Lunedi' 26 marzo 2001


E' giusto sviluppare la ricerca per la clonazione umana?
di Franco "Bifo" Berardi

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E' giusto sviluppare la ricerca per la clonazione umana?

di Franco "Bifo" Berardi

L'anno scorso aveva provocato grande interesse in diversi ambienti di Internet, il lungo articolo di Bill Joy, uscito su WIRED nell'estate 2000 con il titolo "Why the future does not need us". Con l'autorevolezza che gli viene dalla sua posizione di CEO della Sun Microsystem (dunque tutt'altro che un emarginato neoluddista punk), Bill Joy aveva rivelato il suo disagio di ricercatore e di creatore di interfacce uomo-macchina sempre più raffinate. Il punto di arrivo delle nostre ricerche integrate, afferma Joy, è l'eliminazione dell'umano, la sua sostituzione con automatismi prodotto dall'ingegneria informatica e genetica.

Anche se molti governi dell'occidente si sono pronunciati a favore di una limitazione della ricerca biotecnica, per quel che riguarda la prospettiva estrema della clonazione umana, tutti sanno benissimo che questa questione si staglia, nettissima, all'orizzonte dello sviluppo delle biotecnologie. Nel suo numero di febbraio 2001 la rivista WIRED (quella stessa che aveva ospitato il saggio di Bill Joy) dichiara, sulla copertina "Someone will clone a Human in the next 12 months" e lancia un titolo a caratteri cubitali YOU AGAIN, accompagnato dall'immagine di un bambino. E il sottotitolo suona così: Storia in tempo reale della scienza che produce la rottura, laboratori rinnegati e anime disperate.

In effetti il servizio di Wired (una rivista che da quasi un decennio ha la capacità di prefigurare gli scenari tecnoscientifici con grande competenza specifica, ricchezza di informazioni e gusto della scandalo) ci parla di padri che hanno perduto un figlio e mettono tutte le loro risorse al servizio di bioingegneri usciti dai laboratori più avanzati del mondo, ci parla di scienziati che mettono i loro skills al servizio di imprese disperate, ma non per questo necessariamente inefficaci.

In Europa il tema della clonazione incontra la radicata ostilità della cultura umanistica e della spiritualità religiosa cristiana. Ma in NordAmerica il clima culturale è più permeabile al fascino della prospettiva postumana. Un sito come Humancloning (www.humancloning.org) rivendica il diritto della ricerca privata di perseguire l'obiettivo della clonazione di esseri umani. "Se il diritto costituzionale della privacy significa qualcosa esso è il diritto dell'individuo sposato o singolo di essere libero da una intrusione governativa non richiesta in materie così personali come la decisione su procurarsi un figlio…e anche "l'ostilità pubblica contro la clonazione riproduttiva umana può basarsi su una paura illogica e temporanea di una nuova tecnologia." E in una pagina intitolata "All the Reasons to Clone Human Beings " vengono elencate le situazioni in cui la clonazione umana deve essere considerata legittima e auspicabile: tragedie mediche, incidenti mortali, rimedio per l'infertilità. Ma anche il desiderio di dar vita a un clone che possa vivere la vita felice che noi non siamo riusciti a vivere. Le religioni sintetiche americane contribuiscono a creare un clima fiducioso verso una simile prospettiva.

Lo sviluppo che le biotecnologie hanno conosciuto negli ultimi anni ha avuto un ritmo talmente rapido che il pensiero politico e la coscienza etica sembrano incapaci di tenere il passo. I credenti hanno ragioni ben chiare per respingere la prospettiva della replicazione tecnica degli organismi biologici, ma chi non fonda sulla fede il proprio giudizio, in base a quale criterio può respingere la libertà dei ricercatori di sperimentare in questo campo? Recentemente abbiamo assistito a una polemica che nel