innanzitutto, va notato che le competenze degli studenti all'interno
della classe restano comunque di norma assai differenziate. Alcuni
studenti possono avere una particolare familiarità con i nuovi
media (e in particolare con l'informatica), ma molti altri non ne
avranno alcuna. L'insegnante non si trova dunque davanti a una
situazione in cui dover abdicare al proprio ruolo a favore di una
generazione compatta di 'piccoli mostri' tecnologici, ma in una
situazione in cui poter sfruttare nel lavoro didattico quotidiano, a
vantaggio proprio ma anche del resto della classe, le eventuali
competenze specifiche già acquisite da alcuni dei propri allievi,
per promuovere una formazione che riguarda comunque tutti i
partecipanti al dialogo didattico.
Questa situazione dovrà essere gestita con saggezza,
trasformandola in una occasione di apprendimento cooperativo, e
tenendo sempre presente che le competenze degli allievi, pur essendo
talvolta assai sviluppate, possono tendere a essere 'poco meditate':
sarà allora il docente che potrà spingere alla riflessione e
all'inquadramento di competenze prevalentemente pratiche all'interno
di un contesto più complesso e generale. Occorrerà anche guardarsi
dal rischio di scambiare la padronanza dello strumento tecnologico
utilizzato per l'apprendimento, con la padronanza degli argomenti
trattati.
Se bene affrontata, dunque, la situazione in cui si 'impara dagli
studenti' (e perché non si dovrebbe? Forse che il dialogo didattico
e l'attività di insegnamento non costituiscono in ogni caso una
occasione di formazione continua per il docente?) si trasforma in
una situazione in cui si impara con gli studenti. Una
situazione che, lungi dallo svuotare di significato la figura del
docente, gli può offrire al contrario - e lo diciamo per
esperienza diretta - particolari soddisfazioni.
Le brevi osservazioni che abbiamo raccolto fin qui non
costituiscono evidentemente una trattazione esaustiva del complesso
problema costituito da un lato dagli usi delle nuove tecnologie
nella didattica, e dall'altro dalla didattica delle nuove
tecnologie. Speriamo tuttavia che possano fornire un primo
inquadramento generale, utile in primo luogo agli studenti e agli
insegnanti, ma anche, più in generale, a chi si rende conto - e
dovremmo rendercene conto tutti - che è proprio nel campo
dell'educazione che si gioca la partita più importante relativa
alla comprensione e all'uso consapevole delle nuove tecnologie.
Molto altro, certo, dovrebbe essere detto. In particolare, una
trattazione approfondita avrebbe certo meritato la tematica del
futuro del libro di testo e del rapporto fra libro di testo e
strumenti multimediali. Non v'è dubbio, infatti, che il libro di
testo uscirà profondamente modificato dalla rivoluzione
multimediale, e probabilmente, anziché parlare singolarmente di
'libro di testo', dovremo parlare di materiali di studio e di
supporto, auspicabilmente coordinati e integrati fra loro, nei quali
la scrittura sarà usata in forme, strutture e modulazioni assai
varie, e sarà affiancata da codici comunicativi diversi. Per i
motivi già discussi nella settima
dispensa, non riteniamo però che questo debba comportare
necessariamente la fine della cosiddetta 'cultura del libro', ma
piuttosto la sua integrazione e il suo sviluppo. Non possiamo
approfondire qui la questione, complessa ed affascinante, ma abbiamo
inserito nel CD-ROM un
testo che approfondisce proprio questo problema.
Un altro argomento - solo apparentemente più pratico - al
quale sarebbe stato certo utile dedicare più spazio è
rappresentato dall'uso di Internet in ambito scolastico. Le
esperienze fatte al riguardo sottolineano tutte da un lato
l'entusiasmo dei ragazzi, dall'altro però il timore degli
insegnanti che lo strumento possa sfuggire al controllo, e la
preoccupazione di dover sorvegliare costantemente la navigazione e i
siti visitati, per evitare 'deviazioni' poco compatibili con
l'ambiente scolastico, a cominciare dai siti pornografici.
