Lezione n. 07
Verso la convergenza
di Gino Roncaglia
Argomenti associati:
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approfondimento |
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Informazione 'on demand' |
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La nascita degli ipertesti elettronici:
da Vannevar Bush a Ted Nelson |
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Lessia |
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La televisione via satellite:
dall'analogico al digitale |
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Ipertesti e argomentazione |
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Argomenti trattati nella lezione 07:
Come avviene probabilmente per ogni rivoluzione, culturale e no,
la rivoluzione digitale è fatta anche di slogan, di parole
d'ordine, di sigle e di termini nuovi, apparentemente soggetti a un
destino comune: inizialmente comprensibili solo a un nucleo
ristretto di iniziati, col tempo - e con il progressivo affermarsi
dei nuovi paradigmi culturali collegati all'uso delle tecnologie
informatiche - il loro uso si diffonde. Ma, parallelamente, il
loro significato sembra svuotarsi. Termini come multimedialità,
interattività, ipertestualità sono ormai sulla bocca
di tutti, ingredienti essenziali di ogni pubblicità di prodotti
collegati al mondo scintillante delle nuove tecnologie. Ma questo
non significa affatto che sia chiaro cosa questi termini
significhino; anzi, spesso il loro uso indiscriminato confonde le
idee, e tende a sostituire a quello che dovrebbe (e potrebbe) essere
un significato concettualmente chiaro, una connotazione vaga e
indistinta.
Eppure dietro queste espressioni usate così disinvoltamente si
nascondono mutamenti non solo tecnologici ma sociali di grande
portata. Mutamenti che è necessario conoscere, se vogliamo che
l'evoluzione in corso nel mondo dei media non ci passi sulla testa,
ma ci possa al contrario vedere protagonisti attivi e consapevoli.
In questa dispensa cercheremo quindi di discutere e di
comprendere almeno alcuni dei termini 'chiave' della rivoluzione
digitale. Un compito, come vedremo, tutt'altro che facile, ma nel
quale potremo far tesoro di molte fra le competenze acquisite nelle
lezioni precedenti.
Questo viaggio ci porterà a sottolineare l'importanza di un
concetto che abbiamo già incontrato più volte: quello di convergenza
al digitale. Si tratta di una espressione forse meno 'popolare'
di altre, ma che ha, all'interno della galassia terminologica e
concettuale associata al mondo dei nuovi media, un ruolo di
particolare rilievo. Per capirlo cercheremo, nell'ultima parte della
dispensa, di gettare uno sguardo sul futuro di alcuni fra i media
più diffusi: testo a stampa, televisione, computer e reti
telematiche. Media che proprio grazie alla convergenza al digitale
si avviano verso una integrazione le cui esatte
caratteristiche - e la cui portata - sono per ora prevedibili
solo in parte.
Nella
sesta
dispensa abbiamo già notato come una caratteristica
fondamentale della rete sia quella di superare gli schemi classici
di trasmissione verticale dell'informazione, a favore di un modello
comunicativo nel quale il ruolo dei singoli partecipanti è molto
più attivo - un modello che abbiamo caratterizzato coi termini di
comunicazione circolare o reticolare.
Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratti, e quali siano i
tratti caratteristici dell'uso delle reti con funzione comunicativa.
Per farlo, torniamo ad esaminare un po' più da vicino le
caratteristiche comunicative di media diversi.
Un primo caso da considerare è rappresentato dalla comunicazione
diretta fra due persone. Supponiamo ad esempio che essa avvenga, a
distanza, attraverso l'uso del telefono. In una telefonata, le
persone che dialogano assumono, a turno, la funzione di ascoltatore
e di emittente; possono cioè sia ascoltare sia parlare. Tuttavia,
ad essere coinvolte in ogni singolo processo comunicativo, in ogni
singola telefonata, sono in genere solo due persone. Se aumentassimo
di molto il numero dei partecipanti, diventerebbe assai difficile
garantire a ciascuno la possibilità di intervenire attivamente
nella conversazione. La comunicazione telefonica è di norma da
uno ad uno. I partecipanti allo scambio informativo sono
entrambi attivi (magari, alcuni sono più attivi di altri: avrete
certo anche voi amici che, quando cominciano a parlare, non la
finiscono più, e la cui torrenziale vena comunicativa tende a
trasformare l'interlocutore in un ascoltatore quasi passivo, e
comunque disperato.) e sono, almeno dal punto di vista astratto,
in condizioni di parità; anche per questo, come abbiamo visto, si
parla spesso a questo proposito di comunicazione orizzontale.
Giornali, radio, cinema, televisione, permettono una
comunicazione di tipo molto diverso, una comunicazione alla quale
partecipano contemporaneamente molte più persone. Quasi tutte,
però, vi partecipano da lettori, ascoltatori o spettatori, insomma
da destinatari e non da emittenti del messaggio. E' molto facile
ricevere, è molto più difficile trovarsi dietro la penna,
il microfono o la macchina da presa, e parlare. La comunicazione è
di norma da uno a molti, o quantomeno da pochi a molti,
e l'asimmetria di ruoli fra emittente e destinatario suggerisce
l'idea di una comunicazione verticale.
Anche per questo, la maggior parte dei partecipanti a questo tipo
di scambio informativo tende ad assumere un ruolo almeno in parte
passivo. Certo, possiamo scegliere quale giornale leggere, quale
radio ascoltare, quale film o programma televisivo vedere. Ma la
scelta resta comunque limitata, nonostante la moltiplicazione delle
'voci' resa possibile innanzitutto dalla libertà di stampa e dalla
creazione di un vero e proprio mercato culturale (avete mai
riflettuto sul fatto che la libertà di stampa e di espressione
significa non solo la libertà di esprimere liberamente le proprie
idee, ma anche la libertà di leggere o di ascoltare quello che più
ci interessa?), e in seguito dalla differenziazione dei media, dalla
nascita delle radio e televisioni private, e - più recentemente -
dallo sviluppo della televisione satellitare. Nonostante questi
sviluppi, dunque, il ruolo del lettore o del telespettatore resta
fortemente asimmetrico rispetto a quello dell'emittente, cioè di
chi produce e diffonde l'informazione.
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Figura 1 - Nonostante la
moltiplicazione dei canali, la televisione è finora rimasta
un medium basato sulla comunicazione verticale, da pochi a
molti |
Naturalmente, queste considerazioni non devono farci dimenticare
le forti differenze che esistono fra i diversi media rispetto a
questa caratteristica di 'verticalità' della comunicazione.
Paradossalmente, il medium più antico, il libro, è da questo punto
di vista quello che offre all'utente le maggiori possibilità di
selezione e di scelta: nessuna televisione e nessuna radio potranno
mai offrire - almeno attraverso le tecnologie tradizionali - la
stessa ampiezza di scelta fra offerte informative diverse (su
diversi argomenti) di quella offerta da una qualunque biblioteca
pubblica.
In parte, questo dipende da una differenza fondamentale esistente
fra le trasmissioni radiotelevisive e le pubblicazioni
a stampa - una differenza certo ovvia, ma che è bene tener sempre
presente: una volta pubblicato, un libro, un giornale, ma anche un
disco o una videocassetta sono qualcosa che rimane, un oggetto
fisico (in genere disponibile in più copie) che può essere
utilizzato più volte e può essere raccolto in biblioteche e
videoteche. Si tratta, insomma, di tipici prodotti informativi a
utilità ripetuta, e questo consente, col tempo, un 'accumulo di
voci' tra le quali l'utente ha una vasta libertà di scelta. La
trasmissione radiofonica o televisiva è invece normalmente un
evento informativo 'di flusso', che nasce e muore in uno spazio di
tempo prefissato: i tempi della sua fruizione non dipendono dalle
scelte del destinatario ma da quelle dell'emittente, e l'asimmetria
fra i due ruoli ne risulta ulteriormente accresciuta.
Le nuove tecnologie della comunicazione stanno tuttavia
modificando, in maniera assai profonda, questo quadro tradizionale.
Già la disponibilità di strumenti e supporti per la registrazione
radiofonica e televisiva permette in qualche misura anche al singolo
utente di trasformare una 'trasmissione' in una 'pubblicazione'. Ma
la vera, decisiva spallata a questa asimmetria viene dalla
rivoluzione digitale: nel momento in cui i bit diventano il
linguaggio usato sia per la trasmissione che per la pubblicazione di
informazione, e nel momento in cui le reti diventano il canale
privilegiato sul quale far circolare i bit, la differenza fra le due
tipologie tende a scomparire. Concetti quali quelli di video e audio
on demand (vedi
scheda), che configurano una sorta di 'trasmissione mirata' i
cui tempi e contenuti sono scelti dal destinatario e non più
dall'emittente, scardinano la differenza tradizionale fra
trasmissione e pubblicazione, e le tecnologie digitali rappresentano
l'unica strada praticabile per una diffusione su larga scala di
video e audio on demand.
