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Per la larga banda non basta una tecnologia

Georgia Garritano

Il Rapporto della Task force sulla larga banda istituita dai ministri delle Comunicazioni e dell'Innovazione: la domanda è ancora ridotta, l'offerta non è competitiva, l'intervento pubblico deve armonizzare domanda e offerta e favorire la scelta tra le tecnologie disponibili

Lo sviluppo della larga banda è strategico per il Paese; può essere perseguito mediante l'impiego di diverse tecnologie, con particolare attenzione alla fibra ottica, e deve essere accompagnato da interventi che riducano le disparità di accesso a tale opportunità di progresso. Queste le conclusioni del Rapporto della Task force sulla larga banda, una commissione interministeriale di studio istituita, lo scorso settembre, dal ministro delle Comunicazioni e dal ministro per l'Innovazione e le tecnologie.
La Commissione - che ha adottato la definizione di larga banda come "ambiente tecnologico che consente l'utilizzo delle tecnologie digitali ai massimi livelli di interattività", indicando nell'ordine di alcuni Mbit/s la capacità trasmissiva da raggiungere nel breve/medio periodo - ha sintetizzato in questa relazione i risultati di una ricognizione della situazione presente e una valutazione sulle prospettive future.

Sullo stato attuale - indagato mediante una serie di audizioni di esperti e rappresentanti di aziende, associazioni di categoria e amministrazioni locali - vengono messi in luce "l'atteggiamento di attesa da parte degli operatori", motivato da una "forte incertezza circa i ritorni degli investimenti", e i persistenti vincoli alla competizione.
Il quadro delle infrastrutture esistenti mostra che, per quanto riguarda la rete backbone nazionale, oltre a quella dell'incumbent, cioè dell'operatore telefonico dominante, sono presenti reti alternative (ad esempio quelle di Autostrade, Ferrovie dello Stato, Snam ed Enel), realizzate in origine per finalità diverse dalla fornitura di servizi di telecomunicazione, che ormai costituiscono delle risorse per il Paese. Invece la rete di accesso (o "ultimo miglio" o "local loop"), nonostante gli investimenti nella fibra ottica successivi alla liberalizzazione, sconta ancora il fatto che col monopolio dell'operatore pubblico si è avuto anche il monopolio di una tecnologia, il rame, e non sono state utilizzate altre tecnologie, come il cavo coassiale, che all'estero hanno favorito il passaggio alla larga banda.
Secondo la Commissione le misure introdotte finora per favorire la concorrenza presentano dei limiti. L'unbundling, ad esempio, ovvero l'accesso disaggregato alla rete locale che permette a un operatore di telecomunicazioni di utilizzare componenti e servizi della rete locale di un altro, introdotto in ottemperanza a una direttiva comunitaria, mostra degli "aspetti di criticità" perché "è condizionato all'acquisto da Telecom Italia di lotti minimi iniziali di 100 porte"; i tempi di attivazione sono lunghi e i nuovi operatori sono "penalizzati dall'attuale regolamentazione degli spazi di co-location, che non consente di condividere gli investimenti".
Il problema di fondo è che la gestione della rete e delle infrastrutture di accesso non è stata ancora separata da quella dell'erogazione dei servizi: ciò riguarda non solo l'ex monopolista ma anche le amministrazioni locali, alcune delle quali "oltre a detenere l'autorità per la gestione del suolo pubblico, sono anche azioniste di public utilities" per cui, in molti casi, "la richiesta ai Comuni di scavare e realizzare una rete di connessione ai siti" si scontra "con un palese conflitto di interessi".

