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Georgia Garritano

Ibm svela il codice di Eclipse a una comunità di 1200 sviluppatori per costruire una piattaforma per l'integrazione di strumenti destinati all'e-business. Per Big Blue l'open source sta entrando nell'era della redditività

È già da qualche tempo che il colosso informatico Ibm ha assunto una posizione di apertura nei confronti dell'open source. Se, però, fino allo scorso anno si era "limitato" ad annunciare finanziamenti miliardari per progetti legati a Linux, adesso sta costruendo una comunità open source tutta per sé.

È scattata, infatti, l'operazione Eclipse con la quale Ibm mette a disposizione di una comunità di programmatori il suo programma di sviluppo Java-based denominato per l'appunto Eclipse, un software del valore di 40 milioni di dollari (quasi 90 miliardi di lire). Compito degli sviluppatori sarà quello di elaborare applicazioni destinate ai servizi di e-business.

Secondo la compagnia sono già coinvolti nel progetto 1200 professionisti originari di 63 paesi e ben 150 società, tra le quali, ovviamente, non potevano mancare le aziende che distribuiscono e forniscono assistenza per i prodotti Linux, come Red Hat e SuSe; infatti gli strumenti basati su Eclipse saranno compatibili sia con Microsoft Windows che col sistema operativo del pinguino e l'intera iniziativa si prospetta strategica per la crescita di competitività di quest'ultimo.

"Rivelando i codici sorgenti di Eclipse Ibm sta facendo ciò che Apache ha fatto per i server web e Linux per i sistemi operativi" - dichiara Steve Mills, vicepresidente del gruppo, e spiega che mentre la compagnia lavora sugli standard può contemporaneamente competere sul mercato: con questo progetto, dunque, inizia per l'open source l'era della redditività.

Il progetto Eclipse, che verrà presentato in webcast il prossimo 29 novembre, punta a costruire una piattaforma per l'integrazione di strumenti, una tecnologia che permetta a file Java, contenuti web, grafica, video e altro ancora di funzionare bene insieme. Coordinato da un Comitato direttivo - il Project management commettee composto da Dave Thomson, Greg Adam e John Wiegand - il progetto Eclipse è costituito da una serie di sottoprogetti.
Il "Platform" ha come obiettivo la definizione dell'insieme delle strutture e dei servizi necessari a supportare la piattaforma di integrazione, inclusi un'interfaccia utente standard, un'infrastruttura di debug indipendente dal linguaggio e un sistema di gestione automatica delle risorse. Il "Jdt" si occupa, invece, dello sviluppo di applicazioni Java. Il "Pde", infine, della costruzione di plug-in per Eclipse.

Tra i partner ci sono società come Merant, che produce i pacchetti Pvcs per il configuration management; Qnx Software Systems (Qssl), leader nel settore dei sistemi operativi in tempo reale; TogetherSoft, produttrice di Together ControlCenter, la prima piattaforma per il Model-Build-Deploy e Rational, produttrice dell'omonima piattaforma per lo sviluppo di software.

A ben guardare, quindi, quella che un portavoce di Big Blue ha definito una ricca "donazione", "la mossa più audace di Ibm", è più un investimento che un regalo: tanti sviluppatori che lavorano insieme impiegheranno, infatti, molto meno tempo (e perciò meno denaro) per raggiungere gli obiettivi e, per di più, l'integrazione con la rete di distribuzione sarà maggiore.

Il fatto che un gigante come Ibm "salti sul carro" dell'open source induce, in effetti, a riflettere, tanto più che il caso è tutt'altro che isolato. Una ricerca Forrester realizzata a ottobre rivela, infatti, che il 56 per cento delle aziende utilizza software open source, una percentuale che solo qualche tempo fa sarebbe stata impensabile. Solo Microsoft, che gode di un monopolio naturale nel settore del software per pc, rimane fieramente avversa all'open source e chiede interventi legislativi contro una pratica che considera un attentato contro la proprietà intellettuale.

Buona parte dell'industria, che ha sempre temuto che questo modello produttivo costituisse una minaccia per quello proprietario, pensa forse che potrà guadagnarci di più?
Sulla questione si sono soffermati acutamente Petr Hrebejk e Tim Boudreau, entrambi impegnati (rispettivamente come senior software architect e come direttore marketing) nel progetto open source NetBeans Tools Platform di Sun Microsystems, che in un articolo apparso nel numero di ottobre di "Linux Journal" hanno svolto un'analisi economica del fenomeno.

Secondo loro l'impresa sa, sulla base di ricerche di mercato, che continuerà a prevalere la legge del vincitore unico, che "ci sarà ancora un monopolio", non importa se proprietario o open. Ma ciò che fa differenza è che se vincerà un "monopolio aperto" ci saranno, comunque, più possibilità di partecipare.

È noto - spiegano i due autori - che i profitti si possono ottenere aumentando le entrate o tagliando i costi e l'open source è una via per ridurre i costi. Rivelare il proprio codice sorgente significa, dunque, "avere in cambio l'opportunità di essere parte di qualcosa di più grande" e di contribuire a indirizzare i progetti verso soluzioni conformi alle proprie esigenze. Chi partecipa a un progetto open source è anche utente dei prodotti ai quali lavora e quindi incontrerà più facilmente la domanda del mercato. A ciò si aggiunga che realizzare architetture più stabili e modulari, uno dei principali obiettivi, favorisce il contenimento delle spese di gestione.

Ecco perché - concludono Hrebejk e Boudreau - sempre più industrie investono nell'open source e solo l'attuale monopolista lo combatte duramente.