Lezione n. 06
Comunicazione linguaggi e media
di Fabio Ciotti
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approfondimento |
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Le funzioni del linguaggio secondo
Jakobson |
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Media caldi e media freddi |
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Marshall McLuhan |
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Roman Jakobson |
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Johannes Gutenberg |
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Argomenti trattati nella lezione 06:
Nel
corso delle precedenti dispense abbiamo usato moltissime volte e nei
contesti più diversi termini come "comunicazione",
"linguaggio" "media". Non ci siamo preoccupati
di definirli in modo chiaro, perché ci siamo fidati della nostra
intuizione o della conoscenza diffusa intorno a questi termini.
Questa forma di conoscenza, infatti, era sufficiente ad affrontare
gli aspetti più strettamente tecnologici che ci hanno impegnato
fino ad ora.
Ma, a partire da questa dispensa, dobbiamo cominciare ad
inoltrarci in una dimensione diversa della rivoluzione digitale, la
dimensione che riguarda i suoi effetti sulla cultura, sull'economia,
sulla politica sull'educazione. Perché la rivoluzione digitale è
tale proprio in ragione dei profondi cambiamenti che sta
determinando in questa sfera della vita sociale; altrimenti sarebbe
solo una profonda innovazione tecnologica che investe alcuni settori
della produzione di beni e servizi, e che propone una serie di nuovi
prodotti sul mercato delle società opulente dell'occidente.
Si badi, non che questi aspetti non siano parte del complesso di
fenomeni che chiamiamo rivoluzione digitale. Ma, appunto, sono una
parte di un processo assai più pervasivo. Resterebbe da chiarire se
ne sono anche la causa ultima e determinate. Se cioè la sola
innovazione tecnologica possa farsi motore d una trasformazione
sociale radicale.
È questo un tema di ampio dibattito tra gli studiosi della
comunicazione e della società. La tesi che assente a tale chiave di
lettura viene comunemente indicata come "determinismo
tecnologico", ed ha molti propugnatori, specialmente tra gli
entusiasti delle nuove tecnologie. Ma altrettanto credito hanno tesi
diverse se non affatto opposte, secondo cui il cambiamento sociale
viene sospinto da altri motori, o piuttosto da una pluralità di
motori.
Ma perché la rivoluzione digitale ha, o sembra avere, un potere
di rottura così vasto e profondo allo stesso tempo? La ragione sta
nel fatto che essa investe quella sfera delle attività umane che
chiamiamo comunicazione. La facoltà di comunicare non è una
peculiarità esclusiva della nostra specie. Moltissime specie
animali hanno sviluppato forme più o meno rudimentali di
comunicazione. Ma solo nell'uomo tale facoltà si è evoluta ad un
punto tale da modificare prima la stessa base biologica da cui
scaturiva, il cervello, con l'acquisizione del linguaggio; e poi da
svincolare l'evoluzione della specie dalla pura mutazione biologica,
per affidarla al progresso culturale. Insomma l'uomo ed il suo
ambiente sono quello che sono da alcune decine di migliaia di anni
grazie al fatto di saper comunicare in modi complessi ed articolati.
Tanto che oggi si parla di comunicazione o si adotta una metafora
comunicativa per definire, spiegare o descrivere ogni sfera delle
attività umane, ad ogni livello di descrizione: dalle interazioni
cellulari fino alla diffusione delle notizie mediata dai grandi
apparati della comunicazione di massa.
Tuttavia, questa grande attenzione rivolta alla comunicazione
compare assi tardi nella storia culturale. Indubbiamente, alcuni
aspetti e fenomeni della comunicazione umana, ed in particolare
della comunicazione linguistica orale e scritta, hanno attirato
l'attenzione di filosofi e scienziati sin dall'epoca greca. Platone,
ad esempio, fece molte importanti osservazioni su temi come il
linguaggio umano e la scrittura, come pure Aristotele, cui dobbiamo
una teoria del significato (di come cioè le parole, il linguaggio
riesce a designare le cose al di fuori del linguaggio) che ancora
oggi viene sostanzialmente condivisa da una buona parte degli
studiosi. E non dobbiamo dimenticare come anche la tradizione
simbolica religiosa giudaica e cristiana assegni un valore enorme
all'atto di comunicare "del" o "con il" divino
(che nel cristianesimo si fa "Verbo", parola).
Ma è solo a partire dalla metà di questo secolo che la
comunicazione viene assunta come oggetto di studio autonomo,
considerato come concetto in sé e per sé, o come fondamento di una
teoria più vasta. Nasce così una serie di discipline che studiano
la "comunicazione in quanto comunicazione", o che a
partire da una teoria generale della comunicazione ne studiano degli
ambiti specifici. La teoria dell'informazione, ad esempio,
fornisce gli strumenti matematici per misurare l'informazione che
viene trasmessa, e studia le condizioni migliori per fare in modo
che tale trasmissione abbia luogo (se ne è già accennato nella prima
dispensa); la semiotica studia i fondamenti dei processi
della comunicazione e la natura dei linguaggi; la mass mediologia
studia i mezzi di comunicazione di massa, ed il loro rapporto con la
sfera sociale e culturale; l'informatica (che in ambito
anglosassone si chiama però computer science, scienza dei
"calcolatori" e non dei "comunicatori") studia i
metodi e le tecniche di elaborazione automatica dell'informazione e
della comunicazione; la linguistica (che ha origine più
remote, ma si consolida e diffonde solo a inizio secolo) studia la
facoltà del linguaggio verbale e la sua manifestazione nelle lingue
naturali; la narratologia analizza quel settore particolare
della comunicazione linguistica che è l'attività di raccontare e
di comprendere storie. L'elenco potrebbe continuare, fino a
comprendere buona parte dell'attuale panorama delle discipline
umanistiche ufficialmente riconosciute, quelle insomma che vengono
insegnate in qualche dipartimento universitario.
Non è difficile individuare le ragioni di questo interesse: nel
corso di questo secolo, ed in particolare dalla sua seconda metà, i
modi e le tecniche del comunicare subiscono uno sviluppo
straordinario, sia dal punto di vista della loro intrinseca
struttura ed organizzazione, sia - soprattutto - dal punto di
vista della loro funzione nel contesto delle società avanzate. In
soli cinquanta anni le relazioni sociali, i processi economici, la
produzione e la diffusione della cultura, l'organizzazione e
l'impiego del tempo di vita degli individui sono investite da questa
"esplosione" della comunicazione. Lo studio dei fenomeni
comunicativi diventa dunque una delle chiavi fondamentali per
interpretare l'ambiente sociale e culturale in cui viviamo.
Torniamo così al nostro punto di partenza. Se la comunicazione
ed i suoi apparati sono così importanti, dobbiamo presumere che
ogni innovazione tecnologica in quella sfera possa riflettersi
estesamente su tutta la realtà sociale. Nelle prossime dispense
cercheremo di capire come ed in che misura questo si stia
verificando con la rivoluzione digitale. Ma prima di affrontare tale
percorso ci è sembrato utile approfondire termini e temi
fondamentali che sono alla base della nostra analisi. Ecco perché
nelle pagine che seguono cercheremo di fornire un quadro essenziale
di cosa si intenda con comunicazione, linguaggio, codice, medium,
mass media, per tornare in conclusione a riflettere sulla natura
della rivoluzione digitale e sulla sua funzione nell'ambito del
mutamento sociale complessivo cui stiamo assistendo in questi anni.
Comunicazione deriva dal latino communicationem, a sua
volta deverbale di communicare, che sta per mettere in comune
qualcosa, passare qualcosa da uno all'altro, e per estensione unire
in comunità. C'è dunque nella radice latina un'idea di contatto
materiale, di trasferimento fisico, insieme con quella di comunità
di individui che condividono qualcosa.
Sebbene già in Cicerone si trovi il sintagma communicatio
sermonis, inteso come conversazione (ciò che può essere messo
in comune o trasferito non è solo un bene materiale ma anche
un'entità immateriale, un pensiero o una conoscenza), per lungo
tempo il senso dei termini "comunicazione" e
"comunicare" è stato ancorato all'idea di contatto o
trasferimento materiale. In epoca medievale prevale la prima
accezione, che si lega alla ritualità cristiana della mensa
eucaristica, durante la quale ogni fedele entra in contatto fisico
con il corpo del Cristo. Con l'avvento dell'era moderna,
"comunicazione" diviene quasi un sinonimo di
"trasporto": "vie di comunicazione",
"canali di comunicazione" per eccellenza sono le
infrastrutture e gli apparati deputati al trasporto di beni e
persone. Ancora oggi nel linguaggio corrente questo uso è molto
diffuso.
Ma, soprattutto a partire dalla metà del novecento, il termine
comunicazione è stato sempre più spesso adottato per designare
quella particolare forma di trasporto immateriale ed astratto che è
il trasferimento di informazione. Questa sedimentazione del
significato di comunicazione coincide con la nascita e lo sviluppo
di un insieme di discipline che hanno assunto come oggetto proprio
tale tipo di fenomeni.
