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Il cinema digitale per scoprire il reale

Wanda Marra

Intervista a Gillo Pontecorvo, grande regista e promotore negli ultimi anni del Cinecittà Internet film festival.

Gillo Pontecorvo, uno dei grandi maestri italiani del cinema politico e realista italiano, si è fatto promotore nel 1999 del Cinecittà Internet Film festival, il primo festival italiano - nato nel 1999 - dedicato a cortometraggi ideati e realizzati per essere visti esclusivamente attraverso Internet e le tecnologie di Rete, la cui terza edizione si è conclusa poche settimane fa. Gli abbiamo chiesto i motivi che stanno dietro alla scelta di una manifestazione di questo genere. Per scoprire che il digitale è una grande risorsa per il cinema di stampo realistico.

Lei è stato tra i promotori del Cinecittà Internet film festival. Quali i motivi per realizzare una manifestazione di questo genere?

La cosa più importante per me è favorire il cortometraggio in generale, perché si tratta di una scuola straordinaria. Il cortometraggio permette di imparare l'Abc della grammatica della regia, abitua a inventare una storia, a dirigere degli attori, a pensare a una musica che si adatti alla vicenda narrata.
L' Internet Film Festival, promosso da me quando ero presidente di Cinecittà, è una delle tante maniere per permettere ai giovani di sperimentare e offre una possibilità per far circolare i loro prodotti. Per quel che riguarda me, Internet è soprattutto uno strumento.

L' Internet Film Festival è arrivato alla sua terza edizione. I lavori presi in considerazione sono ormai un numero consistente. Ci può dire qualcosa sul linguaggio filmico di questi corti?

La cosa che emerge maggiormente è che la misura che abbiamo scelto (massimo due minuti) anche dato il mezzo al quale ci rivolgevamo, è troppo breve. Bisognerebbe allungarla per permettere ai ragazzi di sperimentare di più.

Ma richiedere una misura più lunga, non va contro la natura di Internet?

La verità sta nel mezzo. Bisogna cercare di conciliare l'esigenza di rapidità e quella di sperimentazione narrativa, altrimenti l'utilità di un'operazione come questa è minore.

Lo stesso corto, Click, ha vinto sia il primo premio della giuria che quello del pubblico votante online. In questo filmato si racconta che cosa accade al tempo in una foto e cosa accade nel tempo di una foto: è una riflessione sulla tecnologia e sul tempo, oltre ad essere realizzato splendidamente. Quali i motivi per i quali lo avete scelto?

Per queste ragioni. Mi è piaciuta molto la chiarezza - in poco tempo viene fuori un'idea precisa e comunicabile - oltre a una certa qualità formale.

Qual è la sua posizione rispetto al cinema digitale? Quali sono i pro e i contro?

Le nuove tecnologie sono come certe medicine, dove c'è scritto "usare sotto il controllo del medico". Il medico secondo me sono gli autori. Le nuove tecnologie arrivano in ambienti dominati dalle major cinematografiche, dalle lobby finanziarie che inseguono gli effetti in grado di lasciare la gente a bocca aperta e riempire le sale.
In un'arte come il cinema, che è costosa e per la quale non circola denaro a sufficienza, le nuove tecnologie rischiano di assorbire tutte le risorse finanziarie a disposizione per questo tipo di film, che poi sono molti, togliendo ossigeno al cinema che io preferisco. Penso ai film di David Lynch, a Paisà di Rossellini, a Umberto D. di De Sica.
Le nuove tecnologie avvicinano il nostro lavoro a quello di altri artisti: il musicista che scrive quello che gli viene nel momento stesso in cui gli viene, lo scrittore di fronte alla pagina bianca. Per esempio, uno sceneggiatore o un regista che avessero immaginato un bosco con le foglie che cominciano a cadere, con un ruscello, alla fine della scrittura devono cercare qualcosa che rassomigli a questa idea. Con le nuove tecnologie, non adesso, ma tra due o tre anni, tutto questo si farà col computer, eliminando il diaframma della difficoltà concreta che c'era prima.

Nel cinema digitale, la ripresa dal vivo diventa una semplice materia grezza destinata all'elaborazione manuale: animazione, inserimento di immagini in 3D completamente costruite al computer, pittura ecc. Secondo lei questa è una ricchezza per il cinema, oppure rischia di essere un impoverimento?

Entrambe le cose. Rischia di essere un impoverimento se si orientano tutti i fondi necessari per un mezzo di comunicazione particolarmente costoso come il cinema, verso un tipo di prodotto che alle volte può essere affascinante, interessante, ma altre è di una superficialità e di una mancanza di spessore totale.

Andre Téchiné in Loin, il film presentato all'ultima mostra del cinema di Venezia, utilizza attori non professionisti, ma gira in digitale. Lei condivide un'operazione di questo genere?

Perché no? Il digitale in un certo senso costa meno: gli attori non professionisti ti fanno perdere non solo ore, ma anche pellicola. Io, per esempio, ho lavorato con Marlon Brando insieme ad attori non professionisti. Si perdeva moltissimo tempo per armonizzare questi due stili. Col digitale, almeno si ripete senza dover buttar via metri e metri di pellicola.

Se dovesse girare oggi La Battaglia di Algeri (1966), sceglierebbe di utilizzare le tecnologie digitali, oppure lo rifarebbe nello stesso modo?

Sceglierei il digitale, ma piangerei all'idea che il montaggio digitale è infinitamente meno bello di quello tradizionale..

Il cinema digitale, secondo lei, come si colloca tra le due possibili definizioni del concetto di virtuale, che si può intendere come "opposto a reale" oppure come "tensione alla rappresentazione?

Non bisogna teorizzare, ma vedere soggetto per soggetto, materia per materia. Per quello che mi riguarda personalmente, tenterei sempre di portare il digitale verso il reale.