Mercoledi' 14 febbraio 2001
Revisione testi a cura della redazione internet di MediaMente

I "New Workers"

Nuove generazioni verso il lavoro-avventura

Il mito infranto del posto fisso

Gallino: "Crediti professionali per i lavoratori nomadi"

Cresce negli Usa la voglia di sindacato

Contratti di lavoro per i call center

L'Università si rinnova

Collocamento online


L'Università si rinnova

Finiti gli studi, pesano sui giovani le incognite sulle regole dei new workers

di Umberto Contasta

Da webmaster a esperto in tecnologie multimediali, sembra che in Italia alla richiesta di figure professionali per la new economy non si riesca proprio a far fronte. Imprese ed aziende vogliono tutte avere il loro sito e il mercato del lavoro chiede ogni anno in questo settore migliaia di cosiddetti "new workers". Ma l'università riesce a formare in modo adeguato figure per le esigenze del mercato della new economy?

Dal Politecnico di Milano ci arriva qualche indicazione positiva pur tra incertezze e ritardi. "La riforma Zecchino ha istituito i corsi triennali e ci ha costretti a un completo ripensamento dei contenuti culturali. A questo punto noi offriamo agli studenti, fin da quest'anno, dei corsi che dopo due anni e mezzo li portano a fare dei tirocini in aziende, e dopo tre anni li portano nel mondo del lavoro". A parlare è Nicola Schiavoni, preside della V Facoltà di Ingegneria, Informatica, Elettronica.

Gli studenti dal canto loro non si tirano indietro. Al Politecnico esiste un'associazione di laureati che raccoglie informazioni riguardo agli ex studenti, quindi neolaureati, in modo tale da trasmettere il loro curriculum alle aziende e permettere a queste ultime di effettuare delle offerte di lavoro. E la collaborazione con le imprese inizia già durante il corso di studi: "abbiamo in questo momento un contatto in America, alla Cysco, dove ci sono due miei colleghi che stanno mostrando la nostra tecnologia e stanno facendo delle applicazioni pilota che saranno valutate dalla Cysco" afferma uno studente in telecomunicazioni. Non mancano però le voci discordanti, che lamentano ancora una prevalenza dell'insegnamento teorico sull'esperienza pratica.

E' consapevole dei problemi Giampio Bracchi, Prorettore del Politecnico Milano: "Fino a poco tempo si pensava che qualsiasi forma di servizio in Rete fosse redditizia. Ora, a distanza di due anni da quando è partito tutto questo, prima negli Usa, poi a Londra, ora anche a Milano, ci si rende conto che effettivamente c'è uno sviluppo molto importante nel settore, che cresce del 100 per cento all'anno, però il mercato sta diventando selettivo". Un'altra difficoltà è quella di riuscire a produrre laureati che possano inserirsi nelle imprese hi-tech, che in Italia lamentano una carenza di circa 30 mila persone. "Un tempo, prosegue Bracchi, si risolveva il problema della esigenza formativa in posti come Milano, Torino, Bologna, con l'immigrazione interna dal mezzogiorno. Oggi quest'immigrazione nel campo delle persone specializzate non c'è più, e questo perché il lavoro oggi va dove sono le persone, e non viceversa. Allora, sia aziende italiane di servizi, sia aziende internazionali come la Nokia, l'Intel, stanno portando i loro centri di sviluppo in paesi dove c'è il lavoro. In Italia nelle zone del Mezzogiorno, a Napoli, a Catania, a Bari, in altri paesi in India, in certe zone della Cina e così via".

Nel nostro paese i laureati tecnici non sono particolarmente premiati dal punto di vista della carriera aziendale e dal punto di vista retributivo: i laureati molto qualificati in California guadagnano tre volte quello che riescono a guadagnare in Italia e anche in Germania guadagnano il doppio. Questo vuol dire che anche le nostre aziende devono riuscire a remunerare, se hanno un reale interesse a mantenere delle competenze tecniche qualificate, chi detiene questo tipo di competenze. Per fare fronte alla carenza di figure professionali qualificate nel campo dell'informatica e delle telecomunicazioni, i paesi dell'Est europeo come anche Germania e Stati Uniti, stanno adottando programmi speciali di immigrazione. Accadrà anche da noi?