Si tratta certo di problemi reali, ed è indubbio che una certa
vigilanza è opportuna. Vorremmo però raccomandare anche una buona
dose di pragmatismo. Gli studenti hanno mille occasioni, nel mondo
che li circonda, per 'navigazioni' spesso ben più pericolose di
quelle sulle pagine di un sito pornografico, e d'altro canto il
divieto e la sanzione in questi casi possono poco, da un lato
perché entrano in conflitto con la natura di risorsa informativa
generale propria della rete, dall'altro perché da sempre il fascino
del proibito può tendere ad incentivare piuttosto che
disincentivare i comportamenti che si vorrebbe sanzionare. La scuola
può certo cercare di disincentivare usi poco opportuni della rete,
sia attraverso la presenza (più che la censura) degli insegnanti,
sia, se proprio lo si ritiene opportuno, attraverso l'installazione
di prodotti software che blocchino la navigazione su alcuni fra i
siti dal contenuto meno accettabile. Riteniamo però che sarebbe
sbagliato limitare più di tanto l'uso - anche libero - di
Internet da parte degli studenti: una scuola che affrontasse
l'educazione degli studenti alla rete preoccupandosi principalmente
di come esercitare uno stretto controllo censorio non renderebbe un
buon servigio né ai propri allievi, né alla società.
Ancora,
una trattazione a parte avrebbe meritato il problema dell'uso delle
tecnologie informatiche come ausilio per quello che è uno fra gli
scopi fondamentali della didattica, quello di colmare le
diseguaglianze nell'accesso all'istruzione. Si tratta di un tema sul
quale ci siamo comunque brevemente soffermati nella videocassetta
che accompagna questa dispensa.
Infine, un altro tema che avrebbe richiesto una trattazione ben
più ampia di quella possibile nella breve
scheda che gli abbiamo dedicato è sicuramente quello della
didattica a distanza. Anche in questo caso, e forse soprattutto in
questo caso, le nuove tecnologie aprono un ventaglio larghissimo di
nuove possibilità. Internet da un lato e le reti televisive
tematiche satellitari dall'altro non sono che i due elementi più
recenti di un quadro che comprende moltissime applicazioni, dai
corsi su audio e videocassette ai programmi di autoapprendimento. In
un certo senso, anche il nostro corso costituisce una
sperimentazione dell'uso di nuove tecnologie per la didattica a
distanza. Si tratta di un tema che non possiamo sviluppare
ulteriormente all'interno di queste dispense, ma al quale sono
dedicate numerose fra le interviste della biblioteca
digitale inserite sul CD-ROM e disponibili
in rete ;
rimandiamo dunque a tali risorse - oltre che ai testi citati in
bibliografia - per un approfondimento ulteriore.
- (per insegnanti e studenti) Immaginate di dover illustrare
alla classe l'assetto costituzionale di un paese straniero.
Quali strumenti possono esservi utili? Che tipo di sussidi
multimedialipotreste eventualmente utilizzare, e in che modo
potreste reperirli?
- (per insegnanti e studenti) La vostra scuola dispone di un
laboratorio multimediale? Quali sono i suoi punti di forza, e
quali le sue carenze? Supponete di avere un budget di 50 milioni
per aggiornarlo e ampliarlo: quali acquisti riterreste utile
programmare?
- (per insegnanti e studenti) Attraverso una navigazione su
World Wide Web, individuate e confrontate fra loro i siti di
dieci scuole diverse di indirizzo analogo alla vostra. Quale
sito vi sembra migliore, e perché? Se la vostra scuola dispone
già di un sito Internet: quali integrazioni e cambiamenti vi
sono suggeriti dalla navigazione che avete fatto? Se non ne
dispone: come progettereste il vostro sito, alla luce della
navigazione che avete fatto?
- (per insegnanti e studenti) Dividete la classe in due gruppi,
scegliete un argomento non ancora affrontato e fate preparare
uno dei gruppi solo attraverso strumenti tradizionali (libro di
testo, biblioteca.) e uno solo attraverso una navigazione su
Internet. Ognuno dei due gruppi avrà a disposizione un'ora per
proporre un'esposizione introduttiva dell'argomento scelto.