In particolare, un vero e proprio punto di svolta è costituito
dall'opera di due importanti scienziati che abbiamo già conosciuto:
Claude
Shannon e Warren Weaver cui dobbiamo la prima formulazione di
una Teoria matematica della comunicazione. Negli scritti che
la espongono, pubblicati alla fine degli anni 40, viene fornita per
la prima volta una definizione generale della comunicazione come trasferimento
di informazioni mediante segnali da una fonte a un destinatario.
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Figura 1 - Claude Shannon |
Naturalmente, per dare un senso compiuto a questa idea della
comunicazione Shannon e Weaver dovevano anche definire in modo
rigoroso la nozione di "informazione", cosa che fecero
formalizzando il concetto matematico di informazione come scelta ed
individuando nel bit l'unità di misura delle quantità di
informazione (come abbiamo visto nella prima
dispensa).
La teoria matematica della comunicazione era mossa da esigenze
tecniche molto precise: studiare dal punto di vista
fisico-matematico le condizioni di migliore efficienza del
trasferimento di segnali attraverso apparati tecnici di
trasmissione. Non a caso il suo sviluppo è parallelo alla grande
evoluzione delle telecomunicazioni. Ma l'influenza delle ricerche di
Shannon e Weaver è andata ben al di là di questo ambito
specialistico. Dobbiamo loro, infatti, oltre alla definizione di
comunicazione che ancora oggi utilizziamo, anche l'elaborazione di
uno schema generale dei processi comunicativi, che ha goduto di una
fortuna vastissima negli anni seguenti.
Tale schema ha l'obiettivo di individuare sia la forma generale
di ogni processo comunicativo, sia i fattori fondamentali che lo
costituiscono, quegli elementi, cioè, che devono essere presenti
ogni qual volta si verifichi un passaggio di informazione. La figura
seguente lo riporta in una versione fedele all'originale di Shannon
e Weaver:
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Tabella 1 - Lo schema della
comunicazione di Shannon e Weaver |
La fonte è l'origine dell'informazione; essa genera (in
qualche modo) un messaggio che un apparato trasmittente
trasforma in segnali; i segnali a loro volta sono trasmessi
mediante un canale fisico fino al ricettore che li
converte nuovamente nel messaggio ricevuto dal destinatario.
Elemento di ostacolo al buon fine del processo comunicativo è il rumore,
cioè la presenza di disturbi lungo il canale che possono
danneggiare i segnali (quali le interferenze elettriche o magnetiche
che si possono generare lungo un cavo di trasmissione).
Cerchiamo di capire meglio come funzioni il modello applicandolo
ad un caso pratico: il termostato. Si tratta, come saprete
certamente, di un dispositivo che serve a regolare la temperatura
dell'acqua di una caldaia, o dell'aria all'interno di un forno.
L'informazione che ci interessa in questo caso è se la temperatura
abbia raggiunto o no un livello T. La fonte di questa
informazione è il contenitore dell'acqua o dell'aria, dotato di un
sensore (un termometro, per la precisione). Il sensore è collegato
ad un apparato trasmittente; quando il livello T viene
raggiunto esso viene attivato ed invia il messaggio
"temperatura T raggiunta" mediante un segnale che
ha la forma di un impulso elettrico; l'impulso viaggia attraverso un
filo di rame (il canale) fino al ricettore, al quale
è collegato il destinatario del messaggio, un meccanismo di
accensione e spegnimento del bruciatore, un interruttore. A questo
punto si avvia un nuovo processo comunicativo in cui il destinatario
originale diventa fonte di un messaggio che ordina al bruciatore
(nuovo destinatario) di spegnersi. Un meccanismo di risposta come
questo si chiama feed-back, ed è alla base di tutti i
sistemi omeostatici, quei sistemi, cioè, in grado di autoregolarsi.
Ma con poche difficoltà possiamo applicare il medesimo schema
alla comunicazione linguistica. Come lo stesso Warren Weaver ha
detto, quando parlo con un'altra persona il mio cervello è la fonte
dell'informazione, l'apparato vocale il trasmettitore, le vibrazioni
sonore il canale della comunicazione, l'orecchio del mio
interlocutore il ricettore e il suo cervello il destinatario finale
del messaggio.
Insomma, lo schema di Shannon e Weaver ci consente di cogliere e
collocare in un quadro unitario i tratti essenziali di processi
apparentemente diversissimi: dal funzionamento degli apparati
omeostatici come il termostato, all'interazione tra macchina e uomo
(ad esempio, un apparato di rilevamento meccanico posto sotto il
controllo di un operatore umano), alla comunicazione tra due esseri
umani (l'interazione linguistica). Ma soprattutto ci consente di
considerare tutti questi processi di interazione come manifestazioni
di quello stesso fenomeno primitivo che è la comunicazione, e
dunque di giustificare una teoria generale della comunicazione.
Grazie alla sua generalità, lo schema di Shannon e Weaver ha
avuto una enorme fortuna nelle varie discipline che a vario titolo
si occupano di comunicazione. Tuttavia, la recezione di questo
modello non è stata passiva. Infatti, in ragione della sua origine
eminentemente "ingegneristica", esso non permette di
rappresentare esaurientemente i processi comunicativi in cui sono
implicati dei soggetti umani.
Proprio al fine di rendere conto della complessità della
comunicazione umana, ed in particolare della comunicazione
linguistica, il famoso linguista Roman Jakobson, ha proposto una
rielaborazione dello schema comunicativo che ha avuto un grande
influenza in discipline come la linguistica strutturalista, la
semiotica e la teoria della letteratura, ma che ha dato spunto anche
a molti modelli adottati negli studi sulle comunicazioni di massa.
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Figura 2 - Roman Jakobson |
Non ci sono parole migliori per descrivere il modello della
comunicazione di Jakobson di quelle dello stesso autore:
Il mittente invia un messaggio al destinatario. Per
essere operante, il messaggio richiede in primo luogo il riferimento
a un contesto (il «referente», secondo un'altra
terminologia abbastanza ambigua), contesto che possa essere
afferrato dal destinatario, e che sia verbale o suscettibile di
verbalizzazione; in secondo luogo esige un codice
interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al
destinatario (o in altri termini al codificatore e al decodificatore
del messaggio); infine un contatto, un canale fisico e una
connessione psicologica fra il mittente ed il destinatario, che
consenta loro di stabilire e mantenere la comunicazione. Questi
diversi fattori insopprimibili della comunicazione verbale possono
essere rappresentati schematicamente come segue:
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contesto
messaggio |
|
mittente |
- - - - - - - - - - -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - |
destinatario |
|
contatto
codice |
|
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Tabella 2 - Lo schema
della comunicazione di Jakobson |
Come vediamo, in questo modello (oltre ad un cambio di
terminologia) viene meno la distinzione tra fonte e trasmittente
da un lato e ricettore e destinatario dall'altro, e
scompaiono le nozioni di segnale e di rumore. In un
certo senso possiamo dire che si tratta di un modello che coglie la
comunicazione ad un livello di astrazione maggiore, facendo a meno
di rendere conto degli eventuali apparati e dispositivi fisici che
possono consentire, facilitare o disturbare il processo
comunicativo.
D'altra parte Shannon e Weaver avevano l'obiettivo primario di
descrivere gli apparati meccanici di comunicazione, e di studiare in
che modo potessero essere formati i segnali al fine di ottimizzare
l'efficienza della comunicazione e ridurre i danni provocati dal
rumore. Jakobson invece vuole costruire un modello della
comunicazione umana che ci permetta di capire come e perché siamo
in grado di parlare su qualcosa e di comprendere ciò
che ci viene detto. Non a caso egli introduce esplicitamente due
fattori che non comparivano nel modello precedente: il codice
ed il contesto.
Il concetto di codice rappresenta una delle nozioni chiave di
ogni disciplina che si occupa dei processi comunicativi. Tuttavia,
poiché la comunicazione viene studiata da vari punti di vista, il
significato attribuito al termine codice non è sempre univoco;
soprattutto tale termine non designa sempre lo stesso ambito di
fenomeni.
Una definizione generale su cui si potrebbe convenire è la
seguente: un «codice» è un insieme strutturato di segni e
di regole che il mittente ed il destinatario devono
condividere affinché il primo sia in grado di formulare messaggi ed
il secondo di comprenderli. Da questo punto di vista la nozione di
codice è coestensiva a quella di linguaggio. Sebbene questa
sovrapposizione non sia accolta in tutte le tradizioni disciplinari,
ai fini della nostra trattazione useremo i due termini come se
fossero sinonimi. Tuttavia questa definizione non ci permette di
fare molti passi in avanti nella comprensione del fenomeno
"codice". Un esempio ci può aiutare ad approfondire
questa comprensione, ed anche a vedere come e perché si sono avute
più accezioni della nozione di codice.
