La società dei no-global
Parla Christophe Aguiton, ex sindacalista e rappresentante di Attac
I sostenitori della globalizzazione neo-liberista ritengono che
questa porta dei vantaggi anche ai paesi del Terzo mondo. Lei cosa
ne pensa?
Ai paesi poveri piacerebbe molto avere un vantaggio da questa globalizzazione,
perché la ricchezza è cresciuta in maniera considerevole del 3 per
cento, ma la ripartizione è stata diseguale. Nel Sud soltanto alcuni
paesi, come la Corea e Singapore, ne hanno approfittato in certa
misura, per quanto anche qui esistono delle diseguaglianze. Anche
nei paesi del Nord del mondo, inoltre, solo qualche grande capitalista
è proprietario dei mezzi di produzione e si è arricchito. In realtà
è molto alto il numero di paesi che vivono in situazioni drammatiche,
come l'Africa, l'America Latina e i Paesi asiatici: lì c'è qualcosa
che non va e questa mondializzazione ha creato diseguaglianze nei
nostri paesi, come in tutti i paesi del mondo.
Lei ha scritto il libro "Il mondo ci appartiene. I nuovi movimenti
sociali". Come si compone il "popolo di Seattle"?
Innanzitutto è un movimento giovane: come negli anni '60, si tratta
di una grande rivolta studentesca. Ma non ci sono solo i giovani;
questa è la grande differenza con il '68: ci sono i sindacati di
tutto il mondo, ci sono i contadini, Josè Bovè, il movimento dei
senza terra del Brasile e c'è un'alleanza tra questi movimenti diversi
e delle Ong che è del tutto nuova.
Quale tipo di società e quali regole economiche propone il movimento
no-global?
Non abbiamo una formula magica, una ricetta che permetterà di risolvere
tutti i problemi, ma delle rivendicazioni. Rifiutiamo quello che
in Francia chiamiamo "i licenziamenti borsistici" : per esempio,
abbiamo visto nel nostro paese un'impresa come la Danone licenziare
gli operai, non perché fosse in crisi, ma perché, per quanto continuasse
a guadagnare, il guadagno non era abbastanza rispetto alle esigenze
del mercato finanziario. Noi ci battiamo contro i licenziamenti
quando le imprese guadagnano, contro gli organismi geneticamente
modificati, per l'annullamento del debito dei paesi del Terzo mondo,
per la fine dei piani del Fondo monetario internazionale. Sono queste
le rivendicazioni che costituiscono per noi le prime tappe del cambiamento
mondiale.
Come definirebbe l'attuale globalizzazione?
La globalizzazione attuale è uno stadio particolare del capitalismo
industriale che esiste da più di 150 anni, ma che ha conosciuto
momenti differenti. Questo stadio particolare è segnato da una tappa
molto importante: sono i mercati finanziari che danno il ritmo e
decidono riguardo ai licenziamenti e ai criteri di produttività;
l'apertura dei mercati e la messa in concorrenza, inoltre, può rovinare
i piccoli contadini.
L'ordine del mondo definito da questa globalizzazione, ha in
sé i germi di una dissoluzione?
La violenza della mondializzazione è tale ed ha come ritorno un
tale shock e dei conflitti sociali talmente grandi, che si può dire
che produce reazioni e crisi i cui effetti sono dannosi per la stabilità
del pianeta e dei vari paesi che lo compongono.
È possibile un'altra globalizzazione?
Noi stiamo per costruirla: quelli che sono stati a Porto Alegre,
il popolo di Seattle e di Genova confluiscono in questa globalizzazione
"altra".
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