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Hacker in carriera

Marta Mandò

Non è un problema di pirateria made in Italy, ma di sicurezza nei sistemi informatici

Il commento più interessante della notizia di ieri sull'individuazione di un gruppo di ragazzi hacker italiani è stato quello di un ufficiale della Guardia di Finanza che davanti alle telecamere del tg della sera ha detto "proveremo a portarli dalla nostra parte, arruoleremo volentieri questi giovanissimi pirati" per rinforzare, grazie alle loro competenze tecniche, le forze di chi tutela la sicurezza informatica. Il sorriso dell'ufficiale che si mescola alla confezione originale della notizia: "sei normali bravi ragazzi, ingegnosi e ben preparati" la dice lunga sul livello di gravità di questo atto di pirateria made in Italy. A riprova che gli hacker nostrani non sono criminali senza scrupoli: non fanno veri danni, non rubano né manomettono dati, né diffondono documenti riservati. Insomma non c'è frode, né terrorismo, né atti di puro vandalismo o di sabotaggio, questo potrebbe farci pensare che come spesso è accaduto, in un prossimo futuro potrebbero fare il salto della barricata ed essere assoldati per combattere gli hacker.

E' stato accertato che in poco più di due mesi il gruppetto conosciutosi on line - due minorenni, tra cui un quindicenne, mentre il più vecchio e' un 23enne - ha scorrazzato abilmente in Rete, rendendosi responsabile di migliaia di attacchi in 62 nazioni, firmandosi Hi-tech hate "odio per la tecnologia", che però non significa un odio tout court, ma anzi un amore smisurato per l'informatica. Per fare l'hacker anche a livello principianti, infatti, l'unico modo è rovinarsi gli occhi al computer e sostenere una sfida che ci renda protagonisti.
Come in questo caso che ha reso questi giovanissimi pirati responsabili di azioni dimostrative effettuate soprattutto in due ghiotte occasioni: il vertice di Goteborg e il G8 di Genova. Attacchi sufficienti a modificare le home page di molti siti con scritte noGlobal.

L'episodio è preoccupante non tanto per il danno piuttosto esiguo, vedi il sorriso della Guardia di Finanza, quanto perché spinge a chiedersi come mai si possa forzare un sistema informatico ed entrare con disinvoltura su un sito Internet. Probabilmente il mondo dei software è ancora sprovvisto di regole chiare che diano sicurezza agli utenti finali.

Non sono pochi i casi di bug nelle applicazioni trovati dalle aziende stesse che li producono, quando il software è già in commercio. L'ultimo caso, tanto per fare un esempio, è quello di ICQ. Il problema allora si rovescia: quanto noi utenti siamo tutelati sul piano della privacy e della sicurezza in Rete? Quanto viene fatto per farci sentire protetti da virus, da mail bomber e da più spietati pirati informatici? Non solo a livello di investimenti aziendali ma anche a livello normativo?