Prendiamo dunque uno degli esempi di processi comunicativi che
abbiamo illustrato prima, il circuito del termostato. In questo caso
i due componenti di un termostato possono scambiarsi solo due
messaggi, ovvero gli stati del mondo di cui l'emittente può parlare
e che il destinatario può capire sono solo due: «temperatura oltre
il limite»/«temperatura sotto il limite». Per consentire lo
scambio di questi messaggi, dunque, sono sufficienti due segni
(ricordate la rappresentazione dello stato di un interruttore nella prima
dispensa?: stipuliamo che il primo venga rappresentato
fisicamente dal segnale "presenza di corrente"; il secondo
potrà benissimo essere rappresentato non dalla presenza, bensì
dalla assenza di segnale (ovvero dalla mancanza di corrente nel
circuito).
Ora il nostro sistema termostatico può funzionare. Tuttavia, come
sappiamo, il rumore potrebbe generare dei disturbi nel circuito,
e soprattutto potrebbe favorire una errata comunicazione,
convertendo un segnale nell'altro: ad esempio potrebbe generare il
segnale "presenza di corrente" anche quando lo stato
«temperatura oltre il limite» non si sia verificato. Per evitare
tali situazioni di incertezza possiamo complicare il nostro sistema
in questo modo: ogni messaggio è costituito da una sequenza di due
segni, che per comodità designiamo «A» e «B», dove l'ordine dei
due simboli è significativo. Ci ritroviamo così con quattro
sequenze «AA» «AB» «BA» «BB». A questo punto stipuliamo la
convenzione che solo la prima e l'ultima di tali sequenze siano
latrici di informazioni rilevanti (che nel nostro caso sono solo
due). Decidiamo infine che il segno «A» corrisponda ad un impulso
di corrente di 5 volt, mentre il segno «B» corrisponda ad un
impulso di 10 volt. La probabilità che per errore il messaggio
«AA» della fonte arrivi come «BB» al destinatario è assai
minore di quando avevamo solo messaggi della forma «A» o «B».
Abbiamo introdotto nel nostro sistema ciò che si chiama ridondanza,
cioè la eccedenza dei messaggi formulabili mediante il repertorio
dei simboli rispetto ai messaggi effettivamente significativi.
Se riconsideriamo ciò che abbiamo fatto ci accorgiamo di aver
definito le seguenti entità:
- una serie di nozioni sugli stati del mondo che possono essere
il contenuto di ciascun atto comunicativo; chiamiamo questi
elementi significati
- una serie di simboli astratti che possono essere connessi in
modo convenzionale a significati; essi possono essere sottoposti
a regole che ne governino la combinazione e la successione e che
stabiliscano quali sequenze siano da considerare e quali siano
da scartare; chiamiamo queste regole una sintassi
- una serie di eventi fisici dotati di caratteristiche
distintive, che possono essere adoperati per rappresentare le
unità astratte della serie (b)
- una regola che associa in modo sistematico le unità della
serie (a) a quelle della serie (b), ed in seconda istanza le
unità della serie (b) a quelle della serie (c)
Ebbene con il termine codice possiamo intendere, e di fatto
autori diversi hanno di volta in volta inteso, ciascuna di questa
entità. Tuttavia, soprattutto a partire dagli anni sessanta, ha
prevalso come accezione di codice l'entità che abbiamo individuato
al nostro punto (d) (la quale peraltro fa riferimento alle
precedenti). Tale nozione di codice è stata elaborata nell'ambito
di una disciplina specificamente dedicata allo studio dei codici e
dei linguaggio intesi come sistemi di segni, la semiotica.
Possiamo dunque (seguendo il lavoro di un altro celebre
linguista, Louis Hjemslev) riformulare in questo modo la nostra
definizione: un codice semiotico è sistema di correlazioni tra
due sottosistemi: uno costituisce il sistema delle unità significanti,
le unità che si manifestano in un atto comunicativo, chiamato piano
dell'espressione; l'altro il sistema delle unità significate,
ovvero il piano del contenuto. A loro volta i due piani si
dividono in forma e sostanza. La forma
dell'espressione, che chiamiamo sintassi, generalizzando il caso del
linguaggio verbale, è la struttura che organizza e da forma alle
unità significanti, fornendo un repertorio di tipi espressivi del
codice, nonché le regole per la loro combinazione (se il codice è
composto da segni discreti). La forma del contenuto invece definisce
le unità semantiche e i loro rapporti, organizzando la
conoscenza/rappresentazione del mondo in un sistema. Si noti che la
correlazione che è alla base di un codice è una correlazione
arbitraria: ovvero il rapporto tra significante e significato non è
un rapporto di causa ed effetto.
Alla luce di questa definizione nella classe dei codici possiamo
far rientrare un ambito di fenomeni molto vasto, che va dal semplice
linguaggio del termostato, ai linguaggi di programmazione per
computer, dal linguaggio della matematica al linguaggio verbale.
Rientrano nella classe di codici anche le forme espressive che si
basano su simboli visivi e sulle immagini, detti comunemente
linguaggi iconici: un esempio molto banale è il linguaggio dei
cartelli stradali. Ma anche la pittura, la fotografia, il cinema o
la televisione possono per certi versi essere considerati alla
stregua di codici. Essi infatti hanno un loro insieme di unità
espressive e una loro sintassi specifica (ad esempio l'inquadratura
e il montaggio) anche se non presentano tutte le caratteristiche dei
linguaggi simbolici astratti, i cui rappresentanti per eccellenza
sono le lingue naturali.
Ciascun codice si differenzia da un altro sia per il tipo di
unità espressive adottate, sia per la complessità della
correlazione tra significante e significato, sia per il modo in cui
sono articolati i significati. E proprio la differenza nella
complessità e ricchezza del codice ci consente di discriminare tra
il funzionamento di un termostato e il colloquio tra due amici.
L'interazione verbale, ed in generale ogni processo di comunicazione
che veda coinvolti in ultima analisi esseri umani, si rivela infatti
un fenomeno assai più complesso della interazione tra apparati
automatici.
I due componenti di un termostato possono scambiarsi solo due
messaggi: «temperatura oltre il limite»/«temperatura sotto il
limite». Per motivi di sicurezza, sappiamo, potremmo anche
complicare questo codice. Tuttavia, per quanto complicato possa
essere il codice proposto (potremmo aumentare il numero di simboli,
individuare regole di accoppiamento degli stessi, in definitiva
costruire una intera grammatica), esso dovrà sempre rispondere ai
seguenti vincoli:
- ad ogni simbolo corrisponde uno e un solo significato
- un simbolo veicola lo stesso significato in qualsiasi
situazione e contesto
- una volta definito il codice esso non può esser cambiato
dagli agenti che lo utilizzano
Se invece ci rivolgiamo a considerare la comunicazione verbale
tra esseri umani, ci rendiamo immediatamente conto che la lingua ci
consente di scambiare un numero infinito di significati, che ogni
singolo messaggio linguistico veicola molteplici significati e che
soprattutto in una interazione linguistica il processo di decodifica
non è mai un confronto meccanico tra segnali ricevuti e un codice
astratto ma un processo di interpretazione in cui giocano un
ruolo enorme il contesto, le disposizioni emotive e le conoscenze
del destinatario.
Il contesto è il secondo aspetto della comunicazione linguistica
su cui Jakobson attira la nostra attenzione. Per comunicare infatti
non basta avere in comune un codice. Ed in ogni caso, nella
comunicazione linguistica questa comunanza non è mai perfetta, come
avviene per i codici più semplici. Infatti, quando parliamo
effettivamente con qualcuno parliamo di qualche cosa, in una data situazione
e in un dato momento temporale. Affinché si dia
comunicazione è necessario che tutti questi elementi di contesto
siano condivisi, o, se non lo sono, che almeno siano condivisibili
mediante la lingua.
Vediamo di spiegarci meglio con un esempio. Se incontro il mio
amico Bruno, e gli dico «Ehi, hai visto che grande Roma ieri» (i
tifosi di altre squadre ci perdoneranno) affinché egli capisca il
senso della mia frase non basta che conosca bene l'italiano. Deve
anche sapere che «Roma» si riferisce alla squadra di calcio e non
alla città; deve in altre parole afferrare in qualche modo
l'"oggetto" del mondo di cui io sto parlando.
