INTERVISTA:
Domanda 1
La sua ricerca è dedicata agli strumenti tecnologici di controllo di criminalità e
violenza. E possibile, e come, che le nuove tecnologie pongano fine alla violenza
criminale?
Risposta
Siamo senzaltro in grado di farlo. Possediamo alcune tecnologie nuovissime, e altre
sono in via di sviluppo, che hanno un grande impatto sulla violenza. Fra quelle già a
nostra disposizione, ad esempio, abbiamo sistemi che consentono di vedere e ascoltare
attraverso le pareti, e che ci consentono di controllare quello che avviene in un dato
ambiente a distanza di chilometri. Abbiamo già oggi, insomma, una tecnologia di
sorveglianza assolutamente straordinaria.
E già testato in alcuni aeroporti statunitensi, un nuovo sistema radar che
ricorda molto una scena del film Total Recall, grazie al quale possiamo controllare cosa
si celi sotto gli abiti, che si tratti di un coltello o di qualsiasi altra cosa; il che
consente di controllare la presenza di armi senza dover fare perquisizioni dettagliate.
Questo strumento è oggi disponibile sotto forma di videocamera, che un agente di polizia
può portare con sé per monitorare la presenza di armi o altro materiale pericoloso fra
la gente. Il che comporta un ovvio problema di riservatezza, perché questo strumento
consente di vedere non solo le armi, ma anche il corpo.
Abbiamo anche strumenti che costringeranno l'individuo alla sobrietà e che presto
arriveranno sul mercato. Quello più sviluppato al momento riguarda il problema
dellalcool: indipendentemente da quanto si sia bevuto, si rimane sobri. Se lo si
utilizza prima di bere, è impossibile ubriacarsi; dopo aver assunto alcool, ne annulla
immediatamente gli effetti. E un inibitore, inibisce leffetto dellalcool
sulla mente. Lo stesso sistema può essere utilizzato per cocaina, eroina e ogni altra
droga, ma è stato sviluppato in prima battuta contro lalcool perché rappresenta il
mercato più vasto: abbiamo infatti molti più alcolisti che tossicodipendenti. E nel mio
paese, negli Stati Uniti, oltre la metà dei crimini è legata allabuso di alcool. E
questo sistema potrebbe diventare ovviamente un grande deterrente contro la violenza, ad
esempio nei crimini domestici.
Vi sono inoltre diversi nuovi strumenti di sorveglianza. Ad esempio cè il global
positioning system, il sistema di localizzazione globale, nel quale si usano satelliti per
seguire ogni possibile spostamento del soggetto sotto controllo. Uno fra i sistemi di
sorveglianza più interessanti è poi quello dei "computer ubiqui", in cui si
collocano microcomputer negli abiti, negli oggetti di casa, dellauto,
dellufficio, e grazie a questi dispositivi si può avere una completa documentazione
della vita di una persona, da quando si alza la mattina a quando va a dormire, e pure
mentre dorme, per ascoltare cosa dica magari anche nel sonno. E probabile che i
"computer ubiqui" si diffonderanno anche perché aumenterà la nostra
efficienza, dato che avremo a disposizione un archivio, consultabile in qualsiasi momento,
con tutto ciò che abbiamo fatto. E chiaro che qualora la polizia potesse attingere
a questi archivi digitali, avrebbe accesso alla nostra intera esistenza. E un controllo
simile potrà essere effettuato attraverso il DNA, che si va diffondendo negli Stati Uniti
come strumento di identificazione in codice a barre. Entro i prossimi 5 o 10 anni, il
codice a barre con il DNA sarà onnipresente nel mio paese e probabilmente in molte altre
parti del mondo. E avremo allora potenzialmente fra le mani dei dossier universali.
Potremo costruire dei dossier consultabili in qualsiasi momento, attraverso le
documentazioni dei "computer ubiqui" e il codice di DNA, che contengono ogni
dettaglio della nostra vita, dallo stato medico alla fedina penale, dal curriculum di
formazione a, che so, i disturbi psichici che abbiamo avuto. Ed è uno strumento
ampiamente considerato nellarea della tutela della legge.