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Figura 2 - Informazione on-demand:
la distinzione fra trasmissione e pubblicazione tende a
scomparire |
Su tutto questo torneremo ampiamente in seguito. Per ora, il
nostro scopo era solo quello di sottolineare come, pur tenendo
presente le notevoli differenze esistenti fra i vari strumenti di
comunicazione di massa, l'asimmetria esistente fra emittente e
destinatario e la situazione che potremmo in qualche misura
caratterizzare come di 'maggior potere' da parte dei pochi emittenti
rispetto ai molti destinatari rimanessero comunque - almeno fino
all'avvento delle tecnologie digitali - dati di fatto difficilmente
modificabili.
Rispetto ai modelli finora considerati di comunicazione
orizzontale da uno ad uno, e di comunicazione verticale da uno a
molti o da pochi a molti, le reti telematiche permettono qualcosa di
completamente nuovo. In questo caso abbiamo a che fare con un
modello comunicativo in cui ciascuno può, per così dire,
realizzare il suo programma, scrivere e stampare il suo giornale:
una comunicazione non più orizzontale o verticale ma appunto -
come abbiamo già visto nella sesta
dispensa - reticolare, da molti a molti.
Cosa vuol dire tutto questo? Che in rete è estremamente facile
passare dal ruolo spesso passivo di 'destinatario' del messaggio, di
'ascoltatore', al ruolo attivo di chi crea e diffonde un messaggio,
al ruolo cioè di emittente.
Naturalmente la comunicazione da molti a molti non è una novità
assoluta; in una certa misura, per fare solo qualche esempio, la
radio si è già prestata ad esperimenti del genere: pensate al
periodo di maggior fortuna delle radio libere, o alle trasmissioni
'a microfono aperto' alle quali possono partecipare anche gli
ascoltatori. E la comunicazione politica ha spesso sperimentato
modelli di diffusione circolare dei messaggi: pensate alle
assemblee, o a strumenti come i tazebao, i manifesti manoscritti che
hanno caratterizzato alcuni periodi della contestazione giovanile, e
che chiunque poteva scrivere ed affiggere. E' facile capire,
tuttavia, che la scala di questi esperimenti, e il tipo di
circolarità che essi permettevano, non sono paragonabili a ciò che
è possibile fare, su scala globale, attraverso le reti telematiche.
Quanto abbiamo detto finora suggerirà probabilmente a molti dei
nostri lettori l'idea che le reti telematiche, proprio per il fatto
di dare a tutti i partecipanti la possibilità di diventare
emittenti attivi di informazione in un processo comunicativo su
scala globale, siano in qualche misura 'intrinsecamente
democratiche'. Se questa considerazione non è priva di un qualche
fondamento, bisogna tuttavia guardarsi dal pensare che il modello
comunicativo di rete costituisca una sorta di panacea universale,
capace di garantire automaticamente la partecipazione di tutti 'ad
armi pari' all'interno del processo comunicativo.
Le cose, purtroppo, non stanno così: innanzitutto perché
sappiamo che Internet e le reti telematiche sono - e presumibilmente
resteranno ancora per parecchi anni - un fenomeno per molti versi
elitario, la cui diffusione generalizzata è prevedibile a breve
scadenza solo all'interno del mondo industrializzato, e anche qui
limitatamente alle classi economiche e sociali più favorite, e alle
fasce più giovani della popolazione. Si tratta di un tema sul quale
torneremo, ampiamente, nella nona
dispensa.
Poi perché, proprio come accade nel mondo reale, la rete tende a
costruire gerarchie di visibilità, di prestigio, e in definitiva di
potere. Tutti possono scrivere, ma non tutti hanno gli strumenti per
scrivere in maniera egualmente efficace e visibile. Questi strumenti
sono tecnologici (occorre evidentemente disporre di un computer
collegato alla rete e in grado di svolgere i 'compiti comunicativi'
che intendiamo affidargli) ma sono anche, e forse soprattutto,
culturali ed economici. Pensate ad esempio alla importanza di una
buona conoscenza dell'inglese, che è un po' la 'lingua franca'
della rete, o alla necessità di disporre dell'alfabetizzazione
telematica di base necessaria a usare in maniera efficace gli
strumenti informatici: per poter diventare realmente, e non solo
potenzialmente, emittenti di informazione, occorre infatti saper
preparare un documento per l'immissione in rete, e disporre di un
server che lo ospiti. E tenete anche presente che, se è vero che
inserire informazione in rete non è di per sé eccessivamente
costoso, farlo in modo 'professionale' lo è: servono grafici e
impaginatori abili, e occorre saper pubblicizzare adeguatamente il
proprio sito.
Insomma, l'idea che su Internet tutte le voci siano uguali è un
po' un mito - e proprio per questo occorre adoperarsi perché le
differenze e le difficoltà di accesso che già esistono possano
diminuire, anziché crescere, col passare del tempo. Un compito, va
detto, tutt'altro che facile.
Come
abbiamo visto nella sesta
dispensa, il XX secolo è stato caratterizzato dalla
moltiplicazione dei media: radio, cinema, dischi e audiocassette,
televisione, reti telematiche si sono affiancati alla tradizionale
carta stampata, dando vita a un mercato culturale e informativo
sempre più vasto e differenziato. Lo stesso concetto, spesso
richiamato, di nuovi media sembra condannato da questo
impetuoso sviluppo a un cambiamento continuo di significato: solo
vent'anni fa la televisione era il nuovo medium per eccellenza,
mentre oggi ci sembra già uno strumento comunicativo tradizionale,
e la palma della novità sembra appannaggio dei media digitali.
La crescita e la differenziazione dei media, lo
abbiamo già ricordato, non hanno a che fare solo con
l'evoluzione tecnologica. Vi sono, accanto ad essa, rilevanti
aspetti culturali e sociali che vanno considerati. Così, ad
esempio, ogni medium tende a sviluppare proprie convenzioni
comunicative, 'stili' espressivi diversi, linguaggi specifici.
Cinema e televisione hanno entrambi a che fare con immagini in
movimento accompagnate da audio, ma sappiamo bene che il 'linguaggio
televisivo' si è differenziato col tempo dal 'linguaggio
cinematografico', e che entrambi hanno conosciuto uno sviluppo
continuo influenzato certo dall'evoluzione tecnologica, ma anche -
e forse soprattutto - dai cambiamenti del contesto sociale e
culturale. Lo studio di quest'evoluzione e delle sue
caratteristiche, lo studio della semiotica dei diversi media,
costituisce un campo affascinante e complesso, che ha conosciuto
anch'esso, negli ultimi decenni, uno sviluppo impetuoso.
Eppure, chi ritenesse la fine del secondo millennio e l'inizio
del terzo come caratterizzati proprio da questo processo di
moltiplicazione dei media, un processo in cui lo sviluppo dei media
digitali costituirebbe solo l'ultimo episodio, commetterebbe forse
un grave errore. I media digitali, infatti, non sembrano solo
volersi affiancare, ultimi arrivati, alla già lunga schiera dei
media tradizionali. Al contrario, i media digitali - con un
processo vagamente simile a quello che usano i baccelli
extraterrestri del film L'invasione degli ultracorpi assumendo,
con perfetta tecnica mimetica, le sembianze umane - sembrano
volersi sostituire ai media tradizionali, assorbendoli e
confondendone individualità e caratteristiche. Se davvero è questo
il processo in corso, il nuovo millennio potrebbe aprirsi
all'insegna non già della moltiplicazione dei media ma della loro
drastica riduzione: secondo un paradigma ben noto, l'ultimo nato
divora fratelli e genitori, imponendo la propria autorità assoluta.
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Figura 3 - L'invasione degli
ultracorpi. I media digitali si stanno sostituendo a quelli
tradizionali in modo analogo a quello usato dai baccelli
extraterrestri del film per sostituirsi agli esseri umani? |
Le cose stanno davvero così? Per capirlo, iniziamo a
interrogarci sul significato del termine 'multimedialità'.
Apparentemente, 'multimedialità' sembra un termine autoesplicativo:
una comunicazione sarà multi-mediale quando coinvolge molti (e
diversi) media.