Come questo afferrare il mondo mediante le parole avvenga è un
problema su cui i filosofi si interrogano da secoli. Non possiamo in
questa dispensa, che ha tutt'altro obiettivo, soffermarci su tale
dibattito. Piuttosto ci preme mettere in evidenza come la
comprensione di un messaggio, anche banale, sia un processo di
enorme complessità. Infatti al mio amico non basta capire le parole
che gli ho rivolto e collegare i termini individuali ad oggetti
reali. Per comprendere realmente il mio messaggio egli deve
possedere una serie di conoscenze di sfondo, una sorta di contesto
cognitivo, composto dalle seguenti nozioni: sapere che ieri si è
giocata una partita di calcio, che cosa è il calcio, che è in
corso un torneo sportivo nazionale di calcio, che io sono tifoso di
una certa squadra, e così via. Nel momento in cui io mi rivolgo a
lui con quella frase presuppongo che possieda in qualche modo
queste conoscenze. Se mi accorgo che la mia presupposizione è
errata, allora devo esser in grado di spiegargli, mediante la lingua
(o eventualmente con l'ausilio di messaggi visivi e filmati) almeno
una parte di queste conoscenze di contesto, altrimenti non
riusciremo a capirci. Ci possiamo facilmente rendere conto che una
perfetta coincidenza di competenze tra due persone è impossibile.
Infatti tali nozioni sono il frutto della storia personale e sociale
di ciascuno.
Ma anche ammesso che ci sia un sufficiente accordo di competenze
tra due interlocutori, il senso complessivo di un messaggio per un
destinatario non sarebbe comunque determinato solo da tale accordo.
Se ad esempio il mio amico Bruno è un tifoso della Lazio, il
significato immediato, letterale, della frase diventa a sua volta
veicolo di un senso più ricco, in cui entra in gioco l'ironia e lo
scherno verso il nostro interlocutore. Ciò non succederebbe se io
stessi parlando con un altro amico il quale, pur condividendo le
conoscenze di contesto, fosse tifoso di un'altra squadra, o non lo
fosse di alcuna. Ma lo stesso amico Bruno potrebbe valutare
diversamente il mio messaggio se fosse appena reduce da una
interrogazione dagli esiti non brillanti, o da un bisticcio con la
fidanzata.
Ecco che la comunicazione linguistica, ed in generale ogni
processo di comunicazione tra esseri intelligenti mediata da un
codice di sufficiente complessità (si pensi alla pittura, o al
cinema), non presenta mai una perfetta simmetria tra codifica e
decodifica. La decodifica richiede sempre un lavoro di interpretazione,
effettuata dal o dai destinatari alla luce di un insieme di
competenze e di circostanze. Naturalmente questa decodifica
interpretativa non è sempre di pari complessità. Ci sono dei
messaggi che interpretiamo tutti in modo largamente simile e con
sufficiente velocità (se così non fosse, d'altronde, il linguaggio
non sarebbe stato quel formidabile strumento di sopravvivenza in un
ambiente ostile che si è rivelato essere per la nostra specie,
fisicamente debole ed impacciata). Ed anche nel caso di messaggi
più complessi esiste in principio la possibilità di ricostruire un
significato comune e condiviso. Ma questo spazio comune può sempre
essere il punto di partenza di un percorso interpretativo
irriducibilmente individuale.
Fino
ad ora abbiamo parlato di comunicazione in modo astratto. Ma un
processo di comunicazione reale non è solo un astratto
trasferimento di informazioni codificate. I veicoli sui cui viaggia
l'informazione, i segnali, sono entità fisiche: possono essere
corpi fisici, o flussi di energia, come vibrazioni sonore, correnti
elettriche, radiazioni elettromagnetiche. Per trasmettere e ricevere
informazione sono dunque necessari degli apparati fisici, in grado
di produrre energia o oggetti, di trasferirli e riceverli,
attraverso un canale, e percepirli mediante dei recettori.
L'evoluzione ha dotato il nostro organismo di alcuni apparati
naturali di trasmissione e ricezione: l'apparato vocale è un
esempio dei primi, così come la capacità di movimento di alcuni
arti, che ci consentono di gesticolare; l'apparato uditivo e quello
visivo sono esempi dei secondi. Tuttavia questi apparati naturali
hanno molti limiti. In primo luogo non ci permettono di comunicare a
grandi distanze. La voce, ad esempio, riesce a
"viaggiare", conservando la sua capacità di veicolare
informazione, per poche decine di metri. E i nostri occhi possono
percepire solo le radiazioni dello spettro visivo che giungono loro
in linea retta. Inoltre i nostri apparati di comunicazione naturale
non ci permettono di conservare l'informazione in modo stabile nel
tempo.
Per aumentare la sua capacità di comunicare e di conservare
l'informazione nel tempo e nello spazio, dunque, l'uomo è stato
costretto ad estendere le potenzialità dei suoi apparati naturali
mediante degli apparati artificiali di comunicazione. Questi
apparati sono le tecnologie della comunicazione.
Dobbiamo allo studioso canadese Marshall McLuhan l'idea che lo
studio della comunicazione umana non possa prescindere da una
analisi delle tecnologie della comunicazione.
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Figura 3 - Marshall McLuhan |
Nei suoi molti libri e saggi, scritti a partire dagli anni 60,
McLuhan ha proposto una analisi innovativa ed affascinante di
numerosi strumenti della comunicazione, dalla scrittura fino alla
televisione ed ai computer (anche se purtroppo è scomparso prima
della nascita e della diffusione del personal computer, che è stato
il primo vero propulsore della rivoluzione digitale). Per designare
tali strumenti egli ha utilizzato il termine media (in latino
medium significa mezzo), che è divenuto uno dei
termini chiave nelle scienze della comunicazione.
L'opera di McLuhan non ha mai assunto uno stile accademico e
sistematico, ed anzi è caratterizzata da molti slogan ed
affermazioni provocatorie. Questo stile, come egli stesso disse, gli
permetteva di farsi capire da un pubblico vasto, e non solo da una
ristretta cerchia di specialisti. Tuttavia da questa asistematicità
sono conseguiti numerosi fraintendimenti ed incomprensioni, ed il
suo pensiero è stato oggetto di vere e proprie guerre ideologiche
tra entusiasti sostenitori e critici radicali.
Uno dei punti su cui la controversia si è maggiormente
soffermata riguarda proprio il concetto di medium. Egli,
infatti, non ne ha mai dato una definizione rigorosa, limitandosi a
scrivere che un medium è "qualsiasi tecnologia che crei
estensioni del corpo e dei sensi, dall'abbigliamento al
calcolatore". In questo modo fu portato a riunire in una sola
categoria fenomeni che ricadono nella sfera dei codici, come il
linguaggio verbale e le scrittura, tecnologie che faremmo rientrare
tra i canali della comunicazione, come la stampa, l'elettricità ed
il telefono, o altri che diremmo piuttosto messaggi, come gli abiti,
o i quadri. E non solo: per McLuhan anche il treno, le autostrade,
l'automazione nelle fabbriche erano dei media.
Ancora più controversa è stata la sua celebre affermazione
"il medium è il messaggio". Molti hanno interpretato
questo aforisma nel senso che nella comunicazione ciò che conta non
è il contenuto, quello che si vuole comunicare, ma il mezzo
strumentale utilizzato per comunicare. E dunque, se ne potrebbe
dedurre, il contenuto è ininfluente. Se si tiene conto che questa
affermazione cadeva proprio nel mezzo della polemica scatenatasi
negli anni 60 sulla funzione dei mezzi di comunicazione di massa (e
soprattutto della televisione) nei processi di massificazione
culturale, ci si può rendere conto della sua carica provocatoria, e
della conseguente reazione di gran parte degli intellettuali
tradizionali.
In realtà, ad una lettura più attenta, e fatta a distanza di
alcuni decenni, ci accorgiamo che dietro alle riflessioni di McLuhan
ci sono delle intuizioni importanti e per molti versi
straordinariamente anticipatorie. In primo luogo, pur se in mezzo a
molte oscillazioni ed oggettive contraddizioni, il concetto di
medium che egli cercava di elaborare non coincide con quello di
apparato tecnico di comunicazione in senso ingegneristico (peraltro
McLuhan era professore di letteratura inglese). Piuttosto egli usava
il termine per indicare il complesso sistema costituito da un
apparato tecnologico, dalle relazioni tra tale apparato e i processi
percettivi e cognitivi dell'uomo, dal rapporto tra apparato e
linguaggi della comunicazione, dalla funzione che tale sistema
assume nel contesto delle relazioni sociali. Talvolta uno di questi
aspetti veniva accentuato in una singola trattazione o affermazione,
ma una visione di insieme ci restituisce questa idea complessa ed
assai produttiva del concetto di medium.