Un altro punto dolente è costituito dal digital divide, nelle sue varie forme di discriminazione: tra aree più o meno sviluppate (digital divide geografico), tra diversi tipi di zone (digital divide tipologico) o addirittura all'interno della stessa area (micro digital divide). Il Rapporto specifica, infatti, che "accanto alla divisione tra coloro che usano Internet e quelli che non lo fanno (the first divide)" ne esistono altre: "il gruppo di coloro che non usano Internet non è omogeneo ma si divide (dual digital divide) tra coloro che sono interessati ad Internet ma non sono in grado di connettersi (near-users) per varie ragioni (economiche e di alfabetizzazione) e quelli che non hanno interesse a connettersi (distant-users)".

Sulle risposte alle questioni sollevate la Commissione fornisce alcune indicazioni. Innanzitutto insiste sul concetto di pluralità delle tecnologie - "la larga banda non si identifica con una sola tecnologia: più tecnologie possono essere usate a seconda dei casi" - facendo riferimento, in particolare, a quattro soluzioni, benché con diverse valutazioni: la compressione del segnale su rame (xDsl), la fibra ottica, il satellite e il wireless. A queste si aggiunge un rapido accenno alla tecnologia powerline, che sfrutta le linee di distribuzione dell'energia elettrica. Anche se, per la sua rete d'accesso in rame, l'Italia è particolarmente favorita nell'uso dell'xDsl, viene definito "strategico per il Paese iniziare fin da oggi ad investire per consentire la transizione tecnologica dal rame alla fibra ottica". Le tecnologie wireless, invece, avranno, a indicazione degli esperti consultati, "diffusione limitata". Per il satellite, infine, si osserva che esso offre una "totale e uniforme copertura del territorio nazionale", che non richiede l'uso di computer e può integrarsi con la tv digitale terrestre ma, al tempo stesso, che questo mezzo è legato alla diffusione di segnali televisivi e che l'interattività, indicata come caratteristica fondamentale della larga banda, non è invece propria del modello di trasmissione in broadcasting che "prevede un ruolo tipicamente passivo per gli utenti".

Riguardo il "quadro regolatorio", nonostante le critiche, la Commissione definisce il sistema italiano "abbastanza completo" dal punto di vista della legislazione ma aggiunge che "richiede importanti interventi di monitoraggio degli aspetti attuativi, per facilitare la transizione da un regime di monopolio ad un mercato delle telecomunicazioni veramente competitivo ed efficiente".
Quanto all'indirizzo politico, le proposte della Task force al governo non vanno nella direzione di "sostenere l'offerta" ma "di intervenire per favorire uno sviluppo armonico di domanda e offerta". "Si ritiene" - è scritto - "che non siano compatibili, ai fini dello sviluppo del Paese, ingenti impegni di risorse economiche e finanziarie nella costruzione di infrastrutture fisiche" e che "la diffusione della larga banda in Italia debba essere inquadrata in un modello basato sulla selettività, senza dover necessariamente ricorrere al concetto di servizio universale".
Individuati gli obiettivi - e-learning, e-health, telelavoro, e-security - vengono, pertanto, suggeriti "interventi selettivi nelle aree non coperte né copribili dal mercato"; "incentivi fiscali agli investimenti degli operatori"; promozione "dell'aggregazione della domanda" e dei servizi digitali mediante campagne di sensibilizzazione, centri di formazione, chioschi, attuazione dei piani di e-government, informatizzazione dell'insegnamento, valorizzazione del patrimonio artistico e culturale attraverso le tecnologie di rete, collaborazione pubblico-privato e riduzione dello skill shortage e, soprattutto, sostegno alla ricerca.
L'Italia, infatti, destina alla ricerca una percentuale del Pil inferiore alla media europea (1,03 per cento contro 1,7) e nonostante l'Unione Europea "abbia indicato un obiettivo ottimale del 2 per cento l'ultima finanziaria approvata prevede una riduzione della spesa per la ricerca fino ad un livello dello 0,9 per cento". Questi i settori su cui incentivare gli studi: fotonica e fibre ottiche, wireless, tecniche di compressione audio/video, certificazione di qualità, architetture di rete, sistemi di protezione e tecniche per l'erogazione dei servizi applicativi.