Confrontate le due esposizioni, cercando di individuare vantaggi
e debolezze delle due diverse strategie di preparazione. Ognuno
dei due gruppi potrà poi completare la propria preparazione
attraverso gli strumenti che nella prima fase aveva utilizzato
l'altro gruppo.
- (per insegnanti e studenti) Scegliete un CD-ROM
didattico e, dopo averlo utilizzato e averne esplorato
adeguatamente caratteristiche e potenzialità, compilate una
scheda di valutazione che illustri i suoi punti di forza e le
sue carenze. Se possibile, provate a confrontarlo con un altro
CD-ROM di argomento analogo, o con materiale disponibile in
rete.
- (per insegnanti) Provate a immaginare il programma di un
corso di aggiornamento per docenti su didattica e
multimedialità: quali argomenti dovrebbero essere affrontati, e
in che modo? Quali sono le competenze di cui disponete già, e
quali quelle che avreste bisogno di acquisire?
- (per studenti) Attraverso uno dei molti indirizzari
disponibili in rete (ad esempio la bacheca raggiungibile
all'indirizzo http://www.quipo.it/parlaeuropa/homeit.html
),
contattate un 'amico di penna' di un altro paese, con il quale
corrispondere attraverso Internet.
|
|
- AA.VV., Computer, scuola e sapere, "Telèma"
IV n. 12, primavera 1988 (in rete
all'indirizzo http://www.fub.it/telema/TELEMA12/Telema12.html )
- Calvani A., Dal libro stampato al libro multimediale,
la Nuova Italia, Firenze, 1990
- Calvani, A. Iperscuola. Tecnologie e futuro dell'educazione,
Muzzio, Padova 1994
- Calvani, A., Multimedialità nella scuola, Garamond,
Roma 1996
- Celi, F. e Romano, F., Macchine per imparare. L'uso del
computer nella scuola, Erickson, Trento 1997
- Fasano, M., Concetti in rete. Dalla costruzione di una
mappa concettuale alla produzione di un ipermedia, Masson,
Milano 1998
- Fasano M., et alii, Telematica e processi di trasposizione
didattica, DIDAMATICA '96, Atti 1, AICA, Cesena 1996
- Garito, M.A. (a cura di), Multimedia and Distance Learning
for Science and Technology, Garamond, Roma 1995
- Garito, M.A. (a cura di), Tecnologie e processi cognitivi.
Insegnare ed apprendere con la multimedialità, Franco
Angeli, Milano 1997
- Gasperetti, M., Computer e scuola. Guida all'insegnamento
con le nuove tecnologie, Apogeo, Milano 1998
- Maragliano, R., Esseri multimediali. Immagini del bambino
di fine millennio, La Nuova Italia, Firenze 1996
- Maragliano, R., Nuovo manuale di didattica multimediale,
Laterza, Roma-Bari, 1998
- Maragliano, R., Tre ipertesti su multimedialità e
formazione, Laterza, Roma-Bari, 1998
- Maragliano R., Martini O., Penge S., I media e la
formazione, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994
- Pantò, E. e Petrucco, C., Internet per la didattica,
Apogeo, Milano 1998
- Papert, S., I bambini e il computer. Nuove idee per i nuovi
strumenti dell'educazione, Rizzoli, Milano 1994
- Pasteris, V., Internet per chi studia, seconda
edizione, Apogeo, Milano 1998
- Talamo, A., Apprendere con le nuove tecnologie, La
Nuova Italia, Firenze 1998
- Trentin, G., Didattica in rete. Internet, telematica e
cooperazione educativa, Garamond, Roma 1996
- Trentin, G., Insegnare e apprendere in rete, Zanichelli,
Bologna 1998
- Trentin, G., Telematica e formazione a distanza: il caso
Polaris, Franco Angeli, Milano 1999
|
|
|