Il "ma" della new economy

Georgia Garritano

Ne L'infelicità del successo l'economista Robert Reich illustra i costi del nuovo sistema economico per la vita pubblica e privata

Chi vuole capire quali siano esattamente i principi della nuova economia e in cosa essa si distingua dal precedente modo di produzione può trovarne una precisa esposizione nel libro di Robert Reich L'infelicità del successo (Fazi editore). Di tali principi, dei quali pure tanto si parla, continua spesso a sfuggire il sistema di correlazioni che, invece, appare in questo saggio quanto mai chiaro. Il passaggio dalla "logica della produzione di massa" al "bazar globale" è già spiegato comprensibilmente nelle poche pagine dell'introduzione e nel primo capitolo. Tutto il volume ne approfondisce le cause e gli effetti (benèfici e collaterali) con termini accessibili, un gran numero di dati, esempi e aneddoti e, soprattutto, frequenti riepiloghi (i cosiddetti "ritornelli") che riescono a non far mai perdere al lettore il filo del discorso.

L'analisi procede evidenziando le cesure tra vecchio e nuovo capitalismo. Se l'economia di scala - le cui quattro regole erano la formazione di oligopoli, la regolamentazione di standard e prezzi, l'organizzazione del lavoro e la persuasione di massa - si basava sul circolo virtuoso produzione di massa-marketing di massa-consumo di massa-produzione di massa, il sistema emergente - grazie alle tecnologie digitali che ampliano le possibilità di scelta, annullano le distanze e permettono un maggior confronto tra le informazioni - non necessita di un mercato vasto e stabile per ogni articolo e va, invece, verso una progressiva personalizzazione dei prodotti e dei servizi dando luogo a un nuovo circolo virtuoso più scelta-più concorrenza-più opportunità-più scelta.
Se l'economia di scala era, dunque, "relativamente comoda", la nuova dinamica - che si può definire neoschumpeteriana dall'economista austriaco Joseph Schumpeter, autore di Teoria dello sviluppo economico (1912) che sosteneva che "un'economia sana non è mai in perfetto equilibrio: quest'ultimo, infatti, è continuamente spezzato dall'innovazione" - non consente pause: "Non potrete mai rilassarvi" - avverte Reich - "In fondo, occupate soltanto una bancarella in un gigantesco bazar mondiale".

"L'era della grande opportunità" si basa, dunque, sull'innovazione continua e su una competizione globale e perciò spietata. L'inedita durezza della concorrenza rende necessario tagliare i costi, trasformando il più possibile quelli fissi in variabili. Ciò riguarda, ovviamente, anche il costo del lavoro. Di qui la crisi dell'organizzazione finora sperimentata. Anche a questo proposito, Reich contrappone incisivamente vecchi e nuovi criteri: da una parte ci sono (c'erano) le "regole dell'impiego": "lavoro stabile con prevedibili aumenti salariali", "impegno limitato", "compressione salariale ed espansione del ceto medio". Dall'altra quelle del "post-impiego": "fine del lavoro stabile", "necessità d'impegno continuo", "crescente sperequazione". Vale a dire che se prima si era per lo più dipendenti di un'azienda, con orari fissi e in un ambiente separato da quello domestico, ora, "l'uomo organizzazione è una specie in via di estinzione".

Se le entrate sono imprevedibili, non altrettanto le uscite: per questo la gente lavora di più, per conciliare un reddito incerto con bollette fisse, per "mettere fieno in cascina". Inoltre, cosa ancora più importante, il lavoro non si limita allo svolgimento di una mansione: bisogna promuovere se stessi, il proprio "marchio personale": "Una volta" - sintetizza l'autore - "la cosa peggiore che si poteva dire di qualcuno è che si fosse venduto. Oggi la cosa peggiore è dirgli che non si sta vendendo". Sono questi i motivi dell'intrusione del lavoro nella vita privata, un'invadenza che ci costringe a subappaltare un numero crescente di attività familiari un tempo svolte personalmente.