Eppure, a ben guardare, le cose non sono così semplici. Quando
si pensa a un prodotto multimediale, il primo a venire in mente è
probabilmente un CD-ROM. Negli ultimi anni, il CD-ROM è stato il
prodotto multimediale per eccellenza, anche se i suoi limiti di
capienza e la 'concorrenza' delle reti telematiche rischiano di
trasformarlo ben presto in un ricordo obsoleto. Ma non
preoccupiamoci ora del suo futuro; chiediamoci piuttosto: perché
mai un CD-ROM dovrebbe essere considerato multi-mediale? Dal punto
di vista fisico, il medium è uno solo, il familiare dischetto
traslucido. E questo dischetto contiene, come
sappiamo un unico tipo di 'scrittura', le lunghe catene di 0 e 1
che corrispondono a informazione digitalizzata. E' allora un errore,
considerare multimediale un CD-ROM? In un certo senso, possiamo
rispondere senz'altro di sì: si tratta indubbiamente di un medium
nuovo, ma si tratta appunto di un medium, non di molti-media.
Estendendo il discorso, è il concetto stesso di software
multimediale a sembrare intrinsecamente contraddittorio. Sappiamo
che qualunque software, qualunque programma, è costituito
unicamente da 0 e 1, da bit, e che questa informazione digitalizzata
trova ospitalità su un supporto che può essere di volta in volta
diverso (un floppy, un disco rigido, un CD-ROM, un DVD.) ma che è
comunque in ogni situazione data un supporto, un medium.
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Figura 4 - In che senso possiamo
dire che un CD-ROM è multimediale? |
Si obietterà che il punto non è questo, che nel parlare di
multimedialità ci si riferisce piuttosto all'intreccio fra diversi
codici espressivi (scritto, sonoro, immagini, video.),
utilizzati in maniera integrata per realizzare un unico 'oggetto
comunicativo' (ricordate il concetto di medium 'pluricodice'
introdotto nell'ultima
dispensa?). In questo caso l'accento è evidentemente posto non
già sul supporto fisico o sul linguaggio di codifica utilizzato -
non è insomma posto sul medium fisico - ma sul tipo di
informazione che viene convogliata. Se torniamo al nostro CD-ROM,
constatiamo che esso può effettivamente integrare informazioni di
tipo diverso, tradizionalmente collegate a media diversi: testo,
suono, immagini, spezzoni video. La maggior parte delle definizioni,
in genere implicite, di multimedialità, utilizzano evidentemente
questo criterio per definire 'multimediale' un CD-ROM.
Potremmo pensare di aver risolto il problema: il termine
'multimediale' risulterà forse lievemente impreciso (sarebbe forse
più opportuno parlare di multicodicalità), ma l'idea di base
sembra chiara. Eppure, anche adottando questa strategia, non tutto
torna: non corriamo il rischio di dover definire 'multimediale'
anche una rivista illustrata, che unisce e integra testo e immagini,
o addirittura un manoscritto medievale, spesso adorno di splendide
miniature?
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Figura 5 - I manoscritti medievali
erano già 'multimediali'? |
Insomma, apparentemente abbiamo a nostra disposizione due diverse
definizioni di multimedialità. Una 'centrifuga', che - più
vicina all'etimologia del termine - considera multimediale un
progetto comunicativo che coinvolga e integri media diversi. In
questo senso, sarà multimediale ad esempio un corso d'inglese
composto da videocassette (o audiocassette) e dispense, e a maggior
ragione sarà multimediale il corso che avete in mano, dato che esso
coinvolge, accanto alle videocassette e alle dispense, anche un
CD-ROM, un sito Internet e una serie di trasmissioni televisive.
Accanto a questa multimedialità 'centrifuga' avremo poi una
multimedialità 'centripeta', o multicodicalità, che non ha nulla a
che fare con la moltiplicazione di media fisici, ma si basa
piuttosto sull'integrazione di codici comunicativi ed espressivi
diversi. Il termine 'multimediale' sembra in questo caso usato con
la funzione, forse rassicurante, di rimando a un passato in cui tipi
di informazione (testo, suono, video.) richiedevano effettivamente
diversi supporti, diversi media: con l'avvento del digitale,
tuttavia, questa necessità è venuta meno, e l'integrazione dei
codici può avvenire su un unico medium.
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Figura 6 - Multimedialità 'centrifuga':
un unico progetto comunicativo articolato su più media |
Naturalmente, entrambi questi significati di multimedialità
possono essere usati legittimamente, purché ci si metta d'accordo
su quale sia quello al quale di volta in volta ci si riferisce. Il
guaio è però che l'uso abituale del termine sembra prescindere del
tutto da questa distinzione, mescolando i due significati e
estraendo da questo miscuglio tutto quello che sembra 'nuovo' e
tecnologicamente avanzato. Sarà così multimediale un CD-ROM, ma
non un libro illustrato, un corso con dispense e videocassette, ma
non un disco di vinile con i testi delle canzoni stampati sulla
copertina.
E' chiaro che questa situazione non può che portare a confusioni
anche notevoli, trasformando un termine che potrebbe avere un suo
significato preciso in uno slogan pubblicitario buono un po' per
tutto. E' altrettanto chiaro, tuttavia, che con quest'uso vago,
ormai invalso, del termine multimedialità bisogna fare i conti. La
cosa migliore è allora forse avere sempre ben presenti le diverse
accezioni del termine, cercando di volta in volta di individuare,
davanti a una pubblicità o davanti a un articolo o un saggio
dedicato a questo o quell'aspetto del mondo dei nuovi media, a quale
tipo di 'multimedialità' ci si riferisca effettivamente. Insomma,
la prossima volta che qualcuno vi magnificherà le caratteristiche
di questo o quel prodotto 'multimediale', provate a chiedergli - e a
chiedervi - cosa significhi per lui 'multimediale', e se questa 'multimedialità'
comporti davvero un arricchimento nel contenuto comunicativo, nella
ricchezza, nella fruibilità del messaggio. Di per sé, infatti,
qualunque sia il significato che si attribuisce al termine, la
categoria di 'prodotto multimediale' non garantisce affatto di avere
a che fare con un progetto comunicativo efficace o particolarmente
innovativo.
Un
altro termine molto usato (e abusato) nelle discussioni sui nuovi
media è quello di interattività. Cosa intendiamo dire, quando
qualifichiamo un programma, uno strumento informatico, un sito
Internet come 'interattivo'?
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Figura 7 - Interattività come
valore aggiunto: il logo di uno dei più famosi siti
Internet, quello della CNN |
A guardar bene, i problemi non sono minori di quelli che abbiamo
incontrato a proposito della multimedialità. Tutta la nostra
esperienza nasce infatti dall'interazione con la realtà; da questo
punto di vista, qualunque oggetto e qualunque fenomeno è per noi 'interattivo'.
Questo vale, a maggior ragione, per gli atti di comunicazione, anche
quando essi si concretizzano in un 'oggetto comunicativo'
dall'apparenza fissa e immutabile. Solo chi non è abituato a
leggere può pensare che un buon libro non sia in qualche senso 'interattivo';
gli studi nel campo della semiotica e della critica letteraria ci
hanno spiegato da tempo che in realtà qualunque testo è
interattivo: il libro modifica il lettore, e, in un senso tutt'altro
che banale, il lettore modifica e addirittura crea il libro che sta
leggendo (torneremo su questo tema nella prossima
dispensa).
Quando parliamo di interattività in campo informatico intendiamo
probabilmente riferirci a qualcosa di diverso. Ma a cosa,
esattamente? Proviamo a rileggere insieme la definizione che abbiamo
proposto nella videocassetta (vedi
filmato) che accompagna questa lezione:
Un oggetto informativo (ad esempio un programma) si dice interattivo
se può partecipare a un processo di comunicazione modificando in
maniera esplicita l'informazione emessa, in corrispondenza delle
scelte degli altri partecipanti a tale processo.
L'idea alla base di questa definizione è quella di un processo
comunicativo dinamico, che avviene utilizzando anche strumenti in
grado di modificare l'informazione trasmessa (e ricevuta), e di
operare queste modificazioni in risposta a scelte compiute dai
partecipanti al processo comunicativo stesso. Un esempio pratico
renderà forse più chiaro questo concetto: per poter guardare la
televisione, l'apparecchio televisivo costituisce uno strumento
indispensabile. Di per sé, però, il televisore è uno strumento
relativamente passivo: riceve segnali e li trasforma in informazione
sonora e visiva, ma non è in grado di modificare, in base alle
nostre scelte, l'informazione che ci viene proposta. E' vero
tuttavia che il televisore ci permette di ricevere diversi canali
televisivi, e che la scelta di quale canale guardare è lasciata a
noi: da questo punto di vista, anche il televisore offre una
limitata interattività. E' chiaro però che se anziché scegliere
fra trenta o quaranta canali potessimo scegliere, ad esempio, quale
film vedere consultando un catalogo di diverse migliaia di film e
ricevendo sotto forma di video on demand (si veda al
proposito la scheda sull'informazione
on demand) solo il titolo prescelto, l'interazione
sarebbe maggiore. Se poi questo film si interrompesse ogni tanto,
permettendoci di scegliere fra diversi sviluppi possibili della
narrazione, e proponendoci di volta in volta uno sviluppo
corrispondente alla nostra scelta, l'interazione sarebbe ancora più
sviluppata.
