Settimanale RAI Educational
Tema 20 aprile 1999

La guerra in Rete

di Gino Roncaglia

Dai primi bombardamenti Nato sulla Yugoslavia, il 24 marzo, è passato quasi un mese. Ci sembra arrivato il momento di proporre una riflessione un po' più ampia su questa drammatica esperienza, sui molti volti della guerra in Rete, e, più in generale, sull'intreccio fra nuove e vecchie tecnologie, fra nuovi e vecchi media, in un conflitto che - ricordiamolo sempre - non è certo 'virtuale', si combatte nel mondo reale, col suo carico di orrori e distruzioni, con centinaia e probabilmente migliaia di morti.

Scheda storicaA ben guardare da questa prospettiva si possono distinguere due grandi aree tematiche: da un lato, il ruolo dei nuovi media nell'informare sulla guerra; dall'altro, il ruolo delle nuove tecnologie nello svolgimento della guerra. Questi due temi possono sembrare distinti, ma in realtà non lo sono: come sappiamo, l'informazione (che può facilmente trasformarsi in propaganda) è anche un'arma, un'arma particolarmente importante. Nell'interrogarci sul ruolo dei nuovi media, dunque, ci accorgeremo che questo ruolo non è solo informativo, ma può influenzare direttamente, in molti modi, lo svolgimento del conflitto.

NewsweekMa cominciamo dal primo aspetto, quello informativo. E cominciamo dal terreno a noi più familiare, Internet. Il sito di Newsweek ha promosso in questi giorni un sondaggio particolarmente interessante, basato sul confronto fra l'informazione fornita sulla guerra da media diversi. I risultati sono sorprendenti: per il 55 % dei partecipanti, la Rete costituisce la fonte più aggiornata di dati sulla guerra; per il 47% è quella più affidabile, per ben il 69% è la più completa, e per il 68% è la più utile.

Italia RadioAbbiamo chiesto a Mino Fuccillo direttore di Italia Radio, se condivide questi dati che, ricordiamo, nascono da un sondaggio in Rete, e quindi da un pubblico specifico:
"Il dato dell'informazione aggiornata è incontestabile. Internet è infatti per definizione un'informazione immediata, vale a dire senza mediazioni, così come è evidente che sia un'informazione utile. Quanto all'affidabilità, il fatto che l'informazione sia senza filtro, senza chiavi di lettura, senza categorie di interpretazione può riservare qualche insidia".

Tuttavia nell'occasione drammatica della guerra Internet è sicuramente diventata una fonte di notizie anche per i grandi giornali.
Secondo Riccardo Barenghi, giornalista degli esteri del Manifesto, Internet è diventata senza dubbio la fonteIl Manifesto primaria di materiale per poter costruire un giornale moderno, ricco di approfondimenti: "Internet è fondamentale perché i mezzi di informazione non possono limitarsi a dare la notizia di cinque righe, rielaborando la notizia d'agenzia, ma devono riempire pagine e pagine di materiali interessanti. Soprattutto in questa guerra, dove le notizie non si vedono e se si vedono, vengono fuori da una propaganda o dall'altra e sono difficilmente verificabili sul campo, incrociando le innumerevoli fonti di Internet, si può fare un buon prodotto che aiuti il lettore a capire quello che sta succedendo oltre la notizia quotidiana".

La Rete, dunque, dà voce direttamente alle parti in conflitto, in un terreno in cui la distinzione fra informazione e propaganda è assai più labile.

I siti della guerraI siti della guerra mostrano infatti come le parti in conflitto sfruttino la Rete, sia con scopo informativo che propagandistico. L'aggiornamento continuo avvicina questi siti a una forma di comunicazione in tempo reale, ma certo l'immediatezza assoluta della comunicazione in diretta resta loro preclusa. Gli strumenti per la comunicazione in tempo reale tuttavia non mancano: fuori da Internet, attraverso radio e televisione, e su Internet, attraverso le tecnologie di streaming e i chat.

La guerra del Golfo era stata segnata dall'esplosione del fenomeno Cnn, e dunque da un fatto informativo nuovo, un canale televisivo che l'uso dei satelliti rendeva globale, dedicato alla trasmissione non-stop e in diretta di informazioni.

