Venerdì 20 Aprile 2001



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Stress tecnologico: Internet come in fabbrica?
(di Franco "Bifo" Berardi)


Pillole di dolorante saggezza da Netslaves


Hardware, hard work

"Il lavoro è un incubo"
Intervista a Christian Marazzi

Non ci resta che piangere

Dall'archivio di MediaMente.it:

New Workers

 


"Il lavoro è un incubo"

Secondo l'economista Christian Marazzi la mentalizzazione del lavoro ci fa sentire "unici": per questo così tante persone lavorano in condizioni di "schiavismo"

di Wanda Marra

Professor Marazzi, nel suo libro, Il posto dei calzini, lei sostiene che produzione e comunicazione non sono che un'unica cosa e che il linguaggio dell'economia attuale è il linguaggio performativo di John Austin, un "enunciato linguistico che non descrive uno stato di cose, ma produce immediatamente un fatto reale". Secondo lei é quello che succede con Internet?


Quando ho scritto quel libro, non pensavo ad Internet, ma Internet è stata la massima realizzazione della compenetrazione tra azione comunicativa e azione produttiva. La Rete, inoltre, ha una valenza che eccede il puro linguaggio; ormai è parte integrante dell'economia, anche se si era sperato costituisse una sfera di libertà.
Il linguaggio diventa performativo e ha la forza di trasformarsi in cose e produrre azioni, senza riferimento a cose preesistenti. L'entrata del linguaggio nell'economia permette di organizzare l'ambito produttivo secondo modalità impensabili con la fabbrica, che aveva una sua rigidità sociale e organizzativa quasi fisica.
Con le nuove tecnologie, una serie di mansioni vengono delegate. Si produce un crescita della ricchezza che ha una serie di risvolti negativi, come la flessibilità e l'aumento del lavoro. Si è creato un universo lavorativo nel quale la differenza tra tempo lavorativo e tempo privato è inesistente. In questo modo, il lavoro è un incubo.

Bill Lessard e Steve Baldwin nel loro libro dedicato ai Netslaves dividono i lavoratori della new economy in undici caste, che vanno dal grado più basso a quello più alto della scala lavorativa. I Netslaves, gli schiavi della nuova economia, sono in realtà tutti i lavoratori di questo settore. Lei è d'accordo?

Nella new economy, in particolare nella fetta in cui si produce per la Rete, il lavoro è simile a un lavoro schiavistico: non ci sono orari, non ci sono coperture assicurative, i lavoratori sono dipendenti delle oscillazioni e degli umori del mercato. Questo settore della new economy è di tipo schiavistico, quasi castale, i padroni assomigliano ai vecchi padroni delle ferriere.
Milioni di giovani sono stati attirati dal miraggio di una ricchezza facile. Nel 1998, la rivista americana Fortune pubblicò un'inchiesta, secondo la quale il 77 per cento degli studenti americani prevedeva di diventare ricco in poco tempo. Si tratta di un miraggio costruito sul successo di pochissimi. In questo mondo produttivo si fa molta leva sul tipo di lavoro. Le persone si sentono insostituibili, perché la mediazione del lavoro manuale è diventata banale. Non esiste più il lavoro concreto tradizionale, per esempio quello dell'albergatore che controlla le stanze dell'albergo. Ora il lavoro concreto che caratterizza ciascuno è un lavoro cognitivo, mentale: e questo ci fa sentire unici, insostituibili. Altrimenti lo sfruttamento non si spiega. Adesso la crisi la sta ridimensionando, ma si deve tentare di capire perché la new economy ha attirato tante persone in condizioni come queste.

Lo stress è al centro della vita dei netslaves. Uno stress soprattutto mentale e psicologico che non risparmia nessuno. In un certo senso il lavoro sembra essere diventato l'unica dimensione della vita. Dunque, tutto questo è accaduto perché ci sentiamo unici?

Prima c'era una distinzione netta tra il tempo dedicato a lavorare e il resto del tempo. Un operaio usciva dalla fabbrica e smetteva di lavorare. L'alienazione tanto deprecata era anche una separazione dal lavoro, con il quale si aveva un rapporto di indifferenza. Con l'avvento delle nuove tecnologie e la mentalizzazione del lavoro, c'è stato un tentativo di fondere lavoro e lavoratore: non si smette mai di pensare al lavoro, si fanno propri gli obiettivi della propria impresa, anche se questi magari non portano nulla di concreto al singolo individuo. Questo passaggio si può certamente analizzare come una perversione diabolica del capitale, ma si deve tentare di capire il perché di quello che è successo. Molti sono stati costretti a lavorare in questo modo, ma molti l'hanno fatto per entusiasmo. Non c'è dubbio che la new economy ha funzionato anche per questa capacità di assorbimento e di immedesimazione spontanea.

Secondo lei si andrà avanti per questa strada o si tornerà indietro?

Non si tornerà indietro. Ma per rispondere a questa domanda bisogna anche cercare di capire cosa sta succedendo in queste settimane di crisi. Sicuramente stiamo entrando in una fase di riorganizzazione. Mi capita di leggere di persone che si sono organizzate per fare delle rivendicazioni normative. Non ci sono sindacati, ma si stanno ponendo all'attenzione una serie di questioni, come i licenziamenti, le vacanze ecc. La tendenza è verso una normalizzazione del lavoro, un ampliamento del lavoro dipendente, diversamente da quanto si era creduto in passato. Che si arrivasse a un mondo di lavoratori indipendenti è stata un'illusione. La rivendicazione dell'autonomia, con l'automatizzazione è stata una trappola. Adesso ci sarà la rivendicazione della sicurezza e della separatezza, rispetto alle oscillazioni del lavoro: in questa new economy i lavoratori hanno pagato le conseguenze della crisi, molto più dei padroni.

In una recensione al libro di Mandel, Internet depression, lei afferma che la new economy è in realtà una anti-economy. Ci può spiegare che cosa significa?

Le potenzialità economiche internettiane sono tantissime. Ma pensiamo alla vicenda Napster, che ha mostrato che i beni possono essere messi in circolazione liberamente. È nella natura della new economy e delle nuove tecnologie poter "clonare" all'infinito.Il processo contro la Microsoft per il monopolio, ha messo l'accento su un problema centrale: come conciliare la natura sociale e collettiva di ciò che la new economy produce con la sua appropriazione privata?
Secondo me il passaggio dalla fase euforica alla fase di crollo si può ricercare proprio nel momento del processo a Bill Gates. Questo è emblematico. Il problema principale è quello della proprietà privata di qualcosa che è sociale perché riproducibile. In questo senso la nuova economia si può considerare un'antieconomia.


Christian Marazzi ha insegnato Economia e Sociologia alla State University di New York, all'Università di Losanna e all'Università di Ginevra. E' stato economista-ricercatore presso il Dipartimento Opere Sociali e attualmente lavora presso la SUPSI, Dipartimento di lavoro sociale. Tra le sue pubblicazioni: La povertà in Ticino (Bellinzona, 1987), Il posto dei calzini (Casagrande, Bellinzona, 1994), E il denaro va (Casagrande-Bollati Boringhieri, 1998).