Stress tecnologico: Internet come in fabbrica?
di Franco (bifo) Berardi
Ricordate Microserfs, il romanzo di Douglas Coupland dedicato
alla vita quotidiana, agli affetti, e alla (striminzita)
sessualità di un gruppo di programmatori di una grande azienda
della new economy? Il romanzo, edito in Italia da Feltrinelli, non
era forse un capolavoro letterario (almeno, a me non era piaciuto
molto da questo punto di vista), ma aveva il merito di puntare il
dito su un aspetto che spesso viene occultato dall’ideologia
tecnofila: lo stress legato al lavoro high tech, la giornata
lavorativa illimitata, la sfrenata competizione e la conseguente
anoressia affettiva.
Quando Coupland pubblicò il suo romanzo il tema dello stress
tecnologico non era preso in considerazione, almeno in Italia. In
America, dove questo tipo di lavoro si è diffuso con anticipo già
nella prima metà degli anni novanta si sono diffuse le prime
comunità di technoluddisti come Clifford Stoll. Però adesso lo
sappiamo tutti. Al di là della retorica pubblicitaria ormai stiamo
imparando, a nostre spese, che il lavoro ad alta tecnologia è meno
faticoso del lavoro industriale classico sul piano fisico, ma può
produrre effetti patologici sull'equilibrio e la salute psichica.
Da qualche tempo è entrata nel lessico l’espressione netslaves:
schiavi della rete. A lanciare l’espressione sono stati Bill
Lessard e Steve Baldwin, autori del libro Nestslaves, True Tales of
Working the Web (McGraw-Hill, 2000). In questo libro viene proposta
l’idea che la rete, e in generale l’universo della comunicazione
digitale, non è affatto, come sostengono i suoi apologeti, un luogo
di libertà assoluta di piacere culturale e conviviale, e di
opportunità economiche illimitate. Tutt'altro che un paradiso,
dicono Lessard e Baldwin, la net-economy funziona come un sistema
castale in cui un esercito di schiavi sono sottoposti a condizioni
di sfruttamento senza regole. E, quel che è peggio, oggetto dello
sfruttamento non è il lavoro fisico ma proprio il sistema nervoso,
l'attività mentale.
Nel New Media Caste System, Lessard e Baldwin individuano undici
categorie di lavoratori con tanto di scheda descrittiva delle
caratteristiche socio-antropologiche e reddituali: dalla categoria
più bassa dei garbagemen, gli spazzini della rete che lavorano
senza orari a pulire e compilare programmi, a rispondere alle
lamentele dei clienti, a inserire e estrarre componenti dalle
macchine, ai cops o streetwalker, il cui lavoro consiste nel
reprimere le manifestazioni virtuali di stimoli sessuali, alle
operatrici sociali che passano il loro tempo a gestire conversazioni
online d’ogni genere, ai fry cook che friggono la vita dei
programmatori per mantenere i tempi, fino ai nuovi, e pochi, robber
baron, senza dimenticare le talpe della micro imprenditorialità
diffusa. Nella fabbrica della rete l’occupazione è del tutto
instabile, in un anno si cambia lavoro 3 o 4 volte. Non ci sono
orari, né prestazioni sociali, i rapporti sociali sono, appunto,
castali, con la differenza che qui la mobilità ascendente e
discendente è elevatissima. La produttività aumenta senza
considerazione alcuna per gli effetti sulla vita privata dei
lavoratori e delle lavoratrici: “assenza completa di vita sociale,
dieta alimentare schifosa, mancanza di esercizio fisico, sigarette a
mille, disordini nervosi ricorrenti e, non da ultimo, emorroidi”.
Su questi temi è possibile andare a visitare il sito
che funziona proprio come uno spazio di informazione sulle
condizioni del lavoro ad alta tecnologia.
Internet è dunque la nuova fabbrica, ma al tempo stesso è anche
il nuovo sindacato. Se è il luogo dello sfruttamento, è anche il
luogo dell’autorganizzazione dei lavoratori. Ecco allora che negli
ultimi tempi sono nati siti come http://www.washtech.org/index.php3
in cui si possono trovare informazioni sulle azioni individuali
o collettive con cui opporsi alla net-slavery. Nella dichiarazione
di intenti di WashTech leggiamo: WashTech è una organizzazione di
lavoratori ad alta tecnologia che si uniscono per dotarsi di una
voce efficace nell’arena legislativa e nel campo sindacale, per
ottenere migliori salari, e per affermare i diritti del lavoro.
In Italia una prospettiva di questo genere è soltanto ai suoi
inizi. Chi lavora nelle aziende della new economy, o nel ciclo della
produzione comunicativa si considera spesso un privilegiato. Ma
qualche segnale di approfondimento critico cominciamo a vederlo. Ad
esempio all’indirizzo http://www.ecn.org/sortal
è in allestimento un portale destinato ai problemi del lavoro
flessibile e agli effetti della new economy nella vita sociale e
psichica dei lavoratori. E recentemente è stato lanciato un sito
che si chiama ironicamente www.labellavita.org
dedicato alle psicopatie e alla miseria affettiva prodotta dallo
stress da competizione e dalle illusioni della new economy.
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