Nuove generazioni verso il lavoro-avventura
Il mondo del lavoro è in rapida evoluzione e
anche in Italia i giovani si adeguano alle richieste di
flessibilità. Ma il precariato è veramente positivo? L'analisi di
Giuseppe Roma, direttore del Censis.
Secondo l'ultimo rapporto del Censis i giovani vanno più
verso il lavoro-avventura e si allontanano dal lavoro-rifugio. E'
vero questo, e cosa significa?
E' vero, è un grande cambiamento nel senso che oggi le opportunità
sono legate alla capacità individuale di cercare lavoro, di avere
professionalità e di venderla sul mercato. I giovani in questo sono
più bravi delle generazioni di mezzo, e tutto questo è legato
all'economia che cambia, non solo la nuova economia delle
tecnologie, ma anche nuove forme di lavoro che siano più a contatto
con il mercato, con il consumatore, con bisogni di qualità, con la
formazione, con la ristorazione, cioè mille nuovi settori. Il punto
è che cercarlo in una grande organizzazione è sempre più
difficile, e cercarlo per tutta la vita è impossibile: Quindi,
questa nuova generazione di trentenni, quella che oggi si sta
affacciando al lavoro, cavalca l'onda, è una generazione abbiamo
detto di infedeli, perché non ha più modelli a cui riferirsi, non
più quello dei genitori, il posto fisso o la carriera, ma un
contesto molto innovativo in cui cogliere il momento è la cosa più
importante.
Si tratta di un cambiamento radicale, destinato a durare, o è
solo figlio di un particolare momento storico in cui ci troviamo?
Io credo che sia continuativa nel tempo. Vediamo che in Italia si
sono create delle nuove occasioni di lavoro solo quando il lavoro è
stato un po' più precario: lo hanno reso possibile delle nuove
normative, lo ha reso possibile una nuova economia. Il lavoro non
standard, quello non regolato dal sindacato, non gerarchico ma che
prevede una forte capacità individuale in Italia è ancora all'11%,
molto basso rispetto al "contingent work" che negli Stati
Uniti raggiunge il 30%. Naturalmente non siamo felici di questa
realtà, vorremmo tutti più stabilità. La realtà è che
l'incertezza del futuro sarà sempre rilevante nel prossimo
quinquennio, e questo produrrà precarietà nei posti di lavoro.
Cosa c'è di positivo in questa precarietà?
Di positivo c'è una dimensione soggettiva che è quella della
responsabilità e dell'autonomia. Noi parliamo di flessibilità e
pensiamo sempre ai licenziamenti. Non è così. Le aziende di punta
pensano la flessibilità in termini di lavoro di gruppo, di
coinvolgimento di tutti i dipendenti in un progetto comune, in
sostanza di aumentare il valore dell'azienda. Le aziende devono
investire molto nell'innovazione e per questo devono tenere bassi i
costi del lavoro, ma in realtà la chiave più importante è
valorizzare al massimo tutte le competenze, guadagnare di più.
Anche qui sta la scommessa dell'Italia perché non ci sia un lavoro
precario, ma ci sia una forte mobilità del lavoro, per cui fare
più lavori sarà possibile.
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