Al cuore del concetto di interattività è dunque l'idea di un
utente che, anziché ricevere informazione in maniera relativamente
passiva, è in grado di compiere scelte che influenzano tipologia e
contenuto dell'informazione da lui ricevuta: l'utente dispone
insomma di un canale di feedback, di reazione (un concetto che
abbiamo discusso nella sesta
dispensa), e questo canale viene utilizzato per indurre il
sistema ad 'adattare' l'informazione emessa alle necessità e alle
richieste del destinatario.
La maggior parte dei programmi informatici, la maggior parte del
software, è di necessità interattiva. Se usiamo un programma di
videoscrittura, ad esempio, vogliamo poter scegliere il tipo di
carattere usato per scrivere, e vogliamo poter inserire grassetti,
corsivi e sottolineature; se stiamo giocando con un videogioco,
vogliamo che il computer modifichi l'informazione che ci viene
trasmessa (ad esempio la schermata con la posizione e le condizioni
fisiche del nostro personaggio) in base alle scelte che facciamo
muovendo il joystick, e così via. Si noti, di passaggio, che il
concetto di interattività ha molto a che fare con un altro concetto
che abbiamo già incontrato (per l'esattezza, nel corso della quinta
lezione): il concetto di interfaccia. Perché l'utente possa
interagire, ad esempio, con un programma, occorre che il programma
disponga di una interfaccia che permetta all'utente stesso di
'comunicare' le proprie scelte e le proprie preferenze, e -
possibilmente - di farlo in modo semplice e intuitivo.
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Figura 8 - I videogiochi
costituiscono uno degli esempi paradigmatici di
interattività |
Come molte altre definizioni proposte, anche la definizione di
interattività non è priva di problemi e difficoltà. Ma un aspetto
ci interessa sottolineare: qualunque sia la definizione di
interattività che si sceglie, essa si rivelerà probabilmente molto
generale. Sbaglieremmo a pensare che, come sembrano suggerire a
volte le pubblicità di programmi e giochi, l'interattività
implichi automaticamente una sorta di 'intelligenza della macchina'.
Il fatto che un programma di videoscrittura sappia, a comando,
sottolineare una certa frase ne dimostra le capacità interattive ma
non lo rende per questo intelligente. E dire che un programma è
interattivo è in molti casi quasi una tautologia. Il problema non
è l'interattività in sé, ma il fatto che l'interazione sia
funzionale, intelligente, flessibile. Ed è molto più difficile
soddisfare questi requisiti, che quello della pura 'interattività'.
Un
tipo di interattività particolarmente interessante è quella resa
possibile da un oggetto informativo di grande rilievo, l'ipertesto.
Ma cos'è, esattamente, un ipertesto? Il termine ha una sua storia,
che abbiamo cercato di riassumere in una
delle nostre schede.
Nella videocassetta (vedi filmato),
potete ascoltare le definizioni di ipertesto proposte da George
Landow, della Brown University, e David Kolb, del Bates College, due
fra i massimi specialisti mondiali in materia. Se cerchiamo di
riassumerle, ci accorgiamo che il concetto generale di ipertesto
sembra essere piuttosto semplice: un ipertesto consiste di una serie
di blocchi testuali (chiamati spesso lessie - vedi
scheda) e di una serie di collegamenti e rimandi (link)
istituiti fra tali blocchi, fra porzioni di tali blocchi, o
all'interno di un singolo blocco. Quando almeno alcuni dei nodi
corrispondono, anziché a blocchi di testo scritto, a informazioni
di altra natura (immagini, suoni, filmati...), anziché di ipertesto
si parla in genere di ipermedia. Va ricordato tuttavia
che molti autori, partendo da un concetto di testualità che non si
esaurisce nella scrittura, preferiscono parlare comunque di
ipertesto anche quando l'informazione alla quale si fa riferimento
non è solo informazione scritta.
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Figura 9 - Schema di un ipertesto
multimediale |
Se la definizione di ipertesto sembra abbastanza immediata, le
sue implicazioni e le sue conseguenze lo sono assai meno. Cosa c'è
di più (o di diverso) in un ipertesto rispetto a un testo normale?
E perché l'ipertesto sembra così strettamente legato al mondo
dell'informatica e delle reti? Si tratta davvero di un tipo di
scrittura completamente nuovo?
Per rispondere a questi interrogativi, proviamo a partire dal
familiare testo lineare. Pensiamo, ad esempio, a un libro giallo. Il
libro giallo possiede nel modo forse più evidente alcune
caratteristiche che siamo abituati ad associare a molta parte della
letteratura 'tradizionale'. I gialli, infatti, come la maggior parte
delle opere narrative, raccontano una storia, una storia che ha un
inizio, uno svolgimento e una fine ben determinati. La struttura
narrativa di un libro giallo e' normalmente lineare, o almeno, la
nostra lettura di un libro giallo è normalmente lineare. Cominciamo
il libro dall'inizio, e alla fine in genere scopriamo il colpevole.
Certo, potremmo leggere il giallo cominciando dalla fine, andando
subito a guardare chi è il colpevole. Tuttavia, non sono queste le
regole del gioco: cominciare un giallo dalla fine anziché
dall'inizio rientra nella libertà del lettore, ma non corrisponde
al naturale movimento di lettura immaginato dall'autore, non
corrisponde al comportamento del lettore implicito per il
quale l'autore ha scritto il suo libro. Potremmo dire che equivale
un po' a barare.
|
Figura 10 - La letteratura 'gialla'
costituisce in genere un eccellente esempio di scrittura
lineare |
Proprio come i gialli, la maggior parte della letteratura alla
quale siamo abituati suggerisce a noi lettori un percorso di lettura
fisso e lineare, predeterminato dall'autore (attenzione: questo
ordine di lettura non corrisponde necessariamente all'ordine nel
quale l'autore immagina si svolgano i fatti che vuole descrivere. Si
tratta di un punto sul quale ci soffermeremo nella prossima
dispensa). C'è una specie di patto, fra autore e lettore:
entrambi conoscono le regole del gioco, e l'autore si aspetta che il
lettore segua l'ordine 'normale', che legga il libro dall'inizio
alla fine.
Anche se la maggior parte della letteratura ha queste
caratteristiche di linearità, non ogni testo scritto viene
utilizzato dal lettore in maniera lineare. Un esempio tipico di
testo nato per una lettura non lineare è un vocabolario, o
un'enciclopedia.
In questi casi il lettore consulta di volta in volta la voce che
lo interessa, e poi si ritrae, un po' come un polipo che tocca
qualcosa con un tentacolo. In una famosa poesia dell'Antologia di
Spoon River un personaggio (il matto del villaggio) cerca di
imparare a memoria, una definizione dopo l'altra, un'intera
enciclopedia; ma è appunto il matto, la persona che non usa
l'enciclopedia come dovrebbe essere usata. Proprio come un romanzo
giallo è nato per essere letto dall'inizio alla fine, in maniera
lineare, un'enciclopedia o un dizionario sono nati per essere letti
in un ordine non prefissato, non continuo, non lineare.
E tuttavia c'è qualcosa che, in un'enciclopedia o in un
dizionario, viene letta in ordine lineare: sono le definizioni che
corrispondono alle singole voci. Abbiamo dunque a che fare con un
testo in cui ci sono delle unità significative autonome e nate per
una lettura lineare, le voci accompagnate dalla loro definizione.
Queste unità autonome sono però organizzate in una struttura
fornita di un ordine solo convenzionale, l'ordine alfabetico, e il
testo nel suo complesso non è normalmente letto in maniera lineare.
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Figura 11 - Dizionari ed
enciclopedie non sono nati per una lettura lineare: non a
caso, si tratta di modelli testuali che si sono rivelati
particolarmente 'adatti' alla trasformazione in ipertesti e
all'inserimento in rete |
Naturalmente dizionari ed enciclopedie non sono l'unico esempio
di testi di questo tipo; pensiamo ad esempio a un giornale, fatto di
articoli che corrispondono un po' ad unità autonome. Chi legge il
giornale sfoglia i titoli degli articoli, magari navigando fra le
sue pagine con un ordine, da pagina uno con le notizie più
importanti alla politica interna, la politica estera, la cronaca, la
cultura, l'economia, gli spettacoli, lo sport. Ma all'interno di
questo ordine, che in fondo è almeno in parte anch'esso
convenzionale, il lettore non ha un percorso rigidamente obbligato e
non legge tutto, legge solo gli articoli che lo interessano.
