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Handicap - Servizio del 20/04/99 

Riabilitazione e telemedicina

di Stefania Navacchia

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Riabilitazione e Internet
di Giampiero Moncada


Politecnico di MilanoParlare di disabilità e nuove tecnologie significa spesso esaminare il problema in termini di ausilio e di modifiche ambientali e relazionali per ridurre l‘handicap, cioè per ridurre quelle difficoltà che sorgono in presenza di un deficit, il quale, lo ricordiamo, è un dato irreversibile. Sappiamo tuttavia che una delle tematiche da sempre legate al mondo della disabilità riguarda la riabilitazione: ci siamo allora chiesti se e come l’informatica può portare il suo contributo anche in questo settore di ricerca.
Per rispondere a questa non facile domanda è opportuno allargare inizialmente lo sguardo al settore della medicina per vedere se le ricerche stanno portando risultati interessanti in questo campo. Seguendo questo percorso abbiamo trovato degli sviluppi interessanti al Dipartimento di Robotica del Politecnico di Milano.

Interessanti ricerche si stanno svolgendo nel campo delle applicazioni dell’informatica alla medicina: un primo esempio è un prototipo progettato e realizzato dal Prof. Alberto Rovetta, docente di Robotica al Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano e dalla sua équipe multidisciplinare per la diagnosi del morbo di Parkinson. Attraverso un sistema di realtà virtuale e di sensori, si è in grado di valutare sia la precisione e il tempo di reazione a uno stimolo dato, sia la potenza del movimento. In un’apparecchiatura di dimensioni ridotte collegata a un computer portatile viene inserito un dito del paziente di cui vengono registrati e visualizzati nel monitor i risultati.
Applicazioni ancora più avanzate sono nel campo della robotica: attraverso un computer è possibile guidare un braccio meccanico per effettuare delicati esami come biopsie, che richiedono notevole precisione. L’utilizzo di apparecchiature robotizzate diminuisce il tempo di intervento e la possibilità di errori. Queste applicazioni sono gestibili anche a distanza attraverso interventi di telemedicina.

di Cristina Bigongiali

Jaron LanierLa robotica e la realtà virtuale stanno aprendo nuove vie sia in campo medico che in quello relativo alle problematiche dell’handicap. A questo punto ci si può interrogare in maniera più approfondita sulla natura del rapporto fra queste nuove realtà e il mondo del deficit ascoltando l’opinione di Jaron Lanier, pioniere della realtà virtuale, termine da lui stesso coniato.
“La comunità di scienziati e ingegneri che si interessa di problemi dei disabili si è sempre sovrapposta alla comunità delle persone interessate alla realtà virtuale. E la ragione di tale sovrapposizione è che dobbiamo studiare cose simili; dobbiamo studiare approfonditamente come una persona interagisce col mondo, e, quindi, in molti casi, gli apparecchi che inventiamo possono essere usati da entrambi i gruppi. E in effetti c'è un grande spirito di collaborazione tra le due comunità di ricerca, con parecchie conferenze in comune. E' un argomento difficile da riassumere, perché in termini di applicazioni ci sono così tanti tipi di handicap e per ognuno ci sono approcci di tipo diverso; si hanno centinaia di casi, invece che un singolo grande caso. Certamente, questo è un campo estremamente importante ed è uno dei più gratificanti per chi ci lavora.”

Si tratta quindi di una problematica aperta: la realtà virtuale offre al disabile una realtà “altra”, questo porta a chiedersi se ‘tornare’ poi inevitabilmente alla fisicità del mondo, della vita di tutti i giorni e ritrovare ostacoli e barriere materiali possa essere a volte per il disabile fonte di frustrazione e di ulteriori difficoltà psicologiche. Crediamo tuttavia che la sperimentazione di nuove forme di movimenti, di comunicazione, di un nuovo rapporto sia con lo spazio fisico, sia con gli altri possa costituire l’occasione per il disabile per conoscere meglio se stesso, comprendere più a fondo i propri limiti e scoprire nuove potenzialità da spendere anche nel mondo materiale. Tutto ciò può costituire un modo per ridurre il proprio handicap e costituire una fonte di riabilitazione. Ma per addentrarci in questo settore è utile comprendere cosa si intenda con il termine “riabilitazione” . Lo abbiamo chiesto all’Ingegnere Eugenio Guglielmelli ricercatore in bioingegneria alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e specializzato nelle applicazioni dell’informatica negli ausili per i disabili:

“Sicuramente la riabilitazione è un processo che segue il disabile per tutta la vita, di fatto e si possono distinguere due macrofasi: c'è un processo riabilitativo che termina con la piena capacità del disabile di utilizzare al meglio le proprie funzioni motorie, intellettive, ma che, ovviamente, ha dei limiti dovuti alla menomazione, congenita o acquisita, e c'è poi un processo, che riguarda l'utilizzo di ausili, la conversione ad attività lavorative non più compatibili con la situazione di stabilità che si è venuta a creare, che di fatto rappresenta il vero snodo fondamentale del processo di piena reintegrazione sociale del disabile.[...] E’ chiaro che la nuova frontiera che noi vediamo nell'utilizzo di queste tecnologie per l'assistenza, da ricercatori, è anche la possibilità di usare le reti telematiche, di dare contenuto alle autostrade informatiche, non solo per trasmettere informazioni in maniera così distribuita, ma anche per trasmettere azioni, quindi di integrare sistemi che possono permettere all'utente di controllare ambienti anche remoti, così come si fa adesso solo in alcune applicazioni per lo spazio, in ambito industriale molto avanzato, nella vita di tutti i giorni e, in questo senso, abbiamo condotto un esperimento col Giappone di telecontrollo del nostro sistema robotico da un’università giapponese e abbiamo condotto esperimenti anche sulla possibilità di erogare terapie di riabilitazione a distanza per soggetti, per esempio, con problemi di linguaggio e così via, quindi utilizzare comunque la rete per recepire al meglio quelle che possono essere le esigenze dell'utente, dalla .. sia in senso riabilitativo clinico proprio, che in senso di formazione e esecuzione di mansioni professionali”.

Vi sono poi altre realtà di ricerca, che attraverso reti neurali fanno leva sulla motivazione del disabile perché egli acquisisca un maggior controllo dei suoi movimenti.

MindDriveL’Istituto Carlo Besta di Milano nella sua divisione di neurologia dello sviluppo ha progettato un software che consente al disabile, attraverso simulazioni virtuali, di avvicinarsi a varie sensazioni di movimento. Attraverso un sensore che si chiama MindDrive, prodotto dalla Infotronics di Modena, ma progettato addirittura dal Pentagono, bambini tetraplegici ma con buone abilità cognitive, riescono ad interagire con il computer, utilizzando la realtà virtuale per riuscire a trasformare un’intenzione del pensiero in un’azione. I videogiochi sono basati sulla possibilità di orientare il cursore sullo schermo per compiere un esercizio come sciare o guidare un’aeromobile, altri sulla possibilità di distinguere i propri statibambina in terapia intensiva col sensore MindDrive d’animo per comporre ad esempio un arrangiamento musicale. I giovani pazienti gradiscono molto questa nuova terapia e si dimostrano spesso più abili nel comando del cursore di tanti adulti sani, riuscendo così ad affrontare l’esercizio con uno stato d’animo estremamente positivo che porta ad un conseguente rilassamento e quindi ad un miglioramento della loro distonia.

di Cristina Bigongiali

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