I laboratori degli hacker sociali
di Marta Mandò e Eleonora Giordani
Firenze
1998, Milano
1999, Roma
2000. Non sono campionati di calcio ma le date degli ultimi tre
Hackmeeting italiani, l'appuntamento degli hacker sociali, i
portavoce ribelli di una cultura tecnologica ma libertaria. Esperti
d'informatica ma dall'occhio critico, coscienti dell'influenza delle
nuove tecnologie per il mondo del lavoro, della politica, della
società nel suo complesso. Non amano Windows, simbolo della
globalizzazione, preferiscono i sistemi operativi "open source"
e mettono la loro competenza al servizio della comunità. Come
quando l'anno scorso a Berlino alcuni moderni Robin Hood hanno
"smanettato" in Rete assegnando alloggi di proprietà del
comune ai senza tetto.
In Italia questi pirati antagonisti si riuniscono negli Hacklab,
laboratori che sono il crocevia delle culture digitali più avanzate
della penisola, dove si discutono e si sperimentano le potenzialità
del web. Sono le fucine di un movimento molto eterogeneo fatto di
studenti, rappresentanti dei centri sociali, del volontariato,
obiettori di coscienza, hacker underground un po' eremiti del modem,
un po' videogiocatori cyberpunk, ossessionati dall'idea di
utilizzare mezzi informatici liberi e inventati. Sono i
rappresentanti di "Isole
nella rete" punto di riferimento di gruppi, centri sociali,
associazioni, che si riconoscono in parte nell'European
counter network una rete di scambio di "contro
informazione" a livello europeo.
"L'attività degli italiani non è propriamente hacking nel
senso americano, cioè penetrazione nei sistemi di sicurezza. Si
tratta piuttosto di un'azione sociale di formazione diffusa, per la
conoscenza del software libero e per la creazione di circuiti
d'informazione indipendente" spiega Franco " Bifo"
Berardi, esperto dei meccanismi del web. "Le uniche mosse
visibili in Rete sono i Netstrike, ovvero l'intasamento dei server
delle multinazionali o delle istituzioni che si intendono colpire.
Questo è dovuto anche ad un ritardo tecnico rispetto agli Stati
Uniti. Per esempio durante l'ultimo Hackmeeting, quello di Roma, si
è parlato soprattutto di Indymedia, il network d'informazione
autonoma che ha ora anche un centro italiano".
Dopo l'incontro del '99, gli hacklab sono spuntati come funghi in
tutta la penisola. Quasi tutti si trovano negli spazi dei centri
sociali ed alcuni sono minacciati di sgombero, come quello di Firenze,
che aveva ospitato il primo meeting. Dallo scorso mese di febbraio
il quotidiano "il manifesto" ha dedicato delle puntate
speciali a questi laboratori, intervistandone i protagonisti. Ecco
per esempio come Blicero, uno "storico" pirata italiano
del Loa
Hacklab di Milano , ha definito la concretizzazione dell'etica
hacker: "La passione che dedichiamo a tutto ciò che può
insegnarci qualcosa sul mondo, l'idea di condividere i saperi per
migliorare la vita di tutti, il rispetto delle competenze e
l'intolleranza verso ogni forma di autoritarismo e gerarchia, sono
tutti elementi presenti nelle cose che facciamo. Ad esempio i corsi
e seminari sono di alto livello tecnico ma fatti all'insegna del
desiderio di condividere ciò che è già patrimonio del gruppo con
quanti sono interessati".
Più che sui sabotaggi dunque gli hacker di casa nostra sembrano
piuttosto concentrati sullo sviluppo di una visione diversa e
critica della tecnologia: non più pensata per pochi
"sacerdoti", ma comprensibile, smontabile e ricomponibile
per adattarla a fini individuali e collettivi. Ecco allora che nei
centri si resuscitano vecchi computer, si costruiscono reti, si fa
arte digitale, grafica, giochi, si costruiscono robot e si tengono
seminari e corsi di Unix e Linux .
Gli hacker italiani, gli hacker sociali, hanno individuato dei
"percorsi di lotta" propri. Primo passo software libero e
gratuito per sottrarsi al potere del business, convinti invece che
le tecnologie informatiche possano diventare un'opportunità di
occupazione e di organizzazione nuova della produzione, del lavoro,
del mondo dell'aggregazione sociale.
Prossimo appuntamento, Catania
2001.
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