I "New Workers"
Nuovi lavori per una nuova economia
Community
manager, ethical hacker, content engineer. Sono soltanto alcuni dei
nomi dei nuovi professionisti di Internet. Ma chi sono? Il community
manager è chi tiene le fila di una comunità virtuale, in modo da
far guadagnare il sito che la ospita, l'hacker "etico" è
pagato per infiltrarsi nella rete della sua azienda e verificarne la
sicurezza, il content engineer è invece un nuovo professionista
dell'informazione, lontano parente del giornalista e dotato di
solide conoscenze tecnologiche. Accanto a programmatori e webmaster
sono queste le figure più richieste nella new economy. Secondo una
ricerca dell'ufficio americano Bureau of Labor Statistics, gli
informatici e le professioni collegate sono in testa alla classifica
dei nuovi lavori più richiesti nel terzo millennio.
Ma è sempre più difficile trovare queste nuove figure
professionali. Si calcola che in Europa un milione settecentomila
posti di lavoro per professionisti dell'information technology
resteranno vacanti entro il 2003. Una situazione che causerà un
calo di produttività superiore ai cento miliardi di euro all'anno.
In Italia, il quadro non è molto diverso. Nel 1999 mancavano 69mila
professionisti informatici pari a una riduzione del prodotto interno
lordo di 7600 miliardi. E, le previsioni per quest'anno, secondo una
recente ricerca realizzata da NetConsulting per Microsoft, parlano
già di 17mila miliardi di ricchezza non prodotta.
Il paradosso però è in agguato: all'euforia per le professioni
digitali non sembra corrispondere un andamento altrettanto brillante
della new economy, che è sempre più insistentemente in odore di
crisi. Come inquadrare e pagare queste migliaia di potenziali futuri
dipendenti? Ecco allora nuove modalità di svolgimento del lavoro,
nuovi contratti, che spesso includono l'offerta di diventare
azionisti dell'azienda che assume e non più solo dipendenti.
Prospettive che sembrano non dispiacere ai giovani. Il rapporto
Censis sulla società italiana nel 2000 parla di una tendenza al
"lavoro-avventura" che starebbe rapidamente soppiantando
la tradizionale ricerca di un "lavoro-rifugio": non più
certezze e garanzie, ma l'accettazione di una sfida alle proprie
capacità. Si affermano infatti contratti sempre più flessibili per
figure professionali del tutto inedite, spesso scarseggianti o
addirittura pressoché irreperibili su un mercato del lavoro ancora
piuttosto tradizionalista in Paesi come il nostro (ma è recente
anche l'appello da nazioni quali la Germania o l'Austria, che aprono
le porte a "immigrati hi-tech", ad esempio dall'India,
Paese emergente nello scenario della new economy.
Ai nuovi modi di assumere corrispondono tuttavia anche nuovi modi
di licenziare. Il sociologo Luciano Gallino, in una recente intervista
al nostro sito, mette in guardia dai rischi di una flessibilità
selvaggia: "Non tutta la flessibilità è ineluttabile. Le
imprese spingono su questo pedale ma in molti casi non è detto che
la flessibilità sia l'unico modo per lavorare, per produrre."
Insomma, se da una parte la nuova economia va alla disperata
caccia di new workers, dall'altra licenzia a man bassa. E pare che
quando si tratta di congedare i dipendenti, la new economy segua
procedimenti del tutto simili a quelli della old. Anzi, molto spesso
si fa anche meno scrupoli, vista l'anomalia di molti contratti e la
scarsa o nulla tutela sindacale accettata dagli stessi lavoratori.
In America si è attivato da poche settimane il fronte sindacale.
Tornano in campo le Trade Unions, tradizionalmente molto combattive
oltreoceano, che erano state sempre tagliate fuori da aziende
freneticamente impegnate a investire e assumere precariamente. I
sindacati che non trovavano ascolto nei nuovi lavoratori
"zittiti" dalla promessa di partecipazione agli utili, poi
non onorata, ora vengono invocati dai dipendenti di alcune aziende
famose. Tra i dipendenti di Amazon, dove le voci di tagli di
personale si sono fatte più insistenti, dilagano le richieste di
tutela sindacale. E già si parla di clamorosi scioperi.
C'è una lezione che emerge da tutto questo panorama? Forse
quella che nuova economia e nuovi lavori vanno osservati non più
come la rivoluzione che improvvisamente travolge tutti i modelli
precedenti, ma come un fenomeno assai mutevole che segnala una linea
di tendenza planetaria, progressiva e capillare: il passaggio dal
posto fisso al "lavoro-avventura" ne è un esempio
abbastanza significativo. I primi, clamorosi fallimenti nella new
economy, i primi grandi ridimensionamenti nelle file dei new worker
hanno fatto piazza pulita dell'euforia un po' malsana degli inizi,
per far spazio a una situazione più realistica. Se con una mano
l'economia digitale già comincia a ristrutturare e licenziare come
fosse un settore produttivo maturo, dall'altra cerca disperatamente
nuovi addetti e soprattutto nuove idee. Luci e ombre, tendenze
espansive e selettive, come in ogni settore dell'economia e della
produzione. Non più allora l'Eldorado, ma quello che Mediamente va
descrivendo puntata dopo puntata: un nuovo ambiente, una nuova
"casa" di creatività, di lavoro, di vita, che giorno dopo
giorno si modifica e propone nuovi modelli culturali e anche
psicologici. La storia non fa salti, nemmeno quella del mondo
digitale.
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