Abbiamo anche altre tecnologie che vanno in questo senso. Cè un grande sforzo di
ricerca, in particolare alla McGill University di Toronto, sulla memoria. Si è scoperto
che ogni evento significativo è registrato nella nostra mente, come su una sorta di
nastro video. E attraverso quel nastro possiamo costringere una persona, con sensori
installati su alcune aree cerebrali, a richiamare a memoria un dato evento. Ad esempio,
con un ostaggio, o con un rapinatore, o con un imputato di violenza carnale, potremmo
visualizzare le ragioni e i modi dellevento, il che costituirebbe un eccezionale
strumento investigativo.
Ma ce ne sono molte altre, di tecnologie, che si basano sullassunto, diffuso
negli Stati Uniti, che i criminali siano solo delle persone spregevoli. E tali dispositivi
di controllo si sono sviluppati per sbarazzarci di queste persone spregevoli, ossia
dellunico ostacolo alla creazione di un mondo meraviglioso.
Ad esempio, stiamo considerando la possibilità di un invecchiamento artificiale.
Presto scopriremo le cause genetiche dellinvecchiamento, e con queste saremo in
grado di vivere più a lungo, ma anche di costringere una persona ad invecchiare
artificialmente. E sappiamo anche che la gran parte dei criminali, se non altro quelli
violenti, sono tali nel periodo che va fra i 15 e i 45 anni. Quando ha 45 anni, la gran
parte di loro si calma, cambia i propri fluidi organici, e dunque potremmo prendere un
venticinquenne che ha commesso un reato di violenza, invecchiarlo di ventanni ed
evitare di imprigionarlo, perché a quel punto non costituirebbe più un problema sociale.
Se proprio volessimo eliminare tutti i criminali dalle strade, il che è peraltro un
desiderio abbastanza velleitario, potremmo fare ricorso a varie tecniche che ci consentono
di segregarli senza appesantire il nostro sistema carcerario.
Una fra queste è la tecnica che sospende il movimento corporeo, che già è a nostra
disposizione per gli animali. Potremmo dunque "congelare", per così dire, i
criminali, senza doverci far carico delle spese per trattenerli nelle carceri, per poi
doverli lasciare andare. O potremmo fare ricorso a prigioni spaziali, collocate su
asteroidi, oppure a prigioni sottomarine dove si potrebbero coltivare alghe e altri tipi
di colture marine. Queste sono tutte possibilità che saranno a disposizione nei prossimi
dieci anni.
Un altro strumento tecnologico a nostra disposizione è quello di secondini
robotizzati, soprattutto adesso che abbiamo lintelligenza artificiale per gestirli.
Questi robot potrebbero rispondere a tutte le necessità odierne, e in modo economico e
semplice. Possiamo anche far ricorso alla sorveglianza elettronica, che già è
parzialmente in uso nel mio paese: prendiamo coloro che sono in libertà condizionata
allinterno di programmi di riabilitazione, e li controlliamo elettronicamente
attraverso un monitor. Al momento si usano bracciali da polso o alla caviglia, ma in
futuro potremo installarli sotto forma di impianti organici, così come è possibile
impiantare sistemi di controllo delle nascite. Unesperienza del genere è stata
fatta, ad esempio, con una donna che aveva abbandonato il figlio neonato in un bidone
della spazzatura, perché non poteva permettersi di mantenerlo. Non si ritenne utile, in
questo caso, imprigionare la madre, e al contempo era necessario evitare che avesse altre
gravidanze. La donna accettò un impianto contraccettivo per cinque anni, ciò le ha
consentito di evitare la prigione e di vivere in modo vigilato nella comunità.
Possiamo insomma spingere la gente a scegliere fra la prigione o uno di questi
impianti. E potremmo decidere di impiantare sistemi di elettroshock, in modo tale da
controllare le persone in un programma di riabilitazione senza prendersi la briga di
monitorare continuamente dove sono. Se non seguissero il percorso previsto, al lavoro o a
scuola e poi diritti a casa, se uscissero dagli spazi a loro destinati, riceverebbero
automaticamente un elettroshock, che li costringerebbe a rientrare nel territorio
previsto. E qui abbiamo una situazione che salvaguarda la libera scelta: non subisci
lelettroshock, se segui le regole. E al tempo stesso non dovremmo spendere denaro
andare a recuperare il criminale qualora decidesse di uscire dal suo territorio. Ed è
unaltra possibilità di soluzione al problema della violenza.
