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L'informazione online a pagamento funziona?

Wanda Marra

Da "Repubblica", a "Salon", passando per il " Wall Street Journal" e "The Street": esperimenti, casi vincenti, fallimenti

L'informazione online sta cercando la sua strada, che sembra passare per l'offerta a pagamento di contenuti e servizi. In Italia, la prima sperimentazione tocca a Repubblica: da metà dicembre sul sito del quotidiano sarà possibile consultare l'edizione cartacea del giornale, a pagamento.

Una novità che fa discutere e riapre una serie di interrogativi che riguardano da vicino il futuro dell'informazione online: quanti sono disposti a pagare per usufruirne? E qual è il grado di sopravvivenza dei quotidiani in Rete?

"Non conosco alcun sito di media online che attualmente sia redditizio, ma molti sono sul punto di diventarlo. Una volta che l'economia sarà ripartita, l'anno prossimo molti siti come The Street, CBS Marketwatch, o Salon cominceranno a fare profitto. Non bisogna dimenticare che il Web è un'industria nascente".

A dichiararlo a Le Monde Interactif qualche giorno fa è stato David Talbot, il fondatore di Salon.com, nonché amministratore delegato e caporedattore.

Non si tratta certo di un parere come un altro, visto che Salon.com, ad ottobre, dopo mesi di crisi, ha messo a pagamento molti dei suoi contenuti: un abbonamento costa 30 dollari per un anno o 50 dollari per due anni. Secondo le notizie degli ultimi giorni, anche se le perdite continuano ad essere più delle entrate, gli abbonamenti a Salon Premium (una sezione di contenuti extra) e alle due comunità, Table Talk e The Well forniscono circa il 45 per cento delle entrate complessive dell'azienda, con di più di 20mila iscritti fino a questo momento. Ma non è ancora chiaro se questo può bastare a una delle più importanti e-zine americane per sopravvivere.

Fino a quest'anno, la Rete sembrava condannare al fallimento chi tentava operazioni di questo genere. Molte esperienze di giornali online a pagamento tentate negli scorsi anni si sono concluse a causa dei costi altissimi da sostenere, in cambio di proventi bassi o nulli. Sono stati chiusi GNN di America On Line; Spiv, la rivista in Rete tentata del gruppo Turner; Pathfinder, il progetto di giornale a pagamento della Time-Warner.

D'altra parte, per molti quotidiani e riviste online è in gioco la sopravvivenza, che non viene garantita dalla pubblicità: la scorsa primavera, per esempio, sono fallite due delle più note, intelligenti e antiche webzine americane, Feed e Suck.

Altri, pur senza aver chiuso, stanno attraversando una crisi grave e duratura: è il caso, per esempio, di The Street, che ha provato - senza riuscirci - a farsi pagare l'accesso ed ha ripiegato proponendo soltanto alcuni servizi a pagamento. Tra questi, RealMoney, che offre analisi e consulenze finanziarie in tempo reale da parte di alcune delle menti più brillanti di Wall Street.

Il successo dei siti legati in qualche modo agli investimenti finanziari è una delle poche realtà consolidate della Rete, che sembra essere lo strumento ideale per trovare notizie, analisi, consigli sulla gestione del proprio capitale azionario. Un caso emblematico in questa direzione è quello del Wall Street Journal: secondo alcuni dati elaborati dalla Nielsen/NetRatings al maggio 2001 i proventi del giornale derivanti dai 609.000 abbonati erano di 35.931.000 dollari. L'abbonamento annuale di 59 dollari dà diritto a consultare l'edizione completa del quotidiano, gli aggiornamenti finanziari in tempo reale e una serie di servizi delle banche dati.

A far pagare i propri contenuti, comunque, in realtà stanno provando in molti. Nel corso dell'estate Yahoo! ha lanciato due nuovi servizi a pagamento, uno di analisi dei titoli azionari, l'altro di notizie sportive, mentre i siti del Times e del Sunday Times hanno inserito un abbonamento di 10 sterline l'anno per accedere alle loro parole crociate. Uno dei primissimi quotidiani ad approdare sulla Rete, NandoTimes, ha appena varato una propria versione a pagamento libera da banner e pop-up pubblicitari, per la modica cifra di un dollaro alla settimana.

È dunque la fine dell'informazione gratis su Internet? Stiamo assistendo all'avvento di un modello "pay per news"? Oppure si tratta di un tentativo effimero, destinato a durare un'unica stagione e naufragare davanti alla perplessità degli utenti?

La realtà dei fatti sembra indicare - almeno per ora - una terza formula: la convivenza di contenuti gratuiti e servizi a pagamento.