Quello che questi esempi ci suggeriscono è semplice: non sempre
un testo è costruito per essere letto linearmente, dall'inizio alla
fine. A volte un testo ammette letture non lineari, una pluralità
di percorsi possibili. Molto spesso, quando si parla di ipertesto,
si fa riferimento proprio a testi organizzati in maniera da poter
essere letti attraverso percorsi non lineari. La non-linearità,
insomma, è un tratto normalmente associato agli ipertesti.
Sorge però un problema: il fatto di offrire possibilità di
lettura non lineari basta a costruire un ipertesto? Se la risposta
fosse affermativa, dovremmo probabilmente considerare anche un
normale dizionario a stampa, o un quotidiano, o una rivista
illustrata, come degli ipertesti. Ma è davvero così?
Se ripensiamo alla definizione che abbiamo dato in apertura, ci
accorgiamo di no - e capiamo meglio, forse, una delle
particolarità degli ipertesti. Per costituire un ipertesto,
infatti, i blocchi testuali (o, più in generale, i blocchi
informativi) devono essere collegati da link, devono dunque
prevedere percorsi che l'autore propone al lettore. Il
lettore di un ipertesto, dunque, ha sì la possibilità di scegliere
il percorso di lettura che preferisce fra quelli che gli propone
l'autore, ma non ha lo stesso tipo di libertà che ha il lettore di
un'enciclopedia rispetto all'ordine di lettura delle singole voci, o
il lettore di un giornale rispetto all'ordine di lettura dei singoli
articoli. Potremmo paragonarlo a un viandante che passeggia per un
parco, scegliendo il proprio percorso fra i molti sentieri
disponibili, ma restando comunque sul sentiero ed evitando di
attraversare i prati. Se proviamo a sviluppare questo paragone, il
lettore di un tradizionale testo lineare sarà nella condizione di
un viandante che ha a disposizione una sola strada (può fermarsi,
può tornare indietro per un tratto, se vuole può anche abbandonare
la strada, ma la strada che ha a disposizione è comunque quella che
segue il percorso - lineare - stabilito dall'autore), mentre il
lettore che si muove fra blocchi informativi non collegati da link
- ad esempio fra gli articoli di un giornale - assomiglierà
piuttosto a qualcuno che cammina in un prato, o in un bosco, senza
seguire sentieri particolari.
Un po' di riflessione ci mostra, tuttavia, che anche il concetto
di blocchi di testo collegati attraverso link non è affatto nuovo.
Basti pensare alle note a piè di pagina: una nota non corrisponde
forse a un blocco di testo che viene collegato, attraverso un
rimando esplicito (il numero della nota), a un punto particolare di
un altro blocco di testo (il testo principale)? Proprio come un nodo
binario di un ipertesto, l'incontro con il rimando a una nota offre
al lettore due alternative: seguire il link e leggere la nota, o
ignorarlo e proseguire la lettura del testo principale. In
quest'ultimo caso il lettore perderà forse qualche informazione, ma
non il senso complessivo della lettura (in caso contrario, l'autore
avrebbe fatto male a porre quelle particolari informazioni in nota,
e non nel corpo del testo).
La storia dello sviluppo delle note a piè di pagina, e di altri
meccanismi di rimando ipertestuale all'interno di forme di
testualità che fanno già parte da secoli del nostro patrimonio
culturale (ad esempio le glosse) è raccontata in maniera avvincente
in un libro di Anthony Grafton che raccomandiamo caldamente al
lettore, e i cui dettagli sono indicati nella bibliografia
che chiude questa dispensa. Ma se questi meccanismi di rimando
ipertestuale fanno già parte da tempo della nostra tradizione
letteraria, perché di ipertesti si parla soprattutto con
riferimento ai nuovi media e al computer?
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Figura 12 - Anthony Grafton, TheFootnote
(dettagli in bibliografia). Note a piè di pagina, glosse,
rimandi costituiscono forme di collegamento ipertestuale
utilizzate ben prima degli ipertesti elettronici |
Il fatto è che il computer ci fornisce una perfetta 'macchina di
navigazione' all'interno dei percorsi ramificati stabiliti
attraverso i link di un ipertesto. Se noi, all'interno di una nota
in un libro a stampa, volessimo inserire una sottonota, e
all'interno della sottonota un'altra nota ancora, e da questa
rimandare magari a un altro punto del testo di partenza, renderemmo
l'uso del libro molto scomodo per il lettore, costretto a sfogliare
fisicamente le pagine per trovare, di volta in volta, il riferimento
esatto. Il movimento 'fisico' all'interno di un percorso
ipertestuale complesso si rivela, insomma, spesso poco pratico.
Quando però i link sono elettronici, e il movimento all'interno
dell'ipertesto viene controllato dal lettore attraverso il computer,
sarà il computer a occuparsi di ritrovare istantaneamente il punto
esatto al quale viene fatto il rimando, il blocco di informazioni
verso cui spostarsi, e a proporlo immediatamente al lettore, in
risposta a un semplice click del mouse. Un ipertesto elettronico
assomiglia insomma a un parco in cui il viandante disponga di una
sorta di 'macchina di teletrasporto' per muoversi con facilità da
un incrocio di sentieri a un altro, da un percorso a un altro.
Questo non vuol dire, naturalmente, che in un ipertesto
elettronico sia sempre facile individuare il percorso che
corrisponde alle proprie aspettative o alle proprie necessità. E
questa considerazione dovrebbe essere familiare a ogni utente di
Internet, dato che, come abbiamo
visto, l'applicazione probabilmente più diffusa di Internet, il
World Wide Web, non è altro che un gigantesco ipertesto
distribuito: trovare quello che si cerca può essere difficile, e
alcuni dei percorsi che ci vengono messi a disposizione portano a
vicoli ciechi, o a informazioni non pertinenti rispetto al cammino
che volevamo fare. Perdersi davvero, tuttavia, è impossibile: il
pulsante per 'tornare indietro', caratterizzato in genere dalla
familiare freccia orientata a sinistra e disponibile in tutti i
programmi di navigazione, ci permette, come un filo d'Arianna
elettronico, di tornare sempre facilmente sui nostri passi, mentre i
'bookmark' e il pulsante corrispondente alla nostra home page
possono teletrasportarci immediatamente in una zona più familiare
dell'ipertesto globale.
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Figura 13 - World Wide Web può
essere visto come un gigantesco ipertesto distribuito |
World Wide Web nel suo complesso, e i molti ipertesti specifici
che esso comprende, ad esempio sotto forma di singoli siti o di
sezioni di un sito, non rappresentano certo il solo esempio di
ipertesto elettronico: quasi tutti i CD-ROM (compreso quello di
questo corso) sono organizzati nello stesso modo; lo stesso vale, a
ben vedere, per le interfacce della maggior parte dei programmi, e
la televisione interattiva promette di offrirci la stessa struttura
anche in campo televisivo. In fondo, dato che il concetto di
ipertesto è collegato alla possibilità di scegliere fra percorsi
diversi lungo i quali muoversi all'interno di uno spazio
informativo, e che il concetto di interattività è strettamente
legato, come abbiamo visto, al concetto di scelta, ogni spazio
informativo associato a strumenti di scelta interattiva dei percorsi
lungo i quali percorrerlo può essere considerato come un ipertesto.
Ciò non significa, naturalmente, che gli ipertesti siano tutti
uguali. Proprio come parchi diversi possono differire anche
moltissimo per il numero e la complessità dei sentieri che li
attraversano, così ipertesti diversi possono essere più o meno
complessi, a seconda degli obiettivi dell'autore. A corredo di
questa dispensa troverete un'ampia
scheda di approfondimento che discute in dettaglio questo
problema, a proposito della costruzione di ipertesti con scopi
argomentativi, ipertesti cioè che intendano presentare e discutere
delle tesi (ad esempio, un saggio). Nello stesso articolo, è
discusso anche il rapporto fra il concetto di ipertestualità e un
altro concetto assai discusso dalla critica letteraria degli ultimi
decenni, quello di intertestualità. Nella prossima dispensa
troverete invece una discussione di alcuni problemi specifici
relativi a un altro settore assai dibattuto, quello degli ipertesti
letterari.