Si potrebbero elencare numerosissime altre tecnologie di controllo, ma mi limiterò a
ricordarne solo alcune. Innanzitutto, quella del condizionamento subliminale. Sappiamo per
certo che ha effetti su una parte della popolazione, anche se al momento non sappiamo se
sia universale o meno, ma senzaltro il condizionamento, effettuato attraverso un
complesso sistema di luci, immagini e suoni, spinge parecchia gente a fare ciò che si
vuole. E abbiamo allora pensato a impianti organici di condizionamento subliminale, che
ripetono un messaggio a livello cerebrale: " fa la cosa giusta, fa come
ti si dice, obbedisci la legge, sii un buon cittadino", e così via, continuamente
finché chi ha subìto limpianto non può pensare di fare nulla che vada contro il
messaggio subliminale. Ma quando potremmo utilizzare questa tecnologia? Al primo reato di
violenza, o al secondo, oppure se un soggetto ha una propensione alla violenza, o
semplicemente risolvere in modo definitivo la questione applicandola allintera
popolazione?
E poi cè il controllo biomedico. Sappiamo che a unalta presenza di
serotonina nel flusso sanguigno corrisponde un atteggiamento calmo e riflessivo, e che
alla sua mancanza corrisponde un atteggiamento aggressivo, iperattivo, potenzialmente
pericoloso. E potremmo creare degli impianti che rilasciano sostanze chimiche nel flusso
sanguigno per preservare la calma e la riflessività. Potremmo poi far ricorso alla
telepatia. Saremo in grado di dare comandi al computer, o di far volare aeroplani,
attraverso le onde cerebrali, il che ci può consentire di captare e leggere queste onde
cerebrali, e attraverso queste di intuire lintenzione di commettere un crimine; e
potremmo rendere illegale il semplice pensiero di attività criminale. E potremmo usare
dei chip organici di memoria, che saranno disponibili nei prossimi dieci anni, ossia dei
chip di memoria in nanocomputer impiantati nel sistema cerebrale con i quali si potrà
archiviare unenorme quantità di informazione, e che potremo consultare in qualsiasi
momento. Per gli agenti di polizia questo è uno strumento straordinario perché
potrebbero avere tutti i dossier criminali nellarchivio digitale, e portarlo con
sé, letteralmente nella propria testa, per strada, e controllare, nel momento in cui
vedessero qualcuno di sospetto, se si tratta di una persona ricercata. In molti farebbero
ricorso a questo strumento, perché con tutta questa memoria a "portata di
mente", per così dire, si sarebbe molto più efficienti sul lavoro.
Riteniamo pertanto che questa tecnologia sia destinata a incontrare una grande
diffusione, quasi universale. Il che offre un altro interessante modo di porre fine alla
violenza, vale a dire il penetrare nei computer impiantati nel sistema cerebrale. Così
come gli hacker riescono a penetrare qualsiasi sistema di difesa informatico, potremmo
avere questa attività di irruzione quale parte del lavoro di alcuni agenti di polizia,
che dovrebbero penetrare clandestinamente nel sistema cerebrale per verificare se contenga
informazioni come, ad esempio, istruzioni per costruire una bomba!
Ma forse la tecnologia definitiva è lingegneria genetica. Possiamo clonare un
gene, sostituirlo, alterarlo, cancellarlo, inserirlo; e possiamo dunque creare una persona
con tutte le caratteristiche che vogliamo. E potremmo allora identificare il "tipo
umano non criminale", crearlo e riprodurlo geneticamente. Se realmente volessimo,
potremmo avere una società interamente libera dalla violenza.
Domanda 2
Ritiene che questo uso della tecnologia ci renderà più sicuri?
Risposta
Dipende da come si definisce il termine "sicuro". Se intendiamo con sicurezza il
fatto che si possano eliminare omicidi e violenza fisica, sì, siamo in grado di farlo
tecnologicamente. Se invece intendiamo un significato più vicino a quello di qualità
della vita, a un senso di integrazione armoniosa nella comunità, è chiaro che questi
strumenti non servono a granché, in tal senso.
Domanda 3
E in effetti lei sostiene che, nonostante si sia in grado di porre fine alla violenza
attraverso le tecnologie, ci si debba chiedere se sia opportuno farlo. Ciò significa che
queste tecnologie comportano dei seri rischi.
