Il termine lessia è stato introdotto dal semiologo francese Roland Barthes per denotare "unità di lettura" ritagliate all'interno del testo. Per Barthes, le lessie sono il risultato della "scomposizione (in senso cinematografico) del lavoro di lettura. (...) Questo lavoro di ritaglio, occorre dirlo, sarà quanto possibile arbitrario; non implicherà alcuna responsabilità metodologica (...). La lessia comprenderà ora poche parole, ora qualche frase; sarà questione di comodità: basterà che sia il migliore spazio possibile in cui osservare i sensi; (...) si richiede solo che per ogni lessia non vi siano più di tre o quattro sensi da enumerare" [1].
Figura 27 - Roland Barthes |
Come è facile capire, il concetto di lessia in Barthes è legato soprattutto alla operazione di lettura, eseguita su un testo visto come intrinsecamente 'plurale' e aperto. Il concetto di lessia è però usato, parlando di ipertesti, in un senso almeno in parte diverso da quello introdotto da Barthes. I blocchi costitutivi di un ipertesto sono infatti generalmente individuati dall'autore, non dal lettore. Da questo punto di vista, il richiamo a Barthes ha quindi più una funzione di rimando a un 'padre nobile' di alcuni temi cari alla riflessione sugli ipertesti ('testo costellato', 'testo plurale') che quella di un riferimento teorico diretto.
Per evitare queste ed altre possibili ambiguità derivanti dall'uso della terminologia di Barthes, sono state naturalmente proposte anche scelte alternative: ad esempio i termini texton e scripton (quest'ultimo corrispondente a una sequenza continua di uno o più texton presentata dal testo o ricavata dal lettore) suggeriti da E. J. Aarseth [2]. Quanto a noi, il suggerimento (e la scelta che abbiamo fatto in questa dispensa) è quello di preferire l'espressione più complessa, ma più neutrale dal punto di vista teorico, di 'blocchi costitutivi dell'ipertesto'.
[1] R. Barthes, S/Z, Paris, Seuil 1970, trad. it. Torino, Einaudi, 1973, pp. 17-18
[2] Nonlinearity and Literary Theory, in G.P. Landow (ed.), Hyper/Text/Theory, Baltimore & London: Johns Hopkins University Press, 1994, pp. 51-86, p. 60