A partire da questa idea relazionale dei media, possiamo anche
reinterpretare la provocatoria affermazione che il medium è il
messaggio: nel momento in cui la comunicazione viene mediata da un
apparato strumentale artificiale, qualsiasi esso sia, le
caratteristiche tecniche di tale apparato agiscono sulla percezione
del messaggio stesso, definendo il campo di possibilità entro cui
possono svilupparsi sia la forma sia i contenuti della
comunicazione. E poiché la comunicazione è il fondamento su cui si
basano sia il pensiero e la conoscenza individuale, sia quella forma
di pensiero e conoscenza collettiva che chiamiamo cultura, ne
consegue che la natura degli strumenti del comunicare diventa
un fattore di trasformazione del pensiero, della cultura e dunque
della società (torneremo su questi temi nella prossima dispensa,
parlando del futuro della "cultura
del libro"). Ma per McLuhan questa consapevolezza non ha
mai significato l'adesione ad una visione deterministica
dell'influenza delle tecnologie sulla società (su questo torneremo
nell'ultimo capitolo).
Anzi, egli stesso ha scritto che era suo intento fondare un modo
nuovo di studiare la comunicazione e gli strumenti della
comunicazione per capire come l'uomo potesse utilizzarli attivamente
al fine di sviluppare e migliorare la società.
I media, come abbiamo visto, sono un fenomeno comunicativo molto
complesso, in cui si intersecano una serie di livelli e di rapporti.
Senza dubbio l'aspetto tecnologico ha un ruolo centrale nella
definizione della loro natura e delle loro caratteristiche. Siamo
chiaramente in grado di differenziare da questo punto di vista
apparati tecnici tra loro diversi come il libro a stampa, la radio,
il telefono, la televisione e le reti di computer. Tuttavia, una
semplice analisi tecnologica dei diversi media non riuscirebbe a
dare conto del ruolo e della funzione di ciascuno di essi
nell'ambito della comunicazione individuale e sociale. Se vogliamo
studiare il funzionamento e le caratteristiche di un medium da
questo punto di vista più complesso, dobbiamo infatti esaminare il
suo rapporto con i vari fattori della comunicazione: linguaggi,
contenuti, modalità di emissione e di fruizione.
Questa prospettiva da una parte ci fornisce le chiavi per una
classificazione dei media, tema su cui si sono misurati moltissimi
studiosi della comunicazione, e dall'altra di permette di capire
come ed in che senso sia possibile parlare di nuovi media. Su
questo tema ci concentreremo nella prossima
dispensa. Per il momento invece vogliamo approfondire alcuni
aspetti della relazione tra medium ed elementi della comunicazione
che riteniamo particolarmente interessanti e, soprattutto,
propedeutici per la nostra esplorazione nell'universo delle nuove
tecnologie.
Il primo aspetto che andiamo ad investigare è il rapporto tra un
medium ed il linguaggio (o i linguaggi) che esso veicola. Da questo
punto di vista potremmo distinguere due classi di media: media monocodice
e media pluricodice.
I media monocodice sono quei media che veicolano messaggi
codificati in un solo codice primario. Adottiamo il termine
"codice primario" perché a rigore non esistono media che
sono assolutamente monocodice. Ad esempio il libro è sicuramente un
medium la cui comunicazione è basata in primo luogo sul linguaggio
verbale scritto. Tuttavia nella comunicazione mediata dal libro si
trovano ad agire più codici, che funzionano in modi più o meno
espliciti. Un esempio autoevidente è l'uso delle illustrazioni e
delle figure che possono corredare il testo in molti libri. Ma non
si deve dimenticare che anche la forma della pagine e degli elementi
che la compongono, la disposizione dei caratteri, il tipo di fonti
tipografiche, è regolata da codici e stili grafici. Essi agiscono
prevalentemente a livello inconsapevole, e contribuiscono
attivamente ad orientare la lettura, focalizzando l'attenzione del
lettore, indirizzando il flusso di lettura, scandendo le divisioni
strutturali del testo, facilitando il reperimento di particolari
porzioni del testo. In questo senso, i cambiamenti nella natura del
libro introdotti dai cosiddetti "libri elettronici" (ne
parleremo in dettaglio nella prossima
dispensa) non incidono dunque solo sulla forma, ma anche sul
contenuto stesso della comunicazione scritta.
I media pluricodice, sono quei media che, in virtù delle loro
caratteristiche tecniche, hanno la capacità di veicolare messaggi
prodotti mediante linguaggi diversi. Ma come nella prima tipologia
la univocità nascondeva una certa molteplicità, qui la
molteplicità tende a generare una nuova univocità. Infatti la
compresenza di codici diversi in un messaggio non è mai il prodotto
di una pura e semplice giustapposizione, bensì dell'attività
regolatrice di un nuovo linguaggio, una sorta di iper-linguaggio. Si
pensi ad esempio al cinema, dove agiscono insieme il testo, il
linguaggio del corpo e dei gesti, le immagini, la musica, ma tutti
contribuiscono a costruire un codice cinematografico dotato di suoi
caratteri specifici che sono, ad esempio, differenti da quelli della
televisione.
Il rapporto tra media e linguaggio, infatti, non è mai
estrinseco e strumentale. Al contrario ogni medium ha la tendenza a
generare un linguaggio comunicativo suo proprio, o a modificare
profondamente le caratteristiche dei linguaggi che, prima della sua
comparsa, erano veicolati da media differenti. Questo processo può
richiedere un tempo più o meno lungo. In una prima fase infatti
ogni nuovo medium comunicativo cerca di utilizzare i linguaggi e i
modelli comunicativi delle tecnologie che lo precedevano. Ma
successivamente le caratteristiche tecniche del nuovo strumento
influenzano tale linguaggio, fino a modificarlo profondamente o a
produrne uno nuovo.
Un altro aspetto che caratterizza i diversi media riguarda il
verso del rapporto comunicativo, e la relazione quantitativa tra
mittente e destinatario/i che ciascun medium istituisce o
privilegia. Da questo punto di vista possiamo distinguere tre
modelli comunicativi: media verticali o unidirezionali,
media orizzontali o bidirezionali, media reticolari
o circolari. Si tratta di una distinzione sulla quale torneremo,
ma che è opportuno introdurre anche in questa sede per il prosieguo
del nostro discorso.
Nei media verticali o unidirezionali il mittente è unico mentre
i destinatari sono molti, e non esiste di norma la possibilità di
inversione del ruolo. Il processo comunicativo dunque avviene sempre
nella medesima direzione: l'unico mittente produce il messaggio, i
molti destinatari non possono fare altro che riceverlo e
decodificarlo. Come vedremo, questo tipo di rapporto comunicativo
caratterizza quella classe di apparati della comunicazione che
vengono definiti mass media: televisione, radio, stampa
quotidiana e periodica, ma in parte anche il cinema ed il libro.
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Figura 4 - Il modello della
comunicazione verticale |
Nei media orizzontali esiste una pluralità di mittenti e
destinatari che possono scambiarsi i ruoli. Ogni singolo processo
comunicativo è bidirezionale, ed assume la forma del dialogo. In
questo caso infatti entrambi i protagonisti dell'interazione
comunicativa possono divenire mittenti e dunque possono produrre
messaggi. Tipico esempio di medium che si basa sulla comunicazione
orizzontale è il telefono, ma a questa classe appartiene quella
particolare forma di comunicazione verbale scritta che è la
comunicazione epistolare.
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Figura 5 - Il modello della
comunicazione orizzontale |
I media reticolari, infine, sono una evoluzione di quelli
orizzontali. Anche in questo caso esistono molti emittenti e molti
destinatari, che possono scambiarsi di ruolo. Ma ciascun agente
comunicativo è in grado di comunicare con molti altri. Nella
comunicazione reticolare si realizza pertanto una interazione
collettiva. Un medium che incarna questo tipo di interazione è la
rete telematica Internet, almeno nella forma che essa ha avuto fino
ad ora.
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Figura 6 - Modello della comunicazione
circolare |
Tra
tutti i media, quelli che hanno assunto un ruolo preponderante nella
comunicazione sociale contemporanea sono i cosiddetti mass media,
o mezzi di comunicazione di massa.
Come abbiamo visto, una delle caratteristiche principali di
questa tipo di media è l'adozione di un modello di comunicazione
verticale ed unidirezionale. Questo modello è fondato su una forte
asimmetria tra l'unico mittente e i molti destinatari, che non
possono in alcun modo interagire o ribattere. Ma nella definizione
di mass media convergono anche altri aspetti: in primo luogo i
destinatari sono considerati come una massa indifferenziata e
passiva; in secondo luogo, i contenuti della comunicazione tendono
ad assumere un livello qualitativo uniforme e livellato verso il
basso; infine, poiché il rapporto comunicativo è asimmetrico ed
unidirezionale, i mass media possono svolgere la funzione di
apparati di persuasione di massa e, conseguentemente, divenire
strumento della propaganda politica e della persuasione commerciale,
la pubblicità.
Tra i mezzi di comunicazione di massa, la televisione è senza
dubbio quello che ha avuto a un tempo la più profonda ed estesa
influenza sulla società e sulla cultura contemporanea, assurgendo a
prototipo per eccellenza dei mass media e dei loro presunti effetti
negativi. Le cause di questa profonda influenza sono complesse.
