L'Università si rinnova
Finiti gli studi, pesano sui giovani le
incognite sulle regole dei new workers
di
Umberto Contasta
Da webmaster a esperto in tecnologie multimediali, sembra che in
Italia alla richiesta di figure professionali per la new economy non
si riesca proprio a far fronte. Imprese ed aziende vogliono tutte
avere il loro sito e il mercato del lavoro chiede ogni anno in
questo settore migliaia di cosiddetti "new workers". Ma
l'università riesce a formare in modo adeguato figure per le
esigenze del mercato della new economy?
Dal Politecnico di Milano ci arriva qualche indicazione positiva
pur tra incertezze e ritardi. "La riforma Zecchino ha istituito
i corsi triennali e ci ha costretti a un completo ripensamento dei
contenuti culturali. A questo punto noi offriamo agli studenti, fin
da quest'anno, dei corsi che dopo due anni e mezzo li portano a fare
dei tirocini in aziende, e dopo tre anni li portano nel mondo del
lavoro". A parlare è Nicola Schiavoni, preside della V
Facoltà di Ingegneria, Informatica, Elettronica.
Gli studenti dal canto loro non si tirano indietro. Al
Politecnico esiste un'associazione di laureati che raccoglie
informazioni riguardo agli ex studenti, quindi neolaureati, in modo
tale da trasmettere il loro curriculum alle aziende e permettere a
queste ultime di effettuare delle offerte di lavoro. E la
collaborazione con le imprese inizia già durante il corso di studi:
"abbiamo in questo momento un contatto in America, alla Cysco,
dove ci sono due miei colleghi che stanno mostrando la nostra
tecnologia e stanno facendo delle applicazioni pilota che saranno
valutate dalla Cysco" afferma uno studente in
telecomunicazioni. Non mancano però le voci discordanti, che
lamentano ancora una prevalenza dell'insegnamento teorico
sull'esperienza pratica.
E' consapevole dei problemi Giampio Bracchi, Prorettore del
Politecnico Milano: "Fino a poco tempo si pensava che qualsiasi
forma di servizio in Rete fosse redditizia. Ora, a distanza di due
anni da quando è partito tutto questo, prima negli Usa, poi a
Londra, ora anche a Milano, ci si rende conto che effettivamente
c'è uno sviluppo molto importante nel settore, che cresce del 100
per cento all'anno, però il mercato sta diventando selettivo".
Un'altra difficoltà è quella di riuscire a produrre laureati che
possano inserirsi nelle imprese hi-tech, che in Italia lamentano una
carenza di circa 30 mila persone. "Un tempo, prosegue Bracchi,
si risolveva il problema della esigenza formativa in posti come
Milano, Torino, Bologna, con l'immigrazione interna dal mezzogiorno.
Oggi quest'immigrazione nel campo delle persone specializzate non
c'è più, e questo perché il lavoro oggi va dove sono le persone,
e non viceversa. Allora, sia aziende italiane di servizi, sia
aziende internazionali come la Nokia, l'Intel, stanno portando i
loro centri di sviluppo in paesi dove c'è il lavoro. In Italia
nelle zone del Mezzogiorno, a Napoli, a Catania, a Bari, in altri
paesi in India, in certe zone della Cina e così via".
Nel nostro paese i laureati tecnici non sono particolarmente
premiati dal punto di vista della carriera aziendale e dal punto di
vista retributivo: i laureati molto qualificati in California
guadagnano tre volte quello che riescono a guadagnare in Italia e
anche in Germania guadagnano il doppio. Questo vuol dire che anche
le nostre aziende devono riuscire a remunerare, se hanno un reale
interesse a mantenere delle competenze tecniche qualificate, chi
detiene questo tipo di competenze. Per fare fronte alla carenza di
figure professionali qualificate nel campo dell'informatica e delle
telecomunicazioni, i paesi dell'Est europeo come anche Germania e
Stati Uniti, stanno adottando programmi speciali di immigrazione.
Accadrà anche da noi?
|