Risposta
Ritengo che, fra i tre problemi che ho identificato, il principale sia quello della
perdita della privacy. Non potremmo avere privacy in un mondo nel quale si possa vedere
attraverso le pareti, quando si possa avere una registrazione di tutto ciò che dici, in
cui sono in grado di leggerti la mente, o di penetrare nel tuo impianto cerebrale
computerizzato. Dovremmo rinunciare a ogni privacy, il che non peserebbe troppo forse ad
alcuni, ma spesso chiedo alle persone se non abbiano almeno un pensiero che non vorrebbero
condividere con gli altri, e la gran parte delle persone risponde che in effetti, alcuni
pensieri, alcune cose che hanno fatto o detto, vorrebbe tenerli per sé.
Il secondo problema credo sia quello delle applicazioni violente di queste tecnologie
antiviolenza. Penso che i nazisti avrebbero molto apprezzato queste tecnologie, e forse
avrebbero avuto anche più successo nei progetti che stavano per realizzare. E il terzo
problema credo sia quello della disumanizzazione, il trattare la gente non come costituita
da individui ma come elementi di un gregge da controllare. Pertanto ritengo che, per
rispondere definitivamente attraverso la tecnologia alla minaccia della violenza, dovremmo
rinunciare a gran parte di ciò che rende la vita degna dessere vissuta.
Domanda 4
Ritiene allora che si debba abbandonare lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie
di controllo, oppure è possibile farne un utilizzo che non produca questi problemi?
Risposta
Sì, credo che ci siano strumenti che possano vincolare lutilizzo delle tecnologie.
Abbiamo una carta dei diritti umani, le disposizioni delle Nazioni Unite, e negli Stati
Uniti la Costituzione, che prevede dei limiti ben precisi. Questi diritti sanciscono che
solo chi è sospettato di essere coinvolto in attività illegali possa essere portato in
tribunale, e posto sotto sorveglianza dalle autorità attraverso forme di intercettazioni
ambientali. Ma non credo proprio che monitorare lintera popolazione con videocamere
o telepatia sia un utilizzo legittimo delle tecnologie di sorveglianza. E del resto ci si
chiede già ora quanto linformazione digitale sia sicura, quanto non possa essere
manipolata. Pensiamo anche solo ai problemi dei telefoni cellulari. Non vi è privacy
nelle comunicazioni su cellulare: chiunque può intercettarli, e può persino clonarli, e
addebitare sul vostro conto corrente le proprie telefonate. Ci sono molte aree delle nuove
tecnologie nelle quali è difficile salvaguardare la privacy, e il mio più grande timore
è che non si possa in futuro risolvere questo problema. Non possiamo infatti proteggere
per via tecnologica la privacy dalla sua invasione tecnologica: la tecnologia non ci
aiuta, cioè, a risolvere i problemi posti dalla tecnologia stessa.
Credo pertanto che ladozione delle tecnologie di sorveglianza comporti
potenzialmente un cambiamento di valori, un vero e proprio cambiamento di paradigma,
soprattutto in un paese come il mio che fa della libertà individuale la propria bandiera.
Per non rinunciare a questi diritti fondamentali della persona, ritengo che si debba
smettere di pensare che il crimine coinvolga poche persone, pochi elementi che rendono il
mondo orribile, per ripensarlo quale problema di relazione che ci coinvolge tutti. Agli
studenti del mio corso di criminologia, ad esempio, chiedo di scrivere un tema dal titolo
"I miei crimini": e non mi è mai capitato che uno studente non ammettesse di
aver commesso almeno un reato. Una cosa analoga avviene quando chiedo a una qualsiasi
riunione chi abbia subìto oppure commesso un torto che possiamo considerare
"criminale": tutti, e in entrambi i casi, alzano la mano.
Pertanto, ritengo che il problema della delinquenza coinvolga tutti: la questione è
che alcuni sono coinvolti nel crimine in modo più profondo, spesso per ragioni
ambientali, o per un problema che affrontano attraverso il crimine, e che produce a sua
volta una spirale di delinquenza. Ovviamente, se non diamo loro fiducia, costoro non
avranno alcuna ragione o possibilità di abbandonare questa strada, questa spirale: essi
potranno solo cercare di migliorare la propria efficacia criminale. Lutilizzo della
tecnologia di sorveglianza parte da queste premesse, e credo che dovremmo partire invece
da premesse opposte, quelle del concetto di comunità. Non pensiamo tutti allo stesso
modo, possiamo avere un aspetto, abitudini, religioni, stili di vita diversi, ma dobbiamo
imparare a convivere con questa diversità, dobbiamo essere più tolleranti luno con
laltro, il che avviene troppo poco spesso.
