Lunedi' 26 marzo 2001


E' giusto sviluppare la ricerca per la clonazione umana?
di Franco "Bifo" Berardi

Partecipa alla discussione

Leggi Scrivi


Per approfondire:

Che cos'è la clonazione?

di Sabina Morandi

Clonare è o non clonare? Questo è il problema

L'ingegneria genetica: un connubio di cattiva scienza e grande business

Quasi come voi: storia di una "creatura" geneticamente costruita

Clonazione umana: la normativa nel mondo


Mappa Interattiva

 




Il lato oscuro di Internet

Dimenticatevi i miracoli di Tiscali e l’impero multimiliardario di Bill Gates e preparatevi a entrare nel lato oscuro della rete. Dove sigle altisonanti e anglismi spesso superflui non mascherano più di tanto la precarietà di molti lavori svolti nell’incertezza del futuro. Dove, seppure si può (volendo) essere orgogliosi di lavorare nella new economy, la fierezza non sgombra certo il campo dalle difficoltà. Che sono quelle di sempre, loro non cambiano. In effetti, di fronte a uno sparuto gruppo di gente baciata dalla fortuna (ad esempio grazie alle stock options del network per cui lavorano, improvvisamente centuplicate in un mercato azionario taumaturgico e non sempre logico), campeggia una vastità di precari che stringe la cinghia. Persone che collaborano (è il termine esatto) con siti o portali dalla mortalità impressionante, che lavorano anche sedici ore al giorno e il fine settimana, senza contributi né coperture previdenziali, col rischio fin troppo verosimile di ritrovarsi disoccupate dall’oggi al domani. Sono i Netslaves (gli schiavi della rete ), i forzati di Internet, quelli che lavorano in rete senza rete. A loro è dedicata la prima di una lunga serie di testimonianze: un’inchiesta svolta per un anno intero da due giornalisti americani free lance, Bill Lessard e Steve Baldwin. Fino a oggi, infatti, non si è mai parlato di sfruttamento e precarietà a proposito di Internet e dei nuovi mestieri che vi ruotano attorno. Eppure esistono e riguardano molte persone, perché la rete non è solo la mecca della nuova economia, il giocattolo del secondo millennio di cui tutti, quando ne parlano e scrivono, non possono che tessere elogi. Al contrario, esiste un rapporto speculare tra mondo reale e virtuale. Le magagne del primo si riproducono nel secondo. Per questo il libro di Lessard e Baldwin è già un successo. Perché racconta una verità mai ammessa: Internet è una giungla, altro che Eldorado. Se ci vuoi lavorare, devi imparare a difenderti. Netslaves ha dato vita a un sito, aggiornato frequentemente da chiunque lavori nel settore tecnologico e abbia qualche esperienza di ordinaria prevaricazione da raccontare. Due giornalisti (anch’essi "schiavi di Internet" e quindi dotati di una forte capacità d’immedesimazione) hanno scandagliato la web economy americana alla ricerca di esperienze individuali da trasformare in categorie sociologiche. E a tal punto ci sono riusciti da avere configurato una vera e propria organizzazione del lavoro, di struttura esplicitamente gerarchica, su cui si sviluppa il business delle nuove tecnologie. "New media caste system", così l’hanno battezzato. E’ la piramide delle professioni legate a Internet, cementata alla base dai mestieri più dequalificati e sfruttati e adornata ai vertici dai vari manager di successo. In basso (molto in basso) ci sono i garbagemen, gli spazzini: gente che non bilancia a dovere il sonno e la veglia, a disposizione dei clienti 24 ore su 24, pronta ad alzarsi nel cuore della notte per riavviare un server o accorrere in aiuto di qualche novizio che non sa maneggiare un browser. Gli uomini del supporto tecnico (questo sono) lavorano in media 60 ore a settimana, sono molto giovani (23, 25 anni d’età), guadagnano una ventina di dollari all’ora e costituiscono il 40 per cento della popolazione dei Netslaves. Ma non sono soli. Altrettanto diffusi sono i cybercops, i cyberpoliziotti, la cui funzione è di pattugliare la rete alla ricerca di materiale pornografico da smascherare e censurare. Neanche loro hanno vita facile. Lavorano sette giorni su sette senza assistenza sanitaria e certo non possono ambire al posto fisso. L’età media è un po’ più alta (20/30 anni), la paga più bassa (dieci dollari all’ora), l’orario più o meno lo stesso (50/60 ore a settimana). Poi vengono i "lavoratori sociali", quelli che fanno intrattenimento su Internet e moderano le chat. Una di loro era Cindy, una casalinga che ebbe il suo momento di gloria come animatrice di una chat sulle celebrità su Aol (America on line). La sua area web aveva migliaia di accessi, ma di punto in bianco Cindy fu licenziata, passò un anno senza lavoro e divorziò dal marito. Si potrebbe andare avanti e descrivere tutte le categorie del sistema (sono molte e per ognuna Lessard e Baldwin hanno una storia da raccontare). Ma forse vale la pena di soffermarsi su un test ideato dai due giornalisti per l’identificazione dei Netslaves. In base alle risposte fornite, chiunque può capire se appartiene o no alla tribù degli schiavi della rete. Si va per grandi temi. Alla voce "Il tuo rapporto con la tecnologia", ad esempio, bisogna definire il proprio computer scegliendo una tra le seguenti opzioni: a) ottimizza la mia produttività; b) è il mio migliore amico; c) mi permette di lavorare nelle ore più pazze; d) è l’unica fonte di riscaldamento della casa. Nella parte del test dedicata alla vita professionale, invece, si chiede di descrivere la propria abitazione: a) piccola ma efficiente; b) condivisa, una specie di dormitorio; c) fetida e sommersa dai rifiuti; d) non ricordo (ma posso descrivere l’ufficio). Il tono ironico, tuttavia, non deve fuorviare. L’argomento resta serio. Stando agli autori di Netslaves, infatti, sono almeno quattro milioni le persone che lavorano nel settore tecnologico, negli Stati Uniti, in condizioni di sfruttamento. Molti di loro, però (ci avvertono Lessard e Baldwin), individualisti incalliti, sprovvisti di una cultura sociale del lavoro e di un senso collettivo dei propri diritti, sono in parte responsabili della propria situazione.

Dr. Vincenzo Donvito