Accanto alla natura asimmetrica della comunicazione, che abbiamo
già rilevato, un ruolo importante viene giocato dalle
caratteristiche semiotiche del messaggio televisivo. Infatti la
televisione è un sistema di comunicazione assai complesso, in cui
interagiscono immagini in movimento, parola, e spesso musica. Il
messaggio televisivo dunque impegna fortemente le facoltà
ricettive, i sensi, dello spettatore, la cui attenzione viene
fortemente assorbita. Sappiamo, per esperienza personale, che è
difficile fare altre cose mentre si guarda un televisore, ciò che
non avviene se si ascolta la radio.
Una ulteriore caratteristica della comunicazione televisiva è l'effetto
realtà che le immagini da essa proposte producono negli
spettatori: ciò che vediamo sul video ci appare ingannevolmente
come una immagine reale del mondo, un po' come se stessimo guardando
attraverso una finestra. Al contrario l'immagine televisiva è il
prodotto di numerose mediazioni, messe in scena, scelte di tempi e
sequenze, anche quando la ripresa è in diretta. Il messaggio
televisivo, insomma, nasconde la sua natura di messaggio, per
presentarsi come specchio della realtà.
L'insieme delle caratteristiche della comunicazione televisiva
tende a limitare il ruolo attivo degli spettatori nella ricezione, e
conferisce al messaggio televisivo una forte carica persuasiva. A
tale risultato, d'altra parte, concorrono anche i contenuti della
comunicazione. La televisione, infatti, propone al pubblico messaggi
omogenei, sempre meno attenti alle differenze di gusto e sempre più
inclini ad evitare livelli alti di argomentazione. Essa diviene,
pertanto, il veicolo preferenziale della cosiddetta cultura di
massa.
Per queste ragioni, la televisione ed in generale tutti i mass
media sono stati considerati da moltissimi intellettuali uno degli
strumenti di controllo sociale più efficienti nelle mani delle
classi dirigenti per mantenere lo status quo, e una delle
principali cause della massificazione culturale. La polemica degli
"apocalittici" (così furono definiti da Umberto Eco in un
famoso libro dal titolo Apocalittici e Integrati) verso i
mass media ha raggiunto il suo apice negli anni 60, sulle onde della
teoria critica elaborata dal gruppo di intellettuali e filosofi
della Scuola di Francoforte: Theodor Adorno, Max Horkheimer e
Herbert Marcuse.
Ma il dibattito è proseguito fino ai nostri giorni con critiche,
in parte diverse, alla "cattiva maestra televisione"
provenienti da filosofi come Karl Popper, formatosi in una
tradizione culturale del tutto lontana se non avversa a quella dei
"francofortesi" (si veda la sua intervista sul CD-ROM).
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Figura 7 - Theodor Adorno |
Oggi possiamo assumere una posizione forse più equilibrata.
Sebbene sia innegabile che i mass media abbiano assunto storicamente
un ruolo di controllo o di diffusione di modelli massificanti (basti
pensare alla funzione propagandistica della radio negli stati
totalitari, o all'importanza delle televisione nella diffusione dei
comportamenti "consumistici"), non bisogna dimenticare che
la comunicazione non è un processo puramente meccanicistico. La
decodifica di un messaggio, come abbiamo visto, è un processo
attivo, in cui intervengono le conoscenze e le attese del
destinatario. È insomma possibile una "decodifica
aberrante" rispetto alle intenzioni dell'emittente, che cambia
il senso dei messaggi.
Un esempio molto illuminante di questa inversione di senso a cui
possono essere sottoposti i messaggi della comunicazione di massa si
è verificata proprio nel paese che più di ogni altro ha sviluppato
il sistema dei mass media, gli Stati Uniti, durante la guerra del
Vietnam: furono proprio le immagini provenienti dai corrispondenti
trasmesse dalla televisione che fecero prendere coscienza ad una
vasta parte del popolo americano della assurdità e della atrocità
di quel conflitto, contribuendo così alla formazione di uno fra i
più importanti ed incisivi movimenti di opposizione di massa in un
paese occidentale dal dopoguerra.
Al livellamento ed alla omogeneizzazione della comunicazione
televisiva, sia sul piano delle forme sia su quello dei contenuti,
contribuiscono notevolmente anche considerazioni economiche. Quasi
ovunque, infatti, la televisione, oltre ad essere un mass medium è
anche una industria che deve produrre spettatori per venderli alla
agenzie pubblicitarie.
Tanto più facile è comprensibile è il livello contenutistico
del messaggio, quanti più spettatori si possono catturare nelle
rete. Il pubblico televisivo, infatti, creato dalla stessa
televisione, è in maggioranza educato a decodificare messaggi di
scarsa complessità e tematicamente non controversi. Per questo il
modello televisivo dominante è quello della televisione
generalista, in cui i palinsesti sono caratterizzati da una
programmazione di basso livello culturale e di estrema facilità
formale, specialmente negli orari di massima audience.
Occorre fare attenzione nel dare giudizi completamente negativi
di questa situazione. La cultura di massa, infatti, nasce come
prodotto di una società avanzata, in cui la gran parte dei
cittadini si ritrova a partecipare, in parità di diritti, alla vita
pubblica, ai consumi e dunque anche alla fruizione delle
comunicazioni. È comunque un fatto che due fattori sembrano
convergere ad un superamento di questo modello di comunicazione
televisiva, che domina da ormai 50 anni.
Da una parte le nuove tecnologie di trasmissione come i cavi ed i
satelliti, permettono di moltiplicare i canali di trasmissione
disponibile e soprattutto abbattono i costi di accesso alla
comunicazione radiotelevisiva via etere. Dall'altra i gusti del
pubblico, che nelle società avanzate gode di livelli di scolarità
e di cultura sempre più alti, sembrano essere mutati, mostrando
segni di stanchezza nei confronti della TV generalista (in cui la
programmazione sempre più spesso è insostenibilmente vuota e
volgare).
Una possibile risposta al rischio di crisi, o comunque di calo
degli spettatori per la televisione tradizionale consiste nella
segmentazione e tematizzazione dell'offerta televisiva passando
dalla diffusione terrestre alla diffusione satellitare in formato
digitale, e dalla televisione pagata dalla pubblicità a quella
pagata direttamente dagli utenti. Già oggi nell'offerta commerciale
di tutti gestori TV
satellitari, sono presenti numerosi canali tematici dedicati
ad un vasto spettro di argomenti e generi che vanno dallo sport, ai
cartoni animati, dal cinema in bianco e nero alla caccia e pesca;
senza dimenticare ovviamente i cosiddetti canali all-news,
quei canali cioè che trasmettono informazione sull'arco dell'intera
giornata, di cui la ormai famosa CNN è l'esemplare più
tipico.
Questa evoluzione del sistema dei media televisivi, comunque non
comporterà, almeno a breve termine, la scomparsa dell'offerta
generalista. Più verosimilmente assisteremo ad una coesistenza di
entrambi i modelli, ed ad una simmetrica segmentazione del pubblico,
che sarà sempre più soggetto attivo nella scelta della
programmazione a cui vuole assistere. Il passo successivo, almeno a
detta di molti esperti, sarà infine la completa personalizzazione
della comunicazione televisiva, realizzata grazie alla convergenza
digitale ed alla disponibilità di sistemi di video on demand.
Ma di questi ulteriori sviluppi del sistema televisivo ci occuperemo
nelle prossima
dispensa.
La
facoltà di comunicare è stata determinante per l'evoluzione
antropologica e per il progresso culturale dell'umanità. Per questo
la ricerca di mezzi e tecnologie efficienti per gestire e
controllare l'informazione ha caratterizzato la storia di tutte le
civiltà. Ma, come abbiamo visto, ogni nuovo strumento del
comunicare, a sua volta, ha determinato profonde trasformazioni
nella cultura e nella società. Capire in che modo le tecnologie
della comunicazione del passato abbiano influito sulle
trasformazioni sociali, è un ottimo strumento per interpretare i
cambiamenti in corso oggi, ed eventualmente per cercare di
indirizzarli.
Naturalmente non possiamo in poche pagine riassumere una vicenda
secolare cui sono stati dedicati innumerevoli studi e profonde
riflessione da molti importanti studiosi, come Marshall McLuhan,
Jack Innis, Walter Ong, Jack Goody e tanti altri. Ci limiteremo,
dunque, a tracciare una breve sinossi, limitata a quelle che
riteniamo le tappe fondamentali di tale vicenda, invitandovi ad
approfondire questa storia dei media leggendo direttamente le opere
degli studiosi appena citati (un primo elenco di testi rilevanti è
fornito al solito nella sezione
bibliografica).
