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I molti volti dell’ usabilità
Capita talvolta di veder difendere due posizioni differenti, rendendosi conto che tali posizioni sono fra loro incompatibili, ma trovando convincenti le argomentazioni portate a sostegno sia dell’una, sia dell’altra.
E’ quanto mi è accaduto leggendo le tesi di Bifo e di Franco Carlini sul tema dell’usabilità, e, più in particolare, sull’uso di Flash nella realizzazione di siti Web. Da un lato si difende l’interesse di tutti gli strumenti capaci di allargare le potenzialità espressive e la ricchezza semantica della comunicazione via Web (indubbiamente Flash rientra in questa categoria), e si sottolineano i limiti di una concezione troppo austera dell’usabilità, che finirebbe per appiattire il ‘linguaggio del Web’ su modelli rigidi, piatti, semanticamente poveri. Dall’altro si mette in evidenza il pericolo insito in tutti gli strumenti ‘chiusi’ e proprietari (e Flash rientra, altrettanto indubbiamente, anche in questa categoria). Strumenti il cui sviluppo è nelle mani di un piccolo gruppo di programmatori, e il cui uso ‘produttivo’ è limitato a chi è in grado di pagarne il prezzo d’acquisto.
Difficile negare la fondatezza di una tesi e dell’altra. L’obiezione secondo la quale ciò che si può fare in Flash si potrebbe egualmente fare in Javascript (o, come sarebbe forse più corretto dire, in HTML dinamico) mi sembra infatti poco difendibile: chiunque abbia usato i due strumenti sa che ciò può valere per alcuni semplici effetti di animazione testuale, ma non per progetti appena piú complessi. Progetti che Flash permette di realizzare in maniera relativamente semplice e immediata ma che – quand’anche la cosa si rivelasse possibile – richiederebbero, per essere realizzati attraverso strumenti ‘aperti’ come Javascript, capacità di programmazione e disponibilità di tempo e risorse (e dunque un costo) di gran lunga maggiori. Naturalmente, è vero anche l’inverso: sono moltissime le cose che si possono fare usando Java o Javascript e che non si potrebbero fare usando Flash.
Le due tesi si contrappongono dunque in maniera molto ‘pura’ e diretta. Come scegliere?
Prima di spiegare la mia posizione, vorrei portare un esempio personale. All’Università della Tuscia coordino l’attività di un gruppo di studenti che ha imparato a realizzare siti Web, e lavora (molto, e molto bene: ormai sono decisamente più bravi di me…) proprio sulle potenzialità espressive dei molti ‘linguaggi del Web’. Sono persone giovani, entusiaste, generalmente abbastanza squattrinate, generalmente molto impegnate. Provano, per gli strumenti proprietari e per gli standard chiusi, un’antipatia non minore di quella che provo io (e non è poco). Ma distinguono – in maniera immediata e quasi automatica, senza troppe riflessioni – questa antipatia ‘politica’ e dall’interesse per i risultati tecnici ed estetici che alcuni strumenti proprietari permettono di raggiungere. In altri termini, e nel caso specifico: usano Flash, e ne sono anche entusiasti. Il rifiuto di certi meccanismi esasperatamente commerciali si manifesta in altre forme: siti nei quali ci si scambia esempi di codice (niente infatti impedisce, se lo si desidera, di non ‘proteggere’ le proprie realizzazioni in Flash) e si impara dal lavoro degli altri, massimo sfruttamento delle versioni ‘trial’ del programma (un paio di versioni licenziate le ho comprate io con i fondi del seminario, per evitare che andassimo tutti in galera…), ecc.
Direi che, volendo provare a esplicitare i presupposti di questo atteggiamento, si potrebbe dire che viene riconosciuta l’importanza anche di alcuni strumenti proprietari, quando essi dimostrino un particolare valore espressivo o una particolare funzione comunicativa. A condizione che accanto al riconoscimento dovuto a chi ha lavorato alla realizzazione di quegli strumenti (espresso in questo caso attraverso l’acquisto delle versioni licenziate del programma) vi sia anche la capacità di ‘socializzarne’ l’uso.
Non mi sembra un atteggiamento irragionevole. Pensiamo a un altro esempio, quello dello streaming audio e video. I tre principali formati che si combattono in questa arena (Real Video, Windows Media e QuickTime) sono tutti e tre proprietari. Avrebbe senso rinunciare per questo al loro uso? Certo, se esistesse un formato aperto dalle stesse potenzialità, sufficientemente diffuso, frutto del lavoro collettivo di un organismo indipendente e rappresentativo, sarebbe preferibile usarlo. Certo, ci si può battere perché un tale standard emerga. Ma il fatto che in alcuni casi questi standard non ci siano, o fatichino ad emergere, non è un caso, e – ritengo – non è neppure il frutto di una sorta di congiura commerciale. E’ piuttosto il frutto, per quanto paradossale, proprio del carattere aperto della rete e dei suoi protocolli fondamentali. Su quelle basi possono costruire tutti: comunità di utenti decise a condividere ogni aspetto del loro lavoro, e società commerciali impegnate a vendere e guadagnare, anche attraverso la protezione dei codici utilizzati. La nostra simpatia va alle prime, ma sarebbe realistico (e, addirittura - sarebbe socialmente e culturalmente produttivo) ignorare o rifiutare l’esistenza e il lavoro svolto dalle seconde?
E tuttavia c’è almeno un campo nel quale è bene distinguere con attenzione fra strumenti proprietari e non proprietari, e nel quale è forse bene ricordarsi della lezione ‘austera’ dell’usabilità. Il Web, infatti, non comprende solo siti nati con scopi di sperimentazione espressiva o estetica. Comprende anche siti di servizio e di pubblica utilità, per i quali l’obiettivo della massima accessibilità è fondamentale. Per questi siti, e in particolare per le loro sezioni di contenuto, è bene rinunciare quando possibile (il quando possibile è d’obbligo: il Parlamento dovrebbe rinunciare alla diretta audio e video delle sedute, per il fatto che – come si è accennato – i più diffusi formati streaming sono proprietari?) all’uso di strumenti proprietari. Non perché siano necessariamente inutili, ma perché possono entrare in conflitto con gli obiettivi di pubblico servizio e di pubblica utilità del sito. In questi casi occorrerà dunque una valutazione particolarmente attenta sulla natura e la funzione degli strumenti utilizzati, in relazione agli scopi e alla natura del sito (e delle sue diverse sezioni). Una valutazione per la quale è difficile dare regole precostituite, ma che dovrà comunque guardare alle meraviglie di taluni formati proprietari con un pizzico di diffidenza in più.
Gino Roncaglia
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