Nel concludere questo capitolo, c'è un ultimo punto che ci preme
sottolineare (anche se dovrebbe risultare già abbastanza chiaro da
quanto detto finora). Se è vero che l'ipertesto consente al lettore
una libertà di scelta fra più percorsi di lettura possibili,
questa libertà è tuttavia strettamente legata alle scelte fatte
dall'autore, ai sentieri che l'autore ha previsto. E' normalmente
l'autore, insomma, che possiede quello che potremo chiamare potere
di link, il potere di creare percorsi e collegamenti. Ciò non
significa che il lettore non possa decidere di abbandonare anche
questi sentieri: ma questa 'libertà radicale' è la stessa che il
lettore possedeva già anche nel caso di un testo lineare. Non è
vero, dunque, che l'ipertesto prefiguri necessariamente una sorta di
'indebolimento' dell'autore. Al contrario, la responsabilità di
prevedere più percorsi, più 'sentieri' di lettura, in alcuni casi
potrebbe portare addirittura a un autore più 'forte', capace di
usare il suo potere di link per dar forma a un disegno personale e
complesso.
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Figura 14 - Proprio come
l'architetto che costruisce un labirinto, l'autore di un
ipertesto traccia i molteplici percorsi che il lettore
potrà seguire. Auspicabilmente, senza perdersi! |
Le osservazioni fatte finora ci portano ad affrontare un problema
sul quale si è molto discusso negli ultimi anni. I nuovi media, le
possibilità offerte dagli ipertesti, la codifica in formato
digitale di tipi diversi di informazione, l'interattività, sembrano
trasformare radicalmente il volto di quello che per secoli e secoli
è stato il medium culturale per eccellenza, il libro. Siamo dunque
davanti, come dicono in molti, a un evento traumatico, di portata
epocale - la fine della cultura del libro?
Dato che nella parte conclusiva di questa dispensa ci proponiamo
di gettare uno sguardo sul futuro dei media, si tratta evidentemente
di un interrogativo al quale dobbiamo cercare di dare una risposta.
Il libro stampato, come sappiamo, è il risultato di quella che,
per l'importanza dei suoi effetti, è spesso considerata una vera e
propria rivoluzione: l'invenzione da parte di Gutenberg, alla metà
del XV° secolo, della stampa a caratteri mobili. Ne abbiamo già
parlato nella sesta dispensa,
e abbiamo visto come la rivoluzione gutenberghiana corrisponda a una
particolare tecnologia di produzione e, a ben guardare, anche di
trasmissione e conservazione del testo. Sappiamo bene che queste
tecnologie non mancano di influenzare il tipo di testualità che
viene prodotta, trasmessa e conservata; sappiamo cioè che i testi
prodotti all'interno di un 'ambiente gutenberghiano' ne conservano
un'impronta anche strutturale. Ma sappiamo altrettanto bene che
testi lineari (così come testi non lineari - ma questo è un altro
discorso) erano prodotti prima dell'invenzione della stampa, e
possiamo prevedere, senza correre troppi rischi, che testi lineari
continuano e continueranno ad essere prodotti anche in ambiente
elettronico.
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Figura 15 - Quale futuro per la
cultura del libro? |
Pensiamo adesso a quello che per molti è oggi l''avversario' per
eccellenza del libro, il computer. Quando parliamo del computer
pensiamo probabilmente a un oggetto fisico ben definito, con una
tastiera, un monitor, una unità centrale simili a quelli che
abbiamo in casa o in ufficio. Chi dubita che il computer possa
seriamente sostituire il buon vecchio libro a stampa fa in genere
riferimento a questa immagine del computer, e ricorda come leggere
sullo schermo di un computer - sullo schermo di questo tipo
di computer - sia un'operazione scomoda e stancante. Provate a
usare un computer per leggere a letto, o in bagno!
Ebbene: dovremmo sempre ricordare (ne abbiamo parlato discutendo
del concetto
di interfaccia) che la forma fisica che assume il computer, la
tipologia della nostra interfaccia fisica con la macchina, è il
risultato - non casuale, ma certo tutt'altro che definitivo - di una
evoluzione che è appena iniziata. La contrapposizione fra la
comodità e la praticità di un libro a stampa e la scomodità dello
schermo di un computer - anche di un computer portatile - riguarda
in realtà lo stato di due tecnologie una delle quali ha alle spalle
diversi secoli di sviluppo (pensiamo alle differenze esistenti anche
solo fra un libro di oggi e un libro di un secolo fa), l'altra una
decina di anni.
In che direzione si svilupperà, allora, l'interfaccia fisica di
un computer pensato (anche) come macchina per leggere? Ebbene, è
probabile che una delle direzioni fondamentali sia proprio quella
rappresentata dal modello del libro! L'idea di un computer che abbia
le dimensioni, il peso, la portabilità di un libro a stampa, che
non richieda fili elettrici o lo studio di complicati manuali, che
non si rompa per piccoli urti o cadute, che si apra come un libro a
stampa, ma che abbia al posto delle pagine due sottili schermi paper
white sui quali leggere, proprio come faremmo sulle due pagine
affiancate di un libro aperto, il testo dei nostri Promessi Sposi
(o di Dante, o di Montale), è probabilmente molto lontana
dall'immagine un po' terroristica che del computer hanno i difensori
più ortodossi delle forme tradizionali della cultura del libro, ma
è ben presente agli ingegneri informatici e agli esperti di design
industriale delle multinazionali di elettronica.
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Figura 16 - Uno dei primi esempi di
libro elettronico - l'everybook (http://www.everybook.com
).
Le due pagine che vedete sono in realtà schermi a colori ad
alta definizione |
'Libri elettronici' di questo tipo (se lo spazio non fosse
tiranno sarebbe estremamente interessante, anche dal punto di vista
strettamente teorico, passare in rassegna le caratteristiche
tecniche di alcuni dei principali progetti esistenti in
quest'ambito) saranno in grado di offrire, come 'bonus' aggiuntivo,
la possibilità di utilizzare a piacere una o entrambe le 'facciate'
come blocco di appunti o come strumento di schedatura, di effettuare
ricerche veloci sul testo, di permettere il confronto a pagine
affiancate di testi diversi, di includere immagini, suoni, filmati,
insomma di sfruttare al meglio caratteristiche e potenzialità
dell'ambiente elettronico. Permetteranno al nostro ipotetico
studente di leggere Manzoni sdraiato sul letto o nella vasca da
bagno, e conquisteranno probabilmente senza troppe difficoltà le
simpatie dell'umanista più incallito.
Il livello delle interfacce (volume a stampa, computer) va dunque
distinto dal livello delle forme di testualità, non perché le due
sfere non si influenzino reciprocamente (cosa che non mancano di
fare), ma perché la loro stessa capacità di influenza reciproca
nasce e dipende dall'esistenza di una essenziale distinzione
concettuale. Quando parliamo di mettere "il libro nel
computer" è bene pensare innanzitutto alla trasformazione di
un testo scritto in testo elettronico, e distinguere questo livello
da quello delle interfacce attraverso le quali utilizzeremo il testo
elettronico. Interfacce di lettura per i testi elettronici che siano
non nemiche ma prodotti della 'cultura del libro' sono perfettamente
ipotizzabili, anche se del libro estenderanno in maniera
considerevole (e per molti versi rivoluzionaria) le possibilità e
le caratteristiche.
Cosa dire, dunque, delle profezie sulla fine della cultura del
libro? Che certo, con l'avvento del digitale, anche il libro
cambierà volto. Progressivamente, appositi 'lettori' per testi
elettronici tenderanno a sostituire i libri su carta. Su questi
lettori, il testo scritto si affiancherà a immagini, video, suoni.
Ma non scomparirà: continueremo a leggere romanzi e poesie, proprio
come abbiamo fatto per secoli, anche se certo compariranno forme di
testualità nuove, e alcune di quelle più antiche saranno
profondamente modificate. In conclusione: la cultura del libro (o
- come è forse più esatto dire - la cultura del testo) non
scomparirà, ma conoscerà un'altra, importante tappa della sua
evoluzione millenaria.
Proviamo ora a spostarci da uno dei media più antichi, il libro,
a uno dei più recenti, la televisione. Il ruolo sociale di questo
medium è diventato negli ultimi decenni fondamentale, tanto da far
spesso considerare la seconda metà del Novecento come l'era
della televisione. Cosa succederà della televisione, con la
rivoluzione digitale?
