Pedofilia in rete: la legge c'è, le proposte di
modifica anche
di Georgia Garritano
Dopo i recenti fatti di cronaca riguardanti la pedofilia molti si
saranno domandati in che modo la nostra legislazione tuteli i
bambini. Sullo sfruttamento sessuale dei minori è stata promulgata
una nuova normativa proprio nel corso di questa legislatura. Si
tratta della legge 296 del 1998 che modifica il precedente testo del
codice penale in adesione ai principi espressi dalla Convenzione sui
diritti del fanciullo (1991) e dalla Conferenza mondiale di
Stoccolma (1996) e tenendo conto dei cambiamenti sociali in atto.
Tale norma, infatti, fa esplicito riferimento alla circolazione di
materiale di pornografia minorile in Internet e prevede sanzioni
severe non solo per chi è responsabile della produzione e del
commercio di pornografia minorile ma anche per chi possiede e
diffonde tale merce. È previsto, infatti, che chiunque "con
qualunque mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o
pubblicizza materiale pornografico" che coinvolge soggetti
minorenni o "distribuisce o divulga notizie o informazioni
finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori
degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque
anni e con la multa da lire cinque milioni a cento milioni". La
legge, inoltre, punisce chi si procura o dispone di questo tipo di
materiale, alimentando in tal modo la catena dello sfruttamento
sessuale dei minori: questi casi sono sanzionati con la reclusione
fino a tre anni o con multe non inferiori ai tre milioni. È
importante sottolineare che le disposizioni previste dalla legge si
applicano anche quando il fatto è commesso all'estero da parte o in
danno di cittadini italiani o da cittadini stranieri in concorso con
cittadini italiani. Su richiesta del ministero della Giustizia sono
perseguibili anche i cittadini stranieri per quei crimini che
prevedano una detenzione non inferiore ai cinque anni. Questo
articolo può, quindi, rivelarsi uno strumento idoneo ad agire
legalmente nei casi in cui i reati avvengano in rete oltre i confini
nazionali. Per ogni legge che riguardi la regolamentazione dei mezzi
di comunicazione si pone il problema di trovare un equilibrio tra
l'obbligo di proteggere i cittadini e quello di garantire la
libertà di espressione. L'attuale normativa non manca di sollevare
qualche perplessità, tanto da parte di chi vorrebbe controlli più
rigorosi, quanto da parte di chi teme che la legge possa
criminalizzare gli operatori del web. Da un lato si critica la
facilità con cui si possono effettuare registrazioni on line per la
connessione a Internet dichiarando identità fittizie, senza che vi
sia alcun accertamento dell'autenticità delle generalità, cosa
che, oltre a ritardare l'individuazione di eventuali sospetti,
consente ai minori di effettuare registrazioni on line all'insaputa
dei genitori. Dall'altro si osserva che le responsabilità dei
vettori di materiale pornografico non sono diversificate in base
alla consapevolezza o meno con cui essi agiscono: in altre parole un
provider può essere ritenuto responsabile di ciò che circola
attraverso le sue reti anche se ne è inconsapevole. Poiché la
legge non è in vigore da molto tempo gli orientamenti
interpretativi della magistratura non sono ancora consolidati,
tuttavia sembra prevalere la tendenza a non attribuire agli ignari
fornitori dei servizi di comunicazione la responsabilità di tutto
ciò che è contenuto nei loro spazi web. Nel contempo, in sede
legislativa sono state avanzate proposte di modifica di varia
ispirazione. Un'ipotesi di correzione è stata presentata l'anno
scorso dal senatore Stefano Semenzato dei Verdi, a tutela dei
gestori di servizi Internet e dei servizi postali. A suo parere
l'attuale norma, oltre a rivelare una percezione inadeguata degli
aspetti tecnici da parte del legislatore, appare addirittura
incostituzionale nel momento in cui dà luogo ad una presunzione di
colpevolezza. Nel servizio telematico, infatti, non soltanto è
praticamente impossibile controllare e selezionare i milioni di
messaggi veicolati ogni giorno ma farlo equivarrebbe a intraprendere
la strada della censura preventiva, impraticabile dal punto di vista
costituzionale. Da un punto di vista culturale, inoltre, l'esplicito
riferimento ai reati in rete, presente nel testo della legge, crea
una associazione discutibile tra Internet e pedofilia: è vero che
il canale, potente e anonimo, può favorire traffici illeciti ma è
altrettanto vero che la maggior parte dei crimini sessuali contro i
minori avviene tra le pareti domestiche o da parte di persone che i
bambini conoscono e frequentano. Un recente disegno di legge a firma
del senatore popolare Angelo Rescaglio vorrebbe, invece, istituire
un Osservatorio per la lotta all'abuso e allo sfruttamento sessuale
dei minori e la lotta ai reati connessi alla pedofilia. Tale
struttura, con compiti di prevenzione e controllo, dovrebbe
provvedere al monitoraggio dei siti Internet che trasmettono
immagini di violenza sui minori al fine di scoprirne gli autori.
Anche in sede comunitaria non sono mancati tentativi, negli ultimi
anni, per affrontare il tema della pedofilia in rete: nel 1998, ad
esempio il Consiglio d'Europa ha promosso un piano d'azione
quadriennale per la promozione di un uso sicuro di Internet.
Mediante lo sviluppo della cooperazione internazionale nel settore,
l'iniziativa intende incoraggiare sia la messa a punto di un quadro
legale comune ai Paesi membri sia la definizione di misure di
autodisciplina elaborate col concorso dell'industria. Il progetto
prevede, inoltre, la sperimentazione e l'adozione di sistemi di
classificazione e filtraggio, la creazione di una rete europea di
hot lines e la realizzazione di campagne di sensibilizzazione. Un
richiamo all'autoregolamentazione come via preferibile a quella dei
controlli centralizzati è venuto anche dall'Unesco che ha promosso
lo scorso anno un convegno sul tema "Abusi sessuali sui minori,
pornografia e pedofilia su Internet: una sfida internazionale"
(Parigi 18-19 gennaio 1999). L'organismo delle Nazioni Unite ha,
nello stesso tempo, insistito sulla necessità di armonizzare la
giurisprudenza dei vari paesi in materia. |