La crisi del Kosovo è segnata, dal punto di vista della comunicazione televisiva, da una situazione in parte diversa. Da un lato la moltiplicazione dei canali - collegata anche al prepotente sviluppo della televisione satellitare digitale - ha portato a una corrispondente moltiplicazione delle fonti informative.

I canali 'all news' ricevibili in Europa sono ormai parecchi, ciascuno con il suo stile e le sue caratteristiche - ricordiamo fra l'altro che dalla settimana prossima entrerà in campo anche la Rai, con l'inaugurazione del canale satellitare digitale informativo 'Rai all news'.Contemporaneamente alla moltiplicazione dei canali, però, è caduta l'illusione, pericolosa, della possibilità di una rappresentazione televisiva, oggettiva e completa, di una 'guerra in diretta'.

Questa illusione è caduta in parte per la moltiplicazione delle fonti, dovuta non solo ai nuovi canali televisivi satellitari ma anche alla comunicazione via Internet. E in parte perché la Yugoslavia ha fortemente limitato il lavoro dei cronisti stranieri, espellendoli dal Kosovo nel periodo di crisi più acuta. In questa situazione hanno trovato un nuovo spazio anche media più tradizionali: le sole corrispondenze da Pristina nei primi giorni del conflitto sono venute non dalla Bbc o dalla Cnn ma - telefonicamente - da un inviato di Radio radicale, Antonio Russo, e nel ritrasmetterle la radio si è alleata alla Rete. La registrazione di quelle telefonate è infatti ancora disponibile sul sito Internet di Radio radicale, e al valore della testimonianza affianca l'interesse di un ibrido fra il vecchio reportage di guerra, fortunosamente dettato al telefono, e le tecnologie usate per renderlo disponibile come spiega lo stesso Antonio Russo:

Radio radicale"Le testimonianze dei miei reportage radiofonici sono conservate nell'archivio della radio e si possono trovare sul sito. Tutto ciò è importante per due motivi. Innanzi tutto per conservare la memoria storica dell'informazione; "Laudator tempora acti", si lodino i tempi passati, diceva Dante, come exempla per avere un'esperienza che ci dia una capacità analitica del presente e per fare delle previsioni sul futuro su un fondamento abbastanza solido. Il secondo motivo è che, penso, queste testimonianze siano importanti per fare capire quello che è in atto nella quotidianità della guerra".

Fin qui abbiamo visto le nuove tecnologie dell'informazione, utilizzate per informare - in maniera più o meno di parte - sull'andamento del conflitto. Abbiamo ricordato però all'inizio che le nuove tecnologie entrano nella guerra in maniera anche assai più diretta, con le nuove tecnologie militari, delle armi 'intelligenti', o pretese tali, della guerra elettronica.

In questi ultimi giorni l'espressione 'bomba intelligente' infatti è diventata familiare. Attenzione, però: l'uso di questa espressione è basato su un equivoco. Il fatto che queste armi siano programmate, non le rende affatto intelligenti. Non solo perché, come tutte le armi, testimoniano più dei nostri limiti e degli aspetti peggiori della nostra natura che delle nostre capacità intellettuali. Ma anche perché - l'informatica ce lo ha insegnato da tempo - il fatto di aver a che fare con un programma non implica affatto di aver a che fare con qualcosa di intelligente. Un programma si limita a prevedere alcune possibilità, e ad associarle con alcune istruzioni. L'imprevisto resta, per definizione, estraneo al programma, e l'errore, umano o meccanico, è sempre in agguato. Un errore che, in questi casi, può significare la perdita di molte vite umane.

Internet e le nuove tecnologie giocano dunque un ruolo molto rilevante in questo conflitto. Internet come fonte di informazione - e come tale si può trasformare in una vera e propria arma di guerra propagandistica, anche se è bene forse non confondere questa guerra informativa, certo grave ma in fondo incruenta con la guerra reale combattuta fra massacri e bombardamenti - e la sofisticata tecnologia applicata alle vere armi. Per fortuna, però, le reti e gli strumenti telematici possono funzionare anche come servizio di utilità sociale, e contribuire anche a salvare delle vite. In questo senso possiamo segnalare un'iniziativa italiana. All'ospedale S. Raffaele di Roma la telemedicina è usata per aiutare, a distanza, nelle diagnosi e nella cura dei profughi kosovari ospitati in un campo in Albania.

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