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Figura 18 - Una delle prime
televisioni |
Alcune tendenze sono già in atto. Finora, la televisione è
stata fondamentalmente un medium
verticale, scarsamente interattivo (anche se l'operazione di
'cambiare canale' può essere vista come una forma di interazione),
normalmente generalista (le trasmissioni e i canali televisivi
cercavano cioè di 'conquistare spettatori' rivolgendosi a un
pubblico il più indifferenziato possibile, in modo da garantirsi un
più vasto bacino d'utenza). Anche dopo la vera e propria
rivoluzione rappresentata dall'esplosione delle televisioni private
- un fenomeno che in Italia ha assunto una dimensione notevole,
anche rispetto al resto del panorama televisivo mondiale - il
numero dei canali televisivi ricevibili dal singolo utente è
rimasto piuttosto limitato, nell'ordine delle poche decine.
I satelliti, le tecnologie via cavo e l'uso della codifica
digitale stanno mutando profondamente questo panorama. Al posto di
poche decine di canali, quasi tutti fondamentalmente 'locali'
(indirizzati cioè a un'area geografica specifica, sia essa
un'intera nazione o solo alcune regioni o città), avremo a
disposizione migliaia di canali, da tutto il mondo e in tutte le
lingue. Alcuni di questi canali resteranno 'locali', altri (il ben
noto canale di notizie CNN è forse il primo esempio di questo tipo)
aspireranno a una audience globale. Alcuni si rivolgeranno a un
pubblico indifferenziato, e resteranno dunque canali generalisti.
Altri troveranno la loro specializzazione proponendosi come canali tematici.
In una situazione in cui l'offerta televisiva è così allargata, e
in cui il pubblico potenziale è così vasto, diventa infatti
possibile concepire canali che cerchino di conquistare un proprio
pubblico - sufficiente a garantire la redditività dell'impresa -
rivolgendosi a settori ed interessi specifici. I canali dedicati
alle notizie o allo sport rappresentano solo la prima mossa:
esistono già canali dedicati solo ai bambini, alla musica classica,
all'educazione a distanza, ai viaggi, alla pesca, al teatro, e
l'elenco è in continua crescita (pensate che esistono canali
televisivi dedicati solo ai videogiochi, o ai fumetti giapponesi 'manga').
Come sapete, anche questo corso ha, in un certo senso, il proprio
canale televisivo di elezione: si tratta del canale educativo RAI
SAT 3, trasmesso in digitale via satellite (si veda la scheda
sulla televisione via satellite) e rivolto al mondo della
scuola.
Ma la rivoluzione digitale non si limita a rendere possibile la
moltiplicazione dei canali; permette anche, come abbiamo già
accennato, il superamento della distinzione fra trasmissione 'di
flusso' e pubblicazione, attraverso lo sviluppo di sistemi di video
on demand (v.
scheda). Più in generale, permette di aumentare
l'interattività della televisione. Si tratta di un settore in
rapido sviluppo, anche se (è bene saperlo) questo sviluppo è
spesso fortemente condizionato da specifici interessi commerciali.
In particolare, molti interessi ruotano intorno alla possibilità di
sostituire le 'televendite' alle quali siamo ormai abituati con
videocataloghi interattivi, che permettano di usare l'apparecchio
televisivo - integrato da un canale di trasmissione dati verso
l'esterno, basato ad esempio sulla linea telefonica o sulla
cablatura esistente - come strumento per effettuare direttamente i
nostri acquisti, magari attraverso l'addebito immediato, per via
telematica, sul nostro conto in banca.
Come è facile capire, anche queste prospettive tendono ad
avvicinare televisione e computer (dopo tutto, lo strumento più
diffuso per fare acquisti per via telematica non è ormai un
computer collegato a Internet?), integrando le potenzialità del
secondo con la facilità d'uso della prima. I canali attraverso i
quali ci arriva informazione televisiva diventeranno, da
monodirezionali, bidirezionali, e lo stesso flusso di dati, essendo
in formato digitale, diventerà parte (una parte rilevante) del
flusso di dati digitali che circola già oggi sulle reti. Le
autostrade dell'informazione, insomma, allargando l'ampiezza delle
proprie 'corsie' si apriranno pienamente all'informazione
televisiva: i primi 'ibridi' fra televisione e Internet, ai quali
abbiamo accennato nella quarta
dispensa, indicano già, probabilmente, quale sarà la direzione
del cammino.
A queste modifiche tende ad affiancarsi, naturalmente, anche il
progresso tecnico degli strumenti. Dopo alcuni anni di stasi, il
settore della televisione ad alta definizione sembra nuovamente in
movimento, mentre crescono gli investimenti nel settore del
cosiddetto home cinema, che si propone di sostituire il
normale apparecchio televisivo con televisioni piatte a largo
schermo o videoproiettori ad alta luminosità accompagnati da un
sistema di casse acustiche (il sistema attualmente più usato, detto
Dolby digital, prevede due fonti audio frontali, due fonti
audio alle spalle dello spettatore, una fonte audio centrale per il
parlato, e una cassa dedicata per i bassi) che consentano
un'esperienza sonora avvolgente il più vicina possibile a quella
dei migliori cinema.
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Figura 19 - Impianti
home theater: televisione a schermo piatto o videoproiettore
accompagnati da un sistema audio avvolgente e ad alta fedeltà |
Va sempre tenuto presente, comunque, che l'evoluzione degli
strumenti non porta necessariamente con sé una evoluzione dei
contenuti. La qualità dell'offerta televisiva, è inutile
nasconderlo, è stata spesso piuttosto bassa: auguriamoci dunque che
all'esplorazione delle nuove possibilità offerte dal digitale si
affianchi un lavoro di ripensamento e innovazione anche sul versante
dei contenuti, e teniamo sempre presente che in questo settore sono
spesso le nostre scelte di telespettatori a condizionare lo sviluppo
del mercato.
I giornali, lo abbiamo ricordato nella sesta
dispensa, hanno aiutato la nascita di una 'opinione pubblica'
consapevole e informata; una opinione pubblica che, negli ultimi
decenni, ha affiancato all'informazione giornalistica quella
televisiva come strumento per seguire gli avvenimenti nazionali e
mondiali. Proprio per la capacità dei media di 'costruire' - o
almeno influenzare - l'opinione pubblica, il tema
dell'organizzazione e del controllo dei media ha un rilievo
essenziale per lo sviluppo di un paese. Cosa cambia, in questo
settore, con il passaggio al digitale?
Informazione giornalistica e informazione radiotelevisiva hanno
progressivamente acquisito, nella seconda metà del Novecento,
caratteristiche autonome e specifiche. Non potendo competere con
radio e televisione nella capacità di fornire informazione 'in
tempo reale', il giornalismo scritto si è indirizzato verso il
commento e l'approfondimento, e ha cercato di sfruttare al meglio le
sue caratteristiche di 'pubblicazione' per offrire al lettore un
ventaglio il più ampio possibile di articoli e notizie fra i quali
scegliere quelli corrispondenti ai propri personali interessi. Il
giornalismo radiotelevisivo, dal canto suo, si è naturalmente
indirizzato in primo luogo verso il 'tempo reale' e il massimo
aggiornamento delle notizie, sfruttando inoltre la particolare
efficacia comunicativa delle immagini video.
Sappiamo ormai che la possibilità di integrare codici
comunicativi diversi, e dunque testo, suoni, immagini, è una delle
caratteristiche fondamentali della rivoluzione digitale. Non ci
stupirà dunque scoprire che almeno alcuni aspetti della
tradizionale distinzione fra giornalismo scritto e giornalismo
radiotelevisivo siano messi profondamente in discussione dalle
possibilità offerte da quello che potremmo chiamare (senza pensare
necessariamente solo a Internet) giornalismo di rete. Ecco
dunque che i siti di giornali e stazioni televisive si sono
trasformati in veri e propri laboratori di nuovi stili comunicativi,
nei quali testo scritto, audio e filmati possono concorrere a
costruire un modello di informazione integrata che unisce i vantaggi
del 'tempo
reale' alla possibilità di offrire all'utente un ampio
ventaglio di scelte.
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Figura 20 - Giornali in rete: il
sito Internet del quotidiano la Repubblica |
Il giornalismo di rete è giovanissimo, ed è ancora presto per
prevederne gli sviluppi futuri o per individuare le convenzioni
comunicative che prevarranno. Si tratta tuttavia di un settore in
sicura espansione, in grado di offrire notevoli prospettive
occupazionali, e la cui evoluzione si prospetta per molti versi
affascinante: sicuramente, un fenomeno da seguire con attenzione.
