Bitvestiti: dare corpo ad un'emozione
Per il sociologo Francesco Morace "alla
fine quello che conta è la qualità dell'esperienza umana" che
sta sotto (e dentro) i vestiti "tecnologici"
"Io penso che il wearable computer non sia una moda ma
un'esigenza profonda e permanente, quella di avere un corpo arredato
da una serie di prodotti che ci forniscono delle perfomances
nuove". Vestirsi restando connessi in in Rete. Questo il futuro
dell'abbigliamento secondo Francesco Morace, sociologo e presidente
del future concept lab di Torino. Tanta tecnologia addosso, anche se
poi, "alla fine quello che conta è la qualità dell'esperienza
umana e dell'emozione, seppur filtrata dalla tecnologia. I wearable
possono essere un utilissimo compagno di vita, se pensati e
progettati in questa direzione".
Cosa è per te il wearable?
È un punto di partenza molto delicato e molto importante, che
sta attirando molta attenzione in diversi settori anche nelle grandi
aziende, perché la tecnologia indossabile e indossata deve fare i
conti con molti linguaggi, con il linguaggio della tecnologia ma
soprattutto con i linguaggi del corpo. Basti pensare a quanto la
gestualità possa cambiare utilizzando questi prodotti, e quanto la
comunicazione a distanza potrà diventare per noi un orizzonte
definitivo. È importante considerarlo un laboratorio in cui diverse
discipline, dall'ergonomia al design alla moda alle altre tecnologie
dovranno convivere e progettare in modo interdisciplinare.
La chiave di volta è stata Internet, perché fino a qualche
anno fa non era pensabile essere connessi in questa maniera così
poliedrica, essere connessi con apparecchi, con altre persone…
Sicuramente Internet, e, in Europa, soprattutto in Italia, i
telefoni cellulari, con gli sms, cioè con l'idea di condividere
delle esperienze anche a distanza con gli altri. Questo elemento di
nuova socialità ha aperto degli orizzonti impensabili fino a cinque
anni fa.
All'inizio sembrava che dovesse essere la tecnologia ad
influenzare la moda, adesso sembra debba accadere il contrario
Sì, perché nel momento in cui questi prodotti si avvicinano al
corpo in maniera così rilevante, alla fine è la moda, il mondo
dell'abbigliamento ad avere le chiavi per poter proporre delle
estetiche compatibili con il nostro corpo, per cui sicuramente il
mondo della tecnologia sta guardando con grande interesse a quello
della moda.
È un grande business?
È un grande business, soprattutto in una proiezione di
medio-lungo termine. È molto delicato trovare gli strumenti giusti
per fare in modo che questi prodotti non diventino dei gadget. Ma
diventino degli amici, dei partner quotidiani che ci portiamo
addosso e di cui non sentiamo il peso.
C'è qualche rischio di campi elettromagnetici?
I rischi ci sono, e continueranno ad esserci, e non è un caso
che nel mondo dell'abbigliamento, dei filati e dei tessuti, si stia
lavorando su proposte schermanti, cioè sulla possibilità di
compensare questo attraversamento magnetico che il nostro corpo
dovrà subire con materiali che in qualche modo ci proteggano.
Per sconnettersi bisognerà spogliarsi completamente?
Questa è una bella domanda. Penso sarà molto importante
progettare non solo l'abbigliamento e questi nuovi oggetti da
indossare, ma i propri limiti, cioè bisognerà evitare questa
sbornia da connessione partendo dall'emozione. Per fare un esempio,
ci sono studi per creare prodotti non necessariamente legati alla
connettività ma alla luminosità. C'è chi sta lavorando su
progetti di fibre artificiali luminose. Oppure di capi
d'abbigliamento che cambiano colore a seconda della temperatura. E
quindi la presenza della tecnologia non sarà necessariamente da
grande fratello, ma ci darà invece delle emozioni e delle
esperienze nuove.
Quanto di questo rimarrà gadget e non si userà più, e cosa
invece avrà una reale utilità nella nostra società?
Credo che tutto quello che punta sulla sorpresa dei gadget avrà
una vita breve, però aprirà le porte ad altre applicazioni più
discrete, direi di "smartware", di abbigliamento
intelligente che magari è anche invisibile. E queste applicazioni
cambieranno l'esperienza e la qualità della nostra vita.
Rimarranno. E modificheranno, partendo dal nostro corpo, la nostra
esperienza quotidiana.
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