L'economista coglie acutamente le tendenze di sviluppo di un mondo ancora in evoluzione. Del resto, come sottolinea più volte, il processo in atto è iniziato ormai da tempo: è dal principio degli anni Settanta che "l'economia ha cominciato a spostarsi in questa direzione". L'individuazione dei tratti distintivi di questo sistema produttivo è continuamente integrata dall'osservazione di come essi stiano dando forma a una nuova società. L'argomentazione, divulgativa ma rigorosa, impegnata ma concreta, mette pertanto il lettore di fronte a una realtà per la quale si riesce a provare alternamente entusiasmo e orrore. Se le possibilità di ascesa consentite dal nuovo corso sollecitano una certa eccitazione, il rischio di esclusione sociale genera timore e rifiuto. Il senso di repulsione raggiunge il culmine nel capitolo che descrive le conseguenze del nuovo sistema economico sulle comunità.
Il "meccanismo di raggruppamento" che si sta imponendo, diventando di giorno in giorno più cinicamente efficace, risponde al criterio del "massimo ritorno del proprio investimento" secondo il quale "non ha senso aderire a una comunità composta da persone più costose e più bisognose". Nella scelta di dove andare a vivere come in quella della scuola o dell'università da frequentare è in atto una "secessione dei vincenti" che ha effetti socialmente disgreganti: la proliferazione di quartieri segregati su base razziale, il fatto che i bambini poveri facciano gruppo esclusivamente coi loro simili, la concentrazione dei talenti e delle competenze. E ciò che più turba è che di questa frantumazione sociale siamo complici. Lo sgretolamento dello spirito comunitario è, infatti, il risultato di una somma di decisioni individuali di per sé fondate ma - ammonisce Reich - "ciò che è razionale per i singoli non è necessariamente razionale per la società nel suo complesso".

Conosciamo le convinzioni politiche dell'autore e le sue esperienze, soprattutto quella, che tanto scalpore suscitò, di lasciare l'incarico di ministro del Lavoro nel governo Clinton per dedicare più tempo alla famiglia. Eppure il docente che ha insegnato politica economica ad Harvard ed ora è professore alla Brandeis University in una delle più prestigiose facoltà di gestione della politica sociale degli Stati Uniti, nella sua analisi critica non omette né attenua nessuno dei vantaggi offerti dal nuovo mercato. Pagina dopo pagina, tuttavia, aggiunge stimolanti elementi di riflessione e chiede se sia davvero questo "il futuro del successo" (che è poi il titolo originale del libro, più neutro rispetto a quello, pur indovinato, della traduzione).
La sua risposta non è consolatoria, abbiamo tutti, come consumatori-investitori, una parte di responsabilità: più o meno "inconsapevolmente, voi e io premiamo questa direzione. quando scegliamo il prodotto o il servizio più economico". "Se la gente volesse vivere secondo differenti priorità e fosse incline ad accettare i sacrifici che queste differenti priorità comportano, probabilmente lo farebbe" - riconosce Reich. Tuttavia, "le scelte personali non avvengono in un vuoto sociale. Operiamo all'interno di un sistema di incentivi che rendono alcune scelte più facili e altre più difficili".

Reich pone, pertanto, la questione della necessità di una scelta pubblica, respingendo l'idea di un'economia globale fuori dal controllo di chiunque: "Il libero mercato non esiste in natura. è un artefatto umano", è una serie di scelte e decisioni tradotte in leggi e comportamenti. Del resto, alle soglie dell'industrializzazione si sono poste questioni analoghe e delle scelte sono state fatte: ad esempio, di non accettare il lavoro minorile, di tutelare i lavoratori, di assicurare una previdenza sociale, di strutturare una pubblica istruzione, di limitare le concentrazioni. Anche ora si pongono delle scelte e "le scelte si faranno, in un modo o nell'altro". Il punto è quali.
Egli suggerisce che più che difendere vecchie istanze ce ne sono di nuove a cui rispondere per trovare un equilibrio "tra dinamismo economico e pace sociale" e, senza la pretesa di proporre "un'agenda completa di riforme" (ma in realtà il suo è un programma considerevole), indica delle strade e degli strumenti: "proteggere i cittadini dagli scossoni economici improvvisi" (con assicurazioni sulle entrate, redditi minimi e indennità trasferibili); "ampliare la cerchia della prosperità"; "prestare assistenza attiva a chi più ne ha bisogno"; "invertire il meccanismo di raggruppamento".
"Anche se questo cammino non sarà finanziariamente agevole, un'economia dinamica può permettersene il costo" - conclude Reich. Vorrei, modestamente, aggiungere che deve.