In
questa dispensa, abbiamo innanzitutto discusso una serie di concetti
centrali nello sviluppo del mondo dei nuovi media: concetti che
hanno a che fare con termini 'alla moda' (multimedialità,
interattività, ipertesti), ma che nel contempo ci parlano di come
l'informazione venga organizzata e strutturata, e del rapporto fra
vecchie e nuove strategie comunicative, fra vecchi e nuovi
strumenti, fra vecchi e nuovi media. E proprio da questo punto di
vista abbiamo poi cercato di individuare alcune fra le principali
prospettive e linee di tendenza nello sviluppo futuro dei diversi
media. In questa rassegna, sarà apparso chiaro che il rapporto fra
presente e passato è un rapporto fatto certo di cambiamenti, anche
radicali, ma è anche (e non potrebbe essere altrimenti) un rapporto
di sviluppo e continuità. Perché, allora, si parla - a ragione
- di rivoluzione digitale?
L'elemento realmente innovativo, il cardine di questa
rivoluzione, e insieme la più decisa discontinuità rispetto agli
strumenti del passato non risiede né nell'idea di utilizzare in
maniera integrata codici diversi (multimedialità centripeta o
multicodicalità), né nell'idea di sviluppare un progetto
comunicativo attraverso media diversi (multimedialità centrifuga):
abbiamo visto, infatti, che queste possibilità erano già presenti,
pur se in forme assai meno sviluppate, ben prima dell'avvento del
digitale. Anche l'idea di strumenti interattivi di gestione
dell'informazione non è nuova, né lo è, di per sé, l'idea di
ipertesto. La vera rivoluzione - come dovrebbe risultare chiaro da
quanto abbiamo esposto finora - risiede, piuttosto, nella convergenza
al digitale, e nel vero e proprio 'salto di livello' che la
convergenza al digitale permette di compiere in tutti i settori
appena ricordati: multimedialità, interattività, ipertestualità.
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Figura 21 - La radice di una
rivoluzione: convergenza al digitale |
Il concetto di convergenza al digitale dovrebbe essere, per chi
ha seguito fin qui queste lezioni, fondamentalmente già acquisito:
sappiamo già dalla prima dispensa che
informazioni di tipo diverso possono essere tutte ridotte allo
stesso codice di base, alle lunghe catene di 0 e 1 dell'informazione
digitalizzata. Questa, che potremmo chiamare convergenza di
codifica, diventa anche una vera e propria convergenza
tecnologica nel momento in cui il computer si propone come
strumento in grado di gestire efficacemente grosse quantità di
informazioni in formato digitale; ecco allora che al posto di
strumenti basati su tecnologie totalmente diverse (macchina
tipografica, televisore, radio, telefono, macchina da presa,
proiettore cinematografico, macchina fotografica.) compaiono
strumenti certo spesso diversi per funzioni e interfaccia, ma il cui
'cuore' è costituito da un microchip e la cui funzione è quella di
acquisire, manipolare e distribuire informazione in formato
digitale. Ed ecco (convergenza di mercato) che mercati
culturali tradizionalmente diversi (editoria, mercato
cinematografico, mercato televisivo, mercato della telefonia.) si
integrano fra loro e con quella che storicamente è stata la prima
forma di mercato di informazione in formato digitale, il mercato del
software. Tutto questo, naturalmente, non manca di avere conseguenze
dal punto di vista degli stili e dei linguaggi comunicativi,
permettendo un vero e proprio salto di livello nelle possibilità di
integrazione di codici diversi all'interno di prodotti informativi
unitari (integrazione digitale).
Protagonista di questa evoluzione è naturalmente il computer, ma
per capirne la vera portata non bisogna pensare al computer come
strumento singolo e isolato: bisogna, piuttosto, pensare al computer
in rete, e al ruolo fondamentale delle reti telematiche, vere e
proprie autostrade dell'informazione. Ricordate quanto abbiamo visto
nella terza dispensa? Grazie
all'evoluzione dell'informatica e della telematica i bit, gli 0 e 1
dell'informazione digitalizzata, sono estremamente facili da
trasmettere. Perché, allora, dotarsi di strumenti diversi, con
tecnologie diverse, per trasmettere e ricevere, poniamo, onde radio,
segnali televisivi, comunicazioni telefoniche? E' certo più
semplice, più efficiente e più economico trasmettere sempre, in
tutti questi casi, l'informazione direttamente in formato digitale.
Considerando poi che, una volta garantita la 'portata informativa'
necessaria, non c'è alcun motivo per cui debbano essere usati per
trasmettere informazione di un certo tipo piuttosto che di un altro,
informazione sonora al posto di informazione scritta o visiva, i
canali di comunicazione attraverso cui viaggiano bit tenderanno
naturalmente a integrarsi. E spesso tenderanno ad integrarsi anche i
terminali collocati alle estremità di questo scambio informativo:
computer capaci di elaborare dati testuali e immagini ma anche dati
sonori e video in movimento, dotati magari di scanner, microfono e
telecamera.
In una prima fase, quella che stiamo attraversando, la
convergenza al digitale dovrà accettare alcuni compromessi con le
nostre abitudini comunicative, con gli strumenti esistenti, insomma
con il volto tradizionale dei media. Il televisore, ad esempio,
resta apparentemente lo stesso, ma come
abbiamo visto l'informazione che gli arriva non è più solo
analogica, ma anche digitale. In un futuro un po' più lontano, è
probabile che la distinzione tra schermo del televisore e schermo
del computer tenderà a scomparire del tutto. Analogamente,
all'inizio l'apparecchio telefonico resterà quello che conosciamo,
ma sempre più spesso la comunicazione telefonica avverrà in
formato digitale, sfruttando le reti di trasmissione dati che
avvolgono il pianeta.
Questo processo non porterà certo alla sostituzione di tutti i
media col computer, soprattutto se intendiamo per computer l'oggetto
fisico - cabinet, tastiera, monitor. - che ci è ormai
familiare. Ma, indubbiamente, molti se non tutti i media che
conosciamo acquisteranno un'anima digitale, e nel farlo verranno
meno molte fra le rigide distinzioni tecnologiche, funzionali e di
mercato alle quali eravamo abituati.
- Provate a riflettere sull'attività comunicativa che si svolge
in un'aula scolastica (lezione dell'insegnante, interrogazioni,
discussioni.), e provate a distinguerla in base alle varie
tipologie di comunicazione che abbiamo individuato nella prima
parte di questa dispensa: comunicazione verticale, orizzontale,
circolare.
- Provate a elencare alcuni esempi di multimedialità
'centripeta' e alcuni esempi di multimedialità 'centrifuga'.
Quali considerazioni vi sembrano spingere, in ogni singolo caso,
verso una scelta o verso l'altra?
- Supponete di dover predisporre la campagna elettorale per la
vostra elezione a deputato. Quali strumenti di comunicazione
usereste, e come? Vi vengono in mente dei modi innovativi per
utilizzare le tecnologie digitali, o ritenete che la
comunicazione politica risulti più efficace utilizzando i media
tradizionali? Perché?
- Provate a pensare in che modo l'uso di tecnologie digitali
potrebbe mutare il volto della comunicazione didattica (potrete
poi tornare sull'argomento prendendo in considerazione la
discussione che ne proponiamo nella decima lezione di questo
corso).
- Supponete di avere a disposizione 500 milioni da investire in
azioni di società che operano nel mercato di produzione della
cultura, immaginando di disinvestirli fra 20 anni. Quali sono i
settori sui quali scegliereste di puntare? Che tipo di aziende o
di attività vi sembrano garantire il maggiore sviluppo
economico? Quali invece vi sembrano destinate a perdere rilievo?
- Notoriamente poliedrici nei vostri interessi, avete deciso di
scrivere un romanzo di fantascienza, un saggio per dimostrare i
rischi del buco nell'ozono per l'ambiente, la recensione dei
dieci film più belli usciti nell'anno passato, il discorso di
accettazione del vostro secondo premio Nobel, e il manuale per
usare lo schiacciapatate a energia eolica di vostra invenzione.
In quali casi ritenete possa essere utile usare la scrittura
ipertestuale, e - in caso - che tipo di ipertesto vi sembra
di volta in volta più indicato?
- Avete la responsabilità di stabilire la programmazione di una
stazione televisiva. Quali programmi vi sembrano più adatti
alla trasmissione 'pay per view', e perché?
- Registrate su videocassetta due telegiornali diversi dello
stesso giorno e acquistate in edicola alcuni giornali del giorno
dopo. Scegliete l'avvenimento che vi interessa di più, e
pensate a come avreste potuto 'coprirlo' attraverso un sito
giornalistico in rete. Preparate un progetto di impaginazione.
Quali differenze vi sono rispetto alla copertura offerta dai
telegiornali? Quali rispetto a quella offerta dai giornali?
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