Venerdì 20 Aprile 2001



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New Workers

 


Hardware, hard work

Le condizioni di lavoro nell'industria hi-tech sono dure e i contratti offrono sempre meno garanzie così i lavoratori si organizzano online

di Georgia Garritano

WashTech

Tra i più convinti della possibilità di collegare in rete i lavoratori vi sono i fondatori di Washtech, la Washington alliance of technology workers. Si tratta di un'associazione di professionisti che lavorano nel settore delle tecnologie informatiche: autori, programmatori, sviluppatori, amministratori di reti e altri lavoratori, a tempo determinato o indeterminato, di quasi un centinaio di società dello Stato di Washington, dove è concentrata buona parte dell'industria hi-tech. Non è un sindacato nel senso tradizionale del termine: non rappresenta i lavoratori nei luoghi di lavoro né partecipa ai negoziati per i contratti. È "un gruppo di gente che lavora nella stessa industria unitosi per portare avanti i propri interessi" ed è affiliato al Cwa (Communications workers of America), il sindacato che rappresenta 630mila addetti del settore comunicazione. L'Alleanza non rifiuta la flessibilità ma si batte per maggiori diritti e benefici, migliori condizioni e retribuzioni e contro abusi e discriminazioni. Offre informazione, corsi di formazione, aggiornamento e riqualificazione e consulenza legale.

Alliance of new economy workers (Anew)

L'Alleanza dei lavoratori della new economy è stata promossa alla fine del 1999 da un gruppo di dipendenti di Amazon. Il sito propone la sottoscrizione di un appello in cui si chiede alla società di Seattle il rispetto di alcuni diritti: una politica di ferie e congedi che tenga conto delle esigenze familiari dei lavoratori; una retribuzione almeno pari alla media salariale del settore; la copertura sanitaria per i dipendenti e per le loro famiglie; regole eque e coerenti per tutto il personale; il pagamento degli straordinari obbligatori effettuati oltre le 50 ore settimanali; la possibilità di assunzione per i lavoratori a tempo determinato e la non interferenza nelle scelte sindacali dei lavoratori.

Alliance@Ibm

Tra i "tecnolavoratori" che si sono organizzati per cercare di ottenere migliori condizioni di lavoro ci sono anche quelli del colosso dell'industria informatica Ibm. Alliance@Ibm unisce impiegati, dipendenti a tempo determinato, collaboratori a contratto e pensionati della società. I manager, invece, sono esclusi: "Lo sai che ogni dirigente" - è scritto sull'homepage - "ha un contratto scritto che gli garantisce lo stipendio, i benefici e la pensione?" e all'ipotetico lavoratore che teme che aderendo all'associazione possa perdere dei diritti, il sito risponde: "quali diritti hai adesso?". Il coinvolgimento dei precari è così spiegato: finché essi avranno salari inferiori e saranno privi di benefici i vertici saranno incentivati a rimpiazzare i lavoratori "regolari" con quelli a tempo determinato. Nella pagina "Meet the enemy" ("Conosci il nemico") vengono segnalati i siti delle istituzioni considerate più ostili verso i diritti sindacali.

It workers network

ITWorkers.Net è un'organizzazione che sostiene i professionisti che operano nel settore delle tecnologie informatiche, in particolare quelli, probabilmente la maggioranza, che lavorano in condizioni precarie. L'obiettivo è quello di accrescere la consapevolezza dei lavoratori e contribuire alla costruzione di ambienti di lavoro più vivibili. "Molti professionisti dell'information technology sono lavoratori a contratto… lavoriamo per società di 'servizio', dove noi forniamo il servizio e loro prendono i soldi. Vorremmo creare ruoli più definiti, avere meno disparità salariali, più garanzie e formazione, più controllo sulle nostre carriere e più stabilità nelle nostre vite" - affermano i promotori nella dichiarazione di intenti dell'associazione.

Digital workers alliance (Dwa)

La Dwa è un'associazione di professionisti dell'Informaion technology dell'area di San Francisco. Rappresenta programmatori, progettisti, autori, animatori, tecnici, collaudatori e rappresentanti che, pur dipendendo dall'industria hi-tech, "odiano quello che essa sta facendo alla città". L'industria dei computer, infatti, sta crescendo nella Baia a spese della diversità economica e culturale; si sta instaurando una vera e propria "monoeconomia" che sta mettendo in crisi la piccola impresa, le organizzazioni non profit e la comunità locale: in particolare, la speculazione edilizia sta danneggiando l'ambiente e la crescita dei prezzi degli affitti e degli acquisti di immobili sta allontanando dal centro gli artisti e le minoranze etniche. Questo gruppo di "lavoratori digitali" si batte, con varie iniziative, per "una città dove ci si possa permettere di vivere senza stare seduti per 65 ore a settimana davanti a un computer, una città in cui ci sia spazio per gli artisti, una città dove un ragazzo gay possa trovare sostegno, una città con comunità di ogni parte del mondo".

CorpWatch

A denunciare le dure condizioni di lavoro nelle società hi-tech è anche CorpWatch, un movimento che si batte contro una globalizzazione governata esclusivamente dall'industria mediante campagne di informazione e azioni di protesta (ad esempio la mobilitazione contro la Nike per lo sfruttamento del lavoro minorile negli stabilimenti asiatici e l'invio massiccio di e-mail alla Casa Bianca in seguito al disimpegno dal protocollo di Kyoto sul clima). Sul sito di CorpWatch si può visitare una mostra fotografica sul lavoro nelle "High tech sweatshops" cioè nelle aziende "sfruttadipendenti" del settore tecnologico. "Pochi sanno che… dietro la facciata scintillante dell'industria hi-tech ci sono migliaia di lavoratori sottopagati, soprattutto donne immigrate, che assemblano i nostri computer esponendosi a centinaia di sostanze chimiche tossiche", che l'incidenza di malattie professionali è tre volte superiore a quella rilevata in altri comparti manifatturieri, che la percentuale degli aborti è sensibilmente più alta della media, che l'associazione sindacale è ostacolata, che "le persone di colore svolgono il 75 per cento dei lavori manuali … mentre i bianchi ricoprono l'80 per cento dei posti di responsabilità". Seguono una serie di testimonianze e l'indicazione di riferimenti bibliografici sull'argomento e delle risorse in rete.