Mercoledi' 14 febbraio 2001
Revisione testi a cura della redazione internet di MediaMente

I "New Workers"

Nuove generazioni verso il lavoro-avventura

Il mito infranto del posto fisso

Gallino: "Crediti professionali per i lavoratori nomadi"

Cresce negli Usa la voglia di sindacato

Contratti di lavoro per i call center

L'Università si rinnova

Collocamento online


Gallino: "Crediti professionali per i lavoratori nomadi"

Il sociologo Luciano Gallino parla di come cambia il lavoro con la new economy e pone il problema di una 'flessibilità sostenibile'.

di Marta Mandò e Laura Massacra

Siamo entrati nell'epoca dei 'new workers', nuove figure professionali nell'ambito della new economy. L'avvento di tali figure porta con sé il pericolo di contratti a rischio?

Se si tratta di contratti regolari essi rientrano comunque nella variegata tipologia dei contratti atipici che sono assolutamente contemplati e ben definiti dal punto di vista giuridico. Nel caso di lavori part time o lavori interinali io non vedo differenze sostanziali con i rapporti di lavoro che hanno per oggetto altri tipi di attività lavorativa. Possiamo però aggiungere che il lavoro nel Web si presta a contratti di lavoro non registrati, lavori che in qualche misura tendono ad essere irregolari. In questo senso, allora, si esce dalla tipologia dei contratti atipici e si entra nella vasta tipologia dei contratti ad hoc. Sempre più spesso si parla di flessibilità nei di lavoro, soprattutto nella new economy.

Secondo lei quali sono i pro ed i contro della flessibilità?

La flessibilità, per chi abbia una buona qualificazione - come spesso hanno coloro che lavorano nell'ambito della new economy - permette di fare nuove esperienze, di incontrare nuove sfide, di avere nuove opportunità di crescita professionale. D'altro canto la discontinuità del lavoro in qualche modo si paga in termini di ansia per l'avvenire e per il proprio futuro lavorativo. Dal punto di vista delle aziende si ha invece il vantaggio di poter utilizzare per una settimana o un mese delle figure professionali che non avrebbe senso e non sarebbe utile occupare a tempo indeterminato. La flessibilità, invero, racchiude in sé anche una connotazione di precarietà.

Come pensa che si possa tutelare il giovane lavoratore di fronte a questo tipo di precarietà chela nuova modalità di lavoro della new economy necessariamente implica?

Questo problema è da includersi come momento teorico particolare di un riflessione più generale che va sotto l'etichetta di 'flessibilità sostenibile'. Intanto bisogna tenere conto del fatto che non tutta la flessibilità è ineluttabile. Le imprese spingono su questo pedale ma in molti casi non è detto che la flessibilità sia l'unico modo per lavorare, per produrre. Nei campi dove, invece, la flessibilità diventa una condizione inevitabile, occorre pensare agli interventi di cui abbiamo parlato prima. Bisogna far sì che gli spezzoni di lavoro possano essere cuciti fra loro in una carriera professionale che abbia una sua identità, una sua continuità pure nella discontinuità. Bisogna certificare le esperienze acquisite di modo che, di lavoro in lavoro, anche se si cambia azienda e si va in posti lontani, si abbia con sé una scheda che certifichi le esperienze compiute. Bisognerà ragionare sui 'new workers' un po' come si ragiona sui 'new student' se posso concedermi un neologismo. Adesso nelle università sono arrivati i crediti formativi e penso che in futuro si dovrà ragionare in termini di crediti professionali. In questo modo i crediti man mano si accumulano per poter ottenere una certa qualifica professionale.

Secondo lei quale potrebbe essere il ruolo dei sindacati nell'era della new economy?

I sindacati potrebbero e dovrebbero svolgere un ruolo nuovo ed originale, ritornando in un certo senso alle origini delle loro mansioni, a quando cioè si occupavano di mutua assistenza e di mutua solidarietà. I sindacati dovranno svolgere un ruolo di aiuto e di supporto per far sì che ai lavori discontinui sia comunque conferita una certa continuità, in termini di continuità professionale, continuità di carriera, continuità di qualificazione. In questo modo il lavoratore discontinuo, il cosiddetto lavoratore 'nomade' non sarà abbandonato a se stesso ogni volta che migra da un lavoro all'altro. Tale dovrebbe essere, appunto, il supporto dei sindacati di nuova concezione.

Nell'ambito della globalizzazione ritiene che ci sia una riduzione o un effettivo aumento delle opportunità di lavoro?

Per molte persone la globalizzazione e le nuove tecnologie portano ad un incremento delle opportunità di lavoro, anche perché i lavori si vanno differenziando. Si aprono nuove nicchie di mercato, si definiscono nuove figure professionali e l'insieme dei lavori risulta molto più variato. Di conseguenza le prospettive di lavoro sono più numerose. Indubbiamente esiste un problema relativo a coloro che rischiano di rimanere esclusi da lavori connessi alle nuove tecnologie. Riferendosi alle nuove tecnologie, infatti, non si intendono solo lavori con il camicie bianco o con il computer perché le nuove tecnologie producono attorno a sé molti lavori a bassa tecnologia. Questo, per persone che hanno un titolo di studio basso è indubbiamente un vantaggio perché possono trovare una occupazione in dimensioni lavorative di tipo collaterale. Ciononostante il rischio di emarginazione rimane. Persino in sede di G8 si è parlato di frattura digitale che attraversa tutte le società e che, nel prossimo futuro, dovrà essere oggetto di grande attenzione perché comporterà una nuova divisione tra alfabeti ed analfabeti, persone in grado di controllare il proprio destino professionale ed altre che rimangono del tutto passive, possono soltanto subire ciò che succede.

Un'anticipazione sulla sua relazione per il convegno organizzato dal Ministero del lavoro, dal titolo :" Il lavoro che sarà?"

Nella relazione propongo di intendere i vari agenti che intervengono nel generare gli accessi del lavoro come un grande e complesso sistema da considerare in modo relativamente unitario. Successivamente delineo il profilo di questi agenti. Noto, infatti, che gli agenti e gli operatori formalmente preposti alle attività che permettono di accedere al mercato del lavoro, a cominciare dai servizi per l'impiego, oggi come oggi producono una piccola minoranza degli avviamenti al lavoro. Infine suggerisco una serie di interventi per migliorare i canali formali di accesso al lavoro: ridurre la parte dei canali informali, che oggi supera l'ottanta per cento, e che consiste nelle reti di rapporto sociale come famiglie, parentele, amicizie. Occorre, invece, rendere questo sistema molto più formale, più sistematico, bisogna concepire la scuola e l'università come una parte integrante del sistema degli accessi al mondo del lavoro. Per esempio, la decisione di imboccare una certa strada scolastica o universitaria, che è una decisione lavorativa importantissima, è una scelta che in moltissimi casi viene presa praticamente alla cieca dinanzi a quelle che sono le reali esigenze poste dalla realtà del mondo del lavoro.