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Il pessimismo dell'economia, l'ottimismo della tecnologia



Due voci sul digital divide: quella dell'economista dello sviluppo Elisabetta Basile e quella del dirigente di StMicroeletctronics Carlo Ottaviani

"Il divario tecnologico tra nord e sud del mondo non è colmabile, come non è colmabile il divario economico" - dice l'economista dello sviluppo. "Il divario nel mondo può aumentare come può essere ridotto, le tecnologie digitali possono escludere ma anche essere un elemento di riscatto" - dice il rappresentante della multinazionale. Queste due posizioni, espresse nel corso del convegno sul digital divide "Tutti in rete", organizzato dall'associazione non governativa Alisei, che sta per pubblicarne gli atti - nell'ambito di un più ampio progetto che comprende varie iniziative, tra le quali la realizzazione di una banca dati telematica e una serie di attività formative - testimoniano, nella loro diversità, quanto il problema del digital divide sia, sempre di più, grave e complesso.

L'economista, Elisabetta Basile, docente dell'Università di Roma "La Sapienza", svolge un'analisi spietata del fenomeno. "La storia del capitalismo" - spiega - "è una storia di progresso tecnico e le innovazioni, se da un lato ampliano l'accesso alla disponibilità di beni, dall'altro creano vincitori e vinti". "Le innovazioni digitali sono tali da produrre un cambiamento epocale perché modificano i modi di produzione, l'organizzazione della società, gli stili di vita, quindi si può parlare di una vera e propria rivoluzione" - prosegue - "La rivoluzione informatica non è né migliore né peggiore delle altre. Anche la rivoluzione industriale inglese ha fatto delle vittime: contadini, artigiani, produttori delle colonie. L'unico elemento in cui l'attuale rivoluzione si distinguerà dal passato è nella dimensione dei vinti".

Il dirigente, Carlo Ottaviani, esponente di una delle principali industrie di chip, StMicroelectronics - 40mila dipendenti in tutto il mondo e vari stabilimenti aperti in paesi in via di sviluppo - comunica invece parole di fiducia. "L'attenzione a questi problemi non è mai stata così alta" - afferma, portando la testimonianza dell'esperienza di impegno sociale della sua azienda che, oltre a investire una percentuale del fatturato in formazione, è coinvolta nell'attività della task force dell'Onu per lo sviluppo dell'Ict. Questo gruppo di lavoro, istituito dal segretario generale Kofi Annan con mandato triennale, comprende, per la prima volta nel caso di un'agenzia delle Nazioni Unite, sia esponenti di governi e di organismi internazionali, sia di industrie del settore. Otto dei 36 membri della task force sono, infatti, amministratori delegati di grandi imprese (come Cisco, Hp, Intel) chiamate a contribuire con idee e mezzi a progetti di sviluppo.

"Ben vengano i progetti per ridurre il divario digitale" - avverte Basile - "ma lo sviluppo economico è un'altra cosa". L'economista prevede che "il divario tenderà ad allargarsi e che i paesi poveri si troveranno in una condizione di subalternità ancora più forte di quella creata dal colonialismo". Quanto alla possibilità di invertire questa tendenza, a suo parere c'è poco da aspettarsi, perché "il sud del mondo è prigioniero di una trappola fatale: le tecnologie informatiche, infatti, non possono essere considerate una priorità di intervento sociale". Inoltre, "se anche i paesi avanzati si fermassero ora, ci vorrebbero decenni ed enormi investimenti pubblici per risollevare i paesi poveri".
Ottaviani ammette che il fenomeno del digital divide ha proporzioni enormi ed evidenzia che alla base del divario nell'accesso alla rete ce n'è uno ancora più radicale tra chi dispone di linee telefoniche e chi no. Sottolinea, inoltre, che esistono forti squilibri anche all'interno delle aree più evolute, come conferma anche l'osservazione diretta di alcune delle città occidentali in cui St ha delle sedi. Tuttavia, aggiunge che è possibile fare qualcosa per migliorare concretamente le condizioni di chi vive in aree depresse e che anche l'industria, senza rinunciare ai profitti, è in grado di fare la sua parte, soprattutto perché oggi è cresciuto l'interesse per questo problema.

"La storia ci dimostra che non possiamo essere tecno-ottimisti" - conclude la studiosa. All'ottimismo e alla volontà di agire, invece, non rinuncia l'uomo dell'industria. Temiamo che abbia ragione lei, speriamo che abbia ragione lui.