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Dalla Rete, le ragioni degli hacker

Wanda Marra

Dibattito aperto sul "defacement": è un atto davvero criminale?

L'anima più libera e anarchica della Rete in questo momento è in subbuglio. Il punto in discussione è sostanzialmente uno: il defacement, ovvero la sostituzione temporanea di una homepage di uno sito con una schermata creata per l'occasione, che in genere non crea danni persistenti al sito, è un atto davvero criminale?

Di defacement, infatti, una delle forme estreme di protesta più utilizzate sulla Rete, si tratta. Gli "Hi-tech hate", questo il nome del gruppo costituito da giovani italiani, avevano portato a segno colpi in 62 nazioni. Tra i siti web caduti nella loro rete ci sono quello del Senato della Repubblica, dei ministeri della Sanità e della Difesa-Aeronautica, i siti Rai, Ansa e Mediaset. Oltre confine, poi, i "nemici dell'hi-tech" hanno registrato vittime illustri, come 41 siti del Pentagono, della Fao, 9 siti del governo cinese, la Nasa, Corti di giustizia e università statunitensi, e siti governativi britannici, svedesi, portoghesi, australiani, e pachistani.

In segno di solidarietà con questi giovanissimi hacker, il network d'informazione indipendente, Indymedia , pubblica uno dei messaggi che si trovavano sui siti attaccati: "Vogliamo un mondo migliore; un mondo dove non ci siano diseguaglianze, differenze, ingiustizie: un mondo nuovo! Non vogliamo che sia guidato dalle multinazionali, non vogliamo un mondo come questo. Il nostro mondo deve essere di tutti qualunque sia il credo, la religione, la razza, l'idea politica, le condizioni sociali, e qualunque cosa distingua le persone".

È lecito veicolare un messaggio di protesta come questo, stravolgendo la homepage del sito preso di mira con l'immissione di contenuti critici, spesso sarcastici, satirici, a volte anche offensivi, spesso semplicemente personali?

Sulla mailing list Cyber-Rights di Isole nella Rete, autorevole punto di riferimento sulle questioni legate alla libertà di Internet, oggi ferve il dibattito.

C'è chi definisce la sostituzione di una pagina di un server "un'azione distruttiva", visto che ne impedisce il normale utilizzo. D'altra parte si tratta effettivamente di una violazione della proprietà. Ma c'è chi risponde ricordando il fatto che chi entra non ruba niente, non distrugge niente, ma si limita a fare un'azione esclusivamente dimostrativa, spettacolare ma innocua, efficace ma facilmente e invertibile.

Un tentativo di analisi politica, che certamente sarà il primo di molti (e lo vedremo nei prossimi giorni) è quello di Ferry Byte. L'hacktivist che quotidianamente offre a a Cyber- Rights una serie di segnalazioni su argomenti legati alla Rete e ai diritti, ricorda che un mondo dove "l'incredibile dislivello economico e sociale provoca benessere e carestie a seconda della geografia e classe di appartenenza", ha bisogno di un regime di controllo dei mezzi di comunicazione che "inevitabilmente prevede un inasprimento delle leggi preposte alla difesa della vulnerabilità degli emergenti media telematici".