In tal senso, a mio avviso, dobbiamo abbandonare lattuale "paradigma
militare" in favore di un "paradigma pacifico", di dialogo. Abbiamo pensato
che si dovesse "combattere il crimine", o condurre una "battaglia contro la
droga", per risolvere definitivamente il problema. Ma nel mio Paese si stanno
diffondendo i cosiddetti "peace studies", che sostengono che il nostro fine
debba essere di non combattere il crimine bensì di creare condizioni di armonia nelle
micro e macrocomunità, nei quartieri ad esempio. La gente non vuole vivere in un clima da
guerra civile, con sparatorie e così via, ma in un clima di fiducia nei confronti del
vicino, dove sia possibile avere relazioni sociali, magari competere, ma avere una buona
qualità della vita. Si può ottenere ciò, a patto che si abbia un approccio
completamente diverso, e stiamo cercando di svilupparlo, con programmi di integrazione
delle comunità: andiamo a vedere cosa i diversi individui abbiano in comune, quali siano
i loro problemi di relazione, e cerchiamo di risolverli affidandoci ai servizi sociali,
alla polizia e ai membri stessi della comunità, presupponendo che non siano malvagi. In
questi programmi la tutela dellordine e la comunità collaborano, insomma. Il che ci
consente di eliminare la criminalità alla radice, senza cercare di arrestare i
delinquenti, con i pessimi risultati che del resto ben conosciamo.
Ora, con ciò non sostengo che le tecnologie di sorveglianza non debbano essere
utilizzate in alcun modo, ma che si stabiliscano dei vincoli e dei limiti di
ragionevolezza al loro utilizzo. Ci sono diverse città, ad esempio Baltimora negli Stati
Uniti, che usa strumenti di sorveglianza come videocamere in luoghi pubblici, che sono
tollerati. Esistono strumenti di monitoraggio digitale che possiamo consultare per parole
chiave, senza dover visionare lintera registrazione. Ritengo che questi strumenti
possano essere ben accetti nei luoghi pubblici. Ma il problema, negli Stati Uniti, è che
questi strumenti sono usati sempre più negli spazi privati come bagni e docce, perché
qui è vantaggioso spiare, ad esempio, i propri dipendenti, con
la scusa che i bagni sono gli spazi in cui si assumono droghe, le quali diminuiscono
lefficienza sul lavoro. E non credo che questo sia accettabile. La tecnologia è uno
strumento imprescindibile, ma solo se limitato per legge a certi spazi.
Domanda 5
Cosa si può fare nellimmediato per combattere crimine e violenza senza affidarci
interamente alla tecnologia, mantenendo però un obiettivo di relativa soluzione del
problema?
Risposta
Senzaltro una strada è quella cui ho accennato parlando di un cambiamento di
paradigma, e ci sono gruppi che promuovono queste attività. Ad esempio, io appartengo a
unorganizzazione chiamata Police Futurists International, che riunisce studiosi e
ufficiali di polizia di tutto il mondo, la quale sostiene la validità del modello di
comunità che dicevo, per la quale il problema della criminalità è un problema di
comunità e non di governo centrale o di stato, e va affrontato come tale. Si tratta di
studiare una data comunità, di determinare quale sia il problema di criminalità al suo
interno e quali siano le sue cause, studiare le modalità di intervento, e poi
intervenire. Questa pratica richiede un compito molto impegnativo per la polizia:
condividere il proprio potere con la gente. La moderna concezione di polizia trova le
proprie origine nella Londra del 1929, ed era una concezione basata su un modello
pacifista, di dialogo. La polizia aveva lo scopo di mantenere un ordine pacifico
allinterno della comunità di cui si occupava. Noi sosteniamo che si debba tornare a
questo modello originario, che non prevedeva luso militare della forza nelle
operazioni di polizia, che si debba abbandonare il paradigma militare di guerra ai
"corpi estranei". Pensiamo che si debbano valutare i problemi della comunità,
alcuni dei quali rientrano nella sfera della legalità mentre altri sono propriamente
illegali, e cercare di risolverli allo stesso tempo. Lobiettivo primario è pertanto
quello di costituire un concetto di comunità, soprattutto allinterno di situazioni
urbane, come sono diffusissime in Europa, in cui numerose famiglie abitano in spazi molto
ristretti senza neppure conoscersi, il che a volte crea tensioni potenzialmente esplosive.
