Il fenomeno hacker
Abbiamo letto sulle cronache dei giornali degli hacker
protagonisti al vertice di Davos, dove ogni anno si raduna il gotha
dell'economia mondiale, di un'incursione informatica che avrebbe
scavalcato i sistemi di difesa del Forum accedendo ai dati riservati
contenuti nel data base: l'indirizzo privato, il numero di telefono
cellulare, l'indirizzo di posta elettronica e anche il numero della
carta di credito di personaggi come Bill Clinton, Yasser Arafat,
Bill Gates, per citare alcuni tra i 1400 rappresentanti convenuti al
Forum da tutto il mondo. Non era mai successo prima. Com'è
possibile che sia avvenuto tutto ciò? Il World economic forum ha
sottovalutato la capacità degli hacker o non ha preso misure di
sicurezza sufficienti?
Difficile dire cosa sia successo davvero a Davos, di quale
portata sia stata questa azione e quali saranno le conseguenze.
Molte aziende si limitano al "no comment" finché non
saranno giunte a termine le indagini in corso. La maggior parte dei
partecipanti, per ovvi motivi, non ha piacere di raccontare
l'esperienza. Una cosa è certa: violare un sistema informatico non
è certo un gioco da ragazzi ma neppure un'impresa impossibile. I
sistemi di sicurezza che vengono utilizzati nelle aziende e negli
enti istituzionali sono molto spesso vulnerabili. Il progressivo
utilizzo di Internet ha creato molte semplificazioni nel modo di
lavorare ma anche molti problemi inesistenti fino a qualche anno fa.
Qualche numero
Novembre e dicembre 2000 sono stati i mesi che hanno registrato
una gran quantità di incursioni di hacker ai danni di grandi
aziende. La crescita esponenziale di siti violati registra questi
numeri: 71 nel settembre, 614 in ottobre, 707 in novembre e 843 in
dicembre. L'inizio del 2001 non sembra essere da meno. E il fenomeno
riguarda anche l'Italia.
Un gruppo che si fa chiamare "Prime suspectz",
responsabile tra l'altro dell'attacco a un sito del Nasdaq con la
conseguente inagibilità per ben tre giorni, ha firmato il crack di
Alcatel.it e quello della divisione italiana di AT&T. L'8
dicembre compare, per la prima volta, il nome di Theli, un hacker
che rivendica l'azione contro www.bancagenerali.it. Il sito è
rimasto inaccessibile per due giorni. A inizio di gennaio 2001 sono
decine i siti italiani buttati giù da Theli (cheese.it, solution.it,
obim.com, vieste.com, metalife.it, nores.it, tele-net.it, cucchi.it,
edinfo.it, graphos.it, cyberstudio.it, davis.it, drol.it,
fanzine.net, genius.it, legali.it, cristalauto.com, argonauti.it,
fait.it, golden-bridge.com, mercafir.it, alexphil.com, lemirage.it
ed altri).
Ancora: il 23 gennaio, l'attacco, da parte di un gruppo che si fa
chiamare Crime boys, al sito di Radio vaticana, proprio poco dopo
che il Papa aveva finito il suo discorso sull'utilità di Internet
come strumento di evangelizzazione
Il 25 gennaio 2001 il sito della Microsoft viene reso
inaccessibile a milioni di utenti.
Ma chi sono gli hacker?
Goliardiaci, eroi della rivoluzione informatica, pirati,
criminali telematici? Per governi e grandi software house, i pirati
sono solo una variante tecnologica dei delinquenti comuni. Ma per
buona parte del popolo dei programmatori, dei ricercatori, degli
internauti, sono al contrario gli interpreti dello spirito autentico
della telematica.
Partiti dal Mit negli anni '50 , divengono un fenomeno culturale
negli anni '70. Per anni sono stati una leggenda: schiere di
ricercatori e ragazzi accomunati dalla passione per l'informatica e
per la Rete. Ne conoscono i segreti, ne svelano le cosiddette falle,
condividono conoscenze e progressi perfezionando a più mani
sofisticati programmi di sistema. Quasi una filosofia di vita.
Oggi sappiamo che spesso sono gli stessi hacker a scovare i
cosiddetti "bachi" e a trovarne i rimedi. Le aziende lo
sanno, e cominciano ad assumerli per potenziare i loro sistemi di
sicurezza. Anche perché sono le stesse aziende a correre i rischi
maggiori, soprattutto quelle che fanno e-commerce e che devono
tenere nota di tutte le transazioni avvenute, registrare i dati
dell'acquirente e anche le forme di pagamento, con relativo numero
di carta di credito. E' un patrimonio di dati bancari preziosissimo.
E proprio la sicurezza delle carte di credito è uno dei motivi per
cui, da noi, il commercio elettronico stenta a decollare. Il 70%
degli italiani teme infatti che il proprio numero di carta possa
essere "catturato" e utilizzato da qualcun altro.
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