Settimanale RAI Educational
Tema - 05 Febbraio 1999

Sotto controllo

di Michele Alberico, Elena Capparelli, Tommaso Russo

Sotto controlloIniziamo da una notizia de La Stampa del 25 Gennaio scorso: "Città fortificate per sconfiggere la paura. Otto milioni di americani vivono in comunità blindate".
Si tratta di comunità circondate da un muro di cinta e alle quali si accede solo dopo aver mostrato l'apposito lasciapassare.
Gli episodi di criminalità generano paura. Ed è per superare questa paura, che in molti settori della ricerca tecnologica si studiano soluzioni per affrontare il problema della criminalità. Ma davvero le nuove tecnologie possono aiutarci a sconfiggerla e a rendere sicuri i luoghi in cui viviamo?

Esistono diversi modi per reprimere i criminali, anche attraverso usi sofisticati, e assai discutibili, degli strumenti tecnologici. Ma la tecnologia, può servire ad uno scopo diverso, oltre a quello della repressione: può essere utilizzata come strumento di controllo, di sorveglianza.
Rassegna stampaLe tecnologie che ci permettono di controllare i criminali sono così avanzate da permettere un controllo su ogni angolo della terra come spiega il criminologo Gene Stephens in un'intervista rilasciata a MediaMente:

Gene Stephens"Il global positioning system è il sistema di localizzazione globale nel quale si usano satelliti per seguire ogni possibile spostamento del soggetto sotto controllo. Fra i sistemi di sorveglianza più interessanti c'è poi quello dei computer ubiqui, in cui si collocano microcomputer negli abiti, negli oggetti di casa, dell'auto, dell'ufficio, e grazie a questi possiamo avere una completa documentazione della vita di una persona, da quando si alza la mattina a quando va a dormire. E' probabile che i computer ubiqui si diffondano, perché aumenterà la nostra efficienza, dato che avremo a disposizione un archivio con tutto ciò che abbiamo fatto, consultabile in qualsiasi momento".

La possibilità di essere immediatamente identificati e controllati presenta indubbi vantaggi dal punto di vista della sicurezza ma apre anche alcuni interrogativi. I sistemi di sorveglianza si moltiplicano, il campo della sorveglianza si amplia fino a disegnare uno scenario che ha dell’incredibile. E che non riguarda solo i criminali.

Dall’inizio degli anni Ottanta infatti una rete di satelliti sorveglia  ogni giorno centinaia di migliaia di fax, comunicazioni telefoniche e di posta eletttronica che sono intercettate, smistate, selezionate e analizzate dalla National Security Agency,l’agenzia di sicurezza statunitense. Si tratta del cosiddetto progetto Echelon diretto specialmente contro obiettivi non militari come governi, organizzazioni e imprese.

Per sorvegliare una persona non è tuttavia necessario scomodare una rete di satelliti spia; sono alcuni degli stessi oggetti con i quali conviviamo quotidianamente a tenere traccia dei nostri spostamenti ed a costituire un primo elemento di controllo delle nostre vite.
Sono tante le tracce elettroniche che lasciamo quando usiamo bancomat, telepass, computer. Quando adoperiamo il bancomat, per esempio, chiunque abbia accesso alla banca dati del nostro istituto bancario, potrà sapere in che città ci troviamo al momento del prelievo, ed in che punto della città. E potrà saperlo sia in tempo reale, che molto tempo dopo. Lo stesso accade quando utilizziamo le carte di credito per i nostri acquisti o per pagare il conto di un albergo. Quando passiamo al casello dell’autostrada usando il telepass, lasciamo una traccia indelebile del nostro passaggio: non sarà difficile, per chi è in possesso dell’adeguata attrezzatura tecnologica, scoprire che la nostra auto, in un dato momento, ha viaggiato su una certa autostrada.Bancomat
Le orme elettromagnetiche che lasciamo sono altrettanto forti quando usiamo il computer: con gli strumenti adatti, da un luogo sicuro, possono essere captate e decodificate. E qualcuno potrebbe ricostruire i testi che scriviamo, violando la nostra privacy.

Se il controllo capillare a cui siamo sottoposti pone un enorme problema sulla privacy c’è da chiedersi se almeno la sorveglianza tecnologica aiuti a eliminare la paura delle persone ad uscire per strada di cui si diceva all’inizio.
A questo proposito sentiamo ancora l’opinione di Stephens:
"Secondo me, la paura del crimine costituisce un problema di proporzioni analoghe a quelle del crimine in sé.(…) In tal senso, a mio avviso, dobbiamo abbandonare il paradigma militare in favore di un paradigma pacifico. Abbiamo pensato che si dovesse "combattere" il crimine o condurre "una battaglia contro la droga" per risolvere definitivamente il problema. Ma nel mio paese si stanno diffondendo i cosiddetti "peace studies" che sostengono che il fine ultimo dovrebbe essere creare condizioni di armonia nella comunità. La gente non vuole vivere in un clima da guerra civile, con sparatorie e così via, ma in un clima di fiducia nei confronti del vicino, dove sia possibile avere relazioni sociali, magari competere nella diversità, ma avere una buona qualità della vita".

Per concludere ritorniamo alle "gated communities", alle comunità blindate da cui siamo partiti. Leggiamo ancora nell'articolo della Stampa che "quando si mettono assieme 10mila persone non ci sono muri o guardie armate che tengano, malefatte e malfattori sono inevitabili". Come a dire: anche le comunità ristrette, quando si allargano, ritrovano gli stessi problemi delle nostre comunità. E quindi non sono tanto i muri esteriori a risolvere i problemi. Ma, come dice Stephens, è illusorio investire su un sistema militare, quando la soluzione dovrebbe essere quella di creare condizioni di armonia nella comunità.

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