Quando non ci si conosce, automaticamente si ha diffidenza. E allora dobbiamo lavorare per
promuovere la conoscenza reciproca, e per scoprire cosa sia condiviso dai diversi soggetti
di una comunità.
Lalternativa a questo modello, quella che si affida alla tecnologia, per me è
inaccettabile. Non credo si possa tollerare una situazione come quella descritta da Orwell
in "1984", o da Huxley in Brave New World. Ma è anche vero che una buona parte
dei miei studenti sostiene di apprezzare il modello disegnato in Brave New World, e
dichiara di voler vivere in un mondo simile. Il che mi inquieta molto, perché anche solo
15 anni fa nessuno dei miei studenti avrebbe voluto vivere in quel mondo.
Domanda 6
Ci siamo chiesti, fin qui, cosa possa essere fatto, e cosa debba essere fatto. Data la
sede "futurologica" della nostra discussione, cosa crede, personalmente, che
sarà realmente fatto?
Risposta
Abbiamo due modelli dicotomici, quello militare e quello pacifico. E in molti hanno
interesse a promuovere il modello militare. Lhanno usato per anni, hanno conseguito
alcuni successi, hanno vissuto suscitando paure nella gente: e il modo per mantenere il
modello militare è quello di spingere la gente a pensare, che so, che rischia di subire
aggressioni mentre dorme se non si finanzia e non si fornisce di strumenti una polizia di
stampo militare. Dati questi interessi, è difficile modificare il paradigma. Al tempo
stesso ci sono gruppi come Police Futurists International che promuovono non tanto la
paura popolare ma la necessità di instaurare un clima di dialogo.
Secondo me, la paura del crimine costituisce un problema di proporzioni analoghe a
quelle del crimine di per sé. Se la gente ha paura di uscire di casa, si barrica dietro
porte blindate, non ha relazioni e non partecipa agli avvenimenti sociali, non va in
centro a fare spese, abbiamo un problema di qualità della vita, la stiamo devastando. Mi
chiedo quale sia il piacere del vivere barricati in casa. E se adottassimo tecnologie
sofisticate di sorveglianza, potremmo sì uscire di casa, ma avremmo paura per la nostra
privacy, per la possibile invasione della nostra vita privata, perché non posso fare ciò
che voglio ma solo ciò che vogliono io faccia. In entrambi i casi abbiamo paura, ed è
proprio quello che ritengo ci si debba lasciare alle spalle in futuro. E credo che
riusciremo a farlo. Stiamo lavorando per un nuovo modello di giustizia in questo paese, e
abbiamo il World Wide Web, attraverso il quale si può dare informazione su se, come e
dove sia avvenuto un crimine. Dovremmo istituire delle pene di "risarcimento",
che possano almeno in parte restituire allindividuo e alla comunità ciò che è
stato sottratto o colpito, e quindi cercare una strategia di riconciliazione fra chi ha
commesso e chi ha subìto il torto. E qualora il reato sia da ricondurre a problemi di
relazione, o a mancanze di abilità sociali in chi lha commesso, dovremmo cercare di
risolvere questi problemi e di fornirgli gli strumenti per non rifarlo. Ora, alcuni
possono vedere il modello che suggeriamo simile al vecchio modello di riabilitazione, ma
non lo è, perché non prevede solo unenfasi su come cambiare il colpevole. No, noi
sosteniamo che chi ha sbagliato debba pagare, debba risarcire in qualche modo la vittima e
la comunità. Ma dopo aver pagato, riteniamo che debba essere aiutato a rientrare nella
comunità. Uno dei problemi insiti nel presupposto che i criminali siano persone
intrinsecamente meschine è che, anche quando hanno scontato la loro pena e risarcito, per
così dire, il loro debito nei confronti della società, la colpa continuerà a seguirli
ovunque vadano, e non otterranno un lavoro, i loro figli saranno discriminati, e così
via. Questo modello è incompatibile con il perdono. Ed è veramente strano, e avvilente,
che in un Paese come il mio, gli Stati Uniti, che è emerso dalla cristianità e che si è
costruito sugli imperativi cristiani, sia probabilmente uno dei paesi al mondo che meno
conosce il valore del perdono.
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