La prima tecnologia della comunicazione che l'umanità ha
sviluppato, e senza dubbio la più importante, è la scrittura. La
sua comparsa nella storia dell'umanità sembra risalire alla metà
del quarto millennio a. C., nell'area mesopotamica, abitata
all'epoca dai Sumeri. In seguito molti sistemi di scrittura sono
stati inventati autonomamente da altre civiltà, in tempi diversi e
in diverse zone del mondo: i geroglifici egiziani risalgono al 3000
a. C., come la scrittura indiana, mentre gli Aztechi svilupparono la
loro scrittura solo nel 1400 d. C.
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Figura 8 - Esempio di scrittura
geroglifica egiziana |
Le prime forme di scrittura furono tutte essenzialmente
ideografiche: scritture cioè in cui ad ogni simbolo corrisponde un
concetto o un'idea. Questo sembra indicare la loro probabile
evoluzione da precedenti forme di rappresentazione iconica. Solo
più tardi alcuni dei simboli ideografici furono usati per
rappresentare non interi concetti ma le prime sillabe delle parole
che esprimevano tali concetti. Fu probabilmente questo lo stadio
intermedio che portò allo sviluppo della scrittura fonetica
alfabetica, quella scrittura cioè in cui i simboli rappresentano
singoli suoni. I primi esempi di questa nuova forma di scrittura
appaiono, sempre in area mediorientale, intorno al 1500 a. C. Ma
furono solamente i Greci che, introducendo anche i segni per le
vocali, ne completarono l'evoluzione intorno all'ottavo secolo a. C.
Le conseguenze dell'invenzione della scrittura furono enormi.
Essa, come ha scritto uno dei più eminenti studiosi di questi
argomenti, Walter Ong, "ha trasformato la mente umana più di
qualsiasi altra invenzione". La profonda influenza della
scrittura sulle strutture mentali e cognitive, viene dimostrata
dalla sua progressiva interiorizzazione: con il procedere dei
secoli, essa venne sempre meno percepita come una tecnologia
esterna, e sempre più come una funzione naturale. Probabilmente
molte nostre capacità cognitive sono state fortemente informate
dalla scrittura. In particolare, la disponibilità di un sistema di
rappresentazione astratto del linguaggio come l'alfabeto fu
determinante per la nascita della concezione occidentale della
razionalità e del pensiero analitico. La scrittura alfabetica
oggettiva il linguaggio, e dunque il pensiero cosciente: lo
trasforma in testo. Il testo permette di articolare il
pensiero in una sequenza di concetti, argomentazioni e
dimostrazioni; la stessa astrazione concettuale è un processo
cognitivo che sarebbe impossibile senza il sostrato della scrittura.
Non a caso la filosofia nasce solo in Grecia e solo dopo la
formalizzazione dell'alfabeto.
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Figura 9 - Un frammento di manoscritto
greco |
Ma la scrittura ebbe anche un ruolo centrale nel processo di
civilizzazione dell'uomo, come molti antropologi hanno mostrato. La
stanzializzazione, lo sviluppo delle economie di scambio, la nascita
dello stato furono possibili solo con l'invenzione della scrittura:
essa, infatti, permise di tenere conto delle merci scambiate e
immagazzinate, di scrivere le leggi, e dunque di svincolare
l'autorità dalla figura del capo tribù per passarla al sovrano,
legittimato a comandare la società perché estensore e tutore delle
leggi stesse.
Il secondo grande passaggio storico nella storia delle tecnologie
della scrittura è stata l'invenzione della stampa da parte di
Gutenberg alla metà del 1400. Anche in questo caso molti studiosi,
tra cui McLuhan, hanno mostrato come la stampa abbia avuto enormi
effetti sulla cultura occidentale: la modernità coincide con l'era
della stampa.
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Figura 10 - Johannes Gutenberg |
In primo luogo la stampa portò a compimento alcuni fenomeni che
erano stati avviati dalla diffusione della scrittura alfabetica. Il
concetto di testo come sistema coerente ed autosufficiente di idee
(trattato) o di fatti (romanzo) esposte in modo lineare e
sequenziale divenne definitivamente il paradigma della conoscenza
(sul rapporto tra stampa e romanzo torneremo nella dispensa
8). Anzi, grazie al supporto di una tecnologia che allo stesso
tempo fissava definitivamente il testo in un suo stadio
"finale" e ne moltiplicava gli esemplari identici, si
consolidò la nozione di opera autentica ed originale, e quella ad
essa correlata di autore in quanto unico responsabile dei
suoi contenuti.
A tale processo contribuì anche la netta separazione della
figura del lettore da quella dell'autore, e la parallela formazione
di una cerchia di autori professionisti, gli scrittori, e di lettori
professionisti, i critici. In primo luogo con la stampa venne
progressivamente meno quella figura intermedia che era stata per
secoli il copista, non di rado autore egli stesso e dunque indotto a
introdurre nella copia le sue idee ed i suoi commenti (sulla figura
del copista torneremo parlando delle biblioteche
digitali). In secondo luogo la riproduzione del testo era
affidata a soggetti diversi dallo studioso, e ciò lo esimeva dal
dovere della preservazione del testo, lasciandolo libero di
riflettere, analizzare e criticare il testo stesso. Infine, il libro
a stampa costava assai meno era molto più maneggevole del
manoscritto, e dunque permetteva collocare la lettura tre le
attività private dell'individuo. Non a caso le scienze umane
in senso moderno, ovvero quelle discipline che studiano i prodotti
dell'attività intellettuale, si affermarono solo dopo l'invenzione
della stampa.
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Figura 11 - La bibbia di Gutenberg |
Ma altrettanto importanti furono gli effetti sociali della nuova
tecnologia di riproduzione del sapere. La stampa, infatti, aumentò
notevolmente la diffusione sociale dei testi (sebbene questo
processo non fu immediato, ma anzi richiese diversi decenni se non
secoli). Essa oltrepassò la ristretta cerchie degli specialisti,
per raggiungere un pubblico di destinatari sempre più vasto,
collocato in fasce sociali nuove come la nascente borghesia, lontano
nello spazio e nel tempo e soprattutto al di fuori del campo di
esperienze dell'autore. Se da una parte ciò determinò una
diffusione del sapere sconosciuta fino ad allora ed una progressiva
acculturazione dei ceti emergenti, dall'altra la stessa diffusione
retroagì sul modo di scrivere sia dal punto di vista della lingua,
con una forte spinta alla normalizzazione linguistica ed
ortografica, sia da quello dei contenuti con la canonizzazione dei
generi letterari e lo sviluppo della letteratura popolare e
pedagogica.
Tale diffusione del sapere e delle informazioni venne
ulteriormente amplificata con la nascita, nel diciottesimo secolo,
dei primi giornali periodici di informazione. I giornali ebbero
subito una fortuna grandissima tra i nuovi ceti emergenti, che in
essi trovarono un formidabile veicolo di idee, ed uno strumento di
battaglia politica e culturale. Fece così la sua comparsa il
concetto di opinione pubblica, inteso come un insieme delle
idee e delle propensioni di un pubblico colto, in possesso di
informazioni sufficienti per formulare giudizi sui fatti politici e
culturali.
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Figura 12 - Un giornale del XVIII
secolo |
A partire dall'Ottocento la storia dei mezzi di comunicazione si
legò in modo definitivo allo sviluppo tecnologico ed industriale,
subendo un processo di accelerazione impressionante. Due furono le
poderose innovazioni portate dal secolo scorso: la nascita dei primi
apparati di comunicazione a distanza (ne abbiamo parlato nella terza
dispensa) e lo sviluppo delle prime tecnologie dell'immagine.
Nel decennio tra il 1830 e il 1840, l'invenzione e la diffusione
del telegrafo elettrico rese possibile per la prima volta la
trasmissione di un segnale a distanza in tempo reale: nacquero così
le telecomunicazioni. Negli stessi anni Louis Daguerre sviluppò la
fotografia, che per la prima volta permise la produzione di immagini
della realtà mediante un apparato meccanico. L'importanza di questa
invenzione fu percepita immediatamente dalle grandi menti
contemporanee. Il poeta Charles Baudelaire, lamentando il rischio
che tale modo di produrre immagini relegasse nel dimenticatoio la
funzione dell'artista, dimostrò di percepire, pur con un accento
pessimistico tipicamente romantico, la grande novità di un sistema
che avrebbe permesso la diffusione sociale dei mezzi di
rappresentazione visiva. Su questa posizione di Baudelaire torneremo
nell'ottava dispensa.
Una vera e propria esplosione nelle tecnologie della
comunicazione si colloca nell'ultimo ventennio del secolo. Nel 1876 Graham
Bell brevettò il telefono, rendendo possibile la comunicazione
vocale a distanza. Sempre in questo periodo Thomas Edison (al quale
dobbiamo tante altre invenzioni, tra cui quella della lampadina)
inventò i primi sistema per la registrazione e riproduzione
meccanica del suono: il fonografo e il grammofono.
Ma il vero e proprio ingresso trionfale nel secolo dei media si
colloca nel 1895, anno in cui i fratelli Lumiere a Parigi riuscirono
a sviluppare un sistema per la creazione e la riproduzione di
immagini in movimento: fu la nascita del cinema. In pochi anni
intorno a questa tecnologia di produzione e riproduzione di immagini
in movimento si sviluppo la prima vera forma di industria dello
spettacolo, dando inizio ad un processo che percorre tutto il
Novecento per arrivare fino alla odierna convergenza tra industria
delle comunicazioni e industria dello spettacolo.
Il novecento può ben essere definito il secolo dei media.
Sarebbe impossibile seguire in tutte le sue ramificazione la vera e
propria esplosione delle tecnologie della comunicazione che è
avvenuta nel nostro secolo sia in senso quantitativo (in termini
cioè di sviluppo di nuovi strumenti), sia in senso qualitativo (in
termini di evoluzione e diffusione sociale dei media). Ricordiamo
solo due momenti di snodo, che si caratterizzano come momenti di
origine di quei mass media che hanno caratterizzato la comunicazione
nel nostro secolo.
Nel 1920, grazie alle ricerche di Guglielmo Marconi sulla
trasmissione di suoni a distanza mediante la modulazione di onde
elettromagnetiche, iniziarono negli Stati Uniti le prime
trasmissioni radio. La radiofonia è stata il primo sistema di
comunicazione in grado di inviare messaggi in tempo reale a milioni
di persone contemporaneamente, direttamente nelle loro case: il
primo vero e proprio mass medium. Per questo essa ha assunto un
ruolo tanto importante nella comunicazione politica degli anni
trenta, sia negli stati democratici sia nei regimi totalitari. Negli
Stati Uniti, poi, sin dalle origini, la comunicazione radiofonica è
divenuta un'impresa commerciale che si sosteneva mediante la
pubblicità, dando così un ulteriore sviluppo all'industria
dell'informazione e dello spettacolo.
Negli anni trenta infine, mentre il cinema diveniva prima sonoro
e poi a colori, iniziarono i primi esperimenti di trasmissione a
distanza di immagini in movimenti mediante onde elettromagnetiche.
Nel novembre del 1936 la BBC inaugurò a Londra il primo servizio di
trasmissioni televisive. Nel giro di trenta anni la televisione si
è diffusa in tutto il mondo, divenendo il mezzo di comunicazione di
massa più efficace e pervasivo che l'umanità ha fino ad ora
sviluppato, e soprattutto contribuendo ad una radicale
trasformazione del abitudini di vita e delle relazioni sociali in
tutti i paesi dell'occidente, e non solo.
Come
abbiamo detto sopra, uno dei più celebri slogan di Marshall McLuhan
è stata l'asserzione "Il medium è il messaggio". Lo
studioso canadese, con il suo stile provocatorio ed aforistico,
intendeva mettere in evidenza come ogni medium influisca sul
pensiero, sulla cultura e sulla società anche in virtù
delle sue intrinseche caratteristiche, e non esclusivamente dei
messaggi che esso veicola. Ma, sappiamo, McLuhan non avrebbe
concesso sostegno all'idea che l'evoluzione tecnologica in sé e per
sé sia il motore dello sviluppo storico e sociale. Tuttavia,
forzando l'asserzione di McLuhan oltre le sue stesse intenzioni,
molti altri studiosi dei fenomeni comunicativi hanno accolto questa
interpretazione radicale nelle loro teorie della comunicazione e dei
media. La tesi, secondo cui lo sviluppo della tecnologia è la causa
dello sviluppo storico e sociale, viene definita determinismo
tecnologico.
Il determinismo tecnologico ha avuto una notevole fortuna nella
cultura contemporanea, e non solo nelle discipline che studiano le
comunicazioni. In campo economico molti sostengono che il motore
dello sviluppo sia da ricercarsi nell'innovazione tecnologica, e una
simile impostazione si ritrova in molti studi storici ed
antropologici. D'altra parte, anche la sinossi storica che vi
abbiamo proposto nel paragrafo precedente concede molto, nel tono e
nel linguaggio, al determinismo tecnologico (anche se abbiamo
cercato di evitare quanto possibile l'esplicita adozione di termini
come "causa" o "determina direttamente"). Il
determinismo tecnologico, in particolare, ha riscosso grande
successo in gran parte della pubblicistica e delle teorie
apologetiche dedicate alle nuove tecnologie digitali ed ai nuovi
media: in molti autori, infatti, traspare una sorta di fiducia cieca
nella virtù palingenetica della rivoluzione digitale.
Ma è veramente sostenibile che la causa dello sviluppo storico
sia riconducibile esclusivamente all'evoluzione tecnologica? Senza
dubbio molte delle teorie che hanno posto in evidenza i legami tra
l'introduzione di una nuova tecnologia e il verificarsi di
trasformazioni sociali e culturali individuano dei nessi reali,
specialmente laddove siano documentate con adeguata esaustività.
Tuttavia è innegabile, ed è stato dimostrato con altrettanta
chiarezza e completezza, che sono altrettanti i casi in cui
importanti invenzioni e innovazioni tecnologiche non sono state
accolte o sono state accolte solo dopo molto tempo o in luoghi
affatto diversi e distanti da quelli in cui furono concepite per la
prima volta. Procedure di stampa, ad esempio, furono inventate dai
cinesi ben prima che da Gutenberg (che da parte sua introdusse la
importante novità dei caratteri mobili). Ma solo nell'Europa
prerinascimentale, alla vigilia delle Riforma luterana la stampa
ebbe la possibilità di diffondersi e dunque di esercitare la sua
profonda influenza. Lo stesso si potrebbe dire per molte delle
importanti invenzioni che furono alla base della prima rivoluzione
industriale, e così via fino ad arrivare ai giorni nostri. Una
innovazione tecnologica, dunque, riesce a dispiegare il suo
potenziale di trasformazione solo se il contesto socio-culturale è
in grado di accoglierla.
D'altro canto non va dimenticato che le innovazioni tecnologiche
non nascono dal nulla, ma sono spesso il frutto di ricerche
individuali e collettive il cui indirizzo è fortemente influenzato
dal contesto sociale e culturale, e il cui finanziamento è di norma
il risultato di precise scelte economiche e politiche. Ci accorgiamo
dunque che i processi di trasformazione sociale sono dei fenomeni sistemici,
in cui agiscono numerosi fattori di cambiamento che vanno dalla
tecnologia, all'economia, alla politica, alle ideologie, alle
credenze, ai miti, ai movimenti culturali. Tali fattori si
influenzano reciprocamente e sono a loro volta in relazione con il
sistema nel suo complesso. In alcuni casi uno dei fattori di
trasformazione può assumere un ruolo guida, ed assurgere al ruolo
di dominante culturale ed ideologico.
Oggi ci troviamo, appunto, nel pieno di un processo di
trasformazione in cui le tecnologie digitali oltre ad essere uno dei
fattori di trasformazione principali, sono divenute anche la
dominate culturale. Per questo possiamo parlare di rivoluzione
digitale (e lo faremo nelle prossime dispense) senza perciò
cadere nel rischio di un meccanicistico determinismo tecnologico.
- Provate ad analizzare alcuni processi comunicativi (una
lezione in aula, una trasmissione televisiva, la fruizione di
un'opera letteraria) individuando di volta in volta i vari
fattori della comunicazione in essi implicati, e tracciatene dei
modelli seguendo gli schemi di Shannon e Weaver e di Jakobson.
- Immaginate di dover costruire un apparato che controlli il
livello dell'acqua in un bacino artificiale e che, al
verificarsi di situazioni di pericolo, sia in grado di avviare
misure di sicurezza (ad esempio nel caso di un lieve eccesso del
livello potrebbe aprire le chiuse, in caso di piena potrebbe
avviare un sistema di allarme tra la popolazione, etc.). Provate
a progettare vari codici comunicativi che potrebbero far
funzionare questo sistema.
- Riflettendo sulla definizione di codice che abbiamo dato nel
testo, provate ad individuare in che cosa differiscono una
lingua naturale da un quadro.
- Provate a stilare un elenco dei codici e dei linguaggi di cui
avete conoscenza.
- Provate a suddividere i vari media comunicativi che conoscete
nei due insiemi di media "monocodice" e media "pluricodice".
Per questi ultimi, poi, provate ad individuare ciascuno dei
singoli codici che veicolano, ed eventualmente ad individuare
quale di essi abbia una funzione dominante.
- Dopo avere registrato diversi servizi giornalistici
televisivi, cercate di individuare in che modo il codice verbale
interagisce con le immagini: a chi viene affidato il messaggio
principale? Le immagini sono immagini attinenti al tema del
servizio, o sono semplici illustrazioni? Vi sembra che il modo
in cui il messaggio è articolato sia neutrale, o piuttosto
riuscite ad individuare un significato secondario nascosto, una
valutazione soggettiva che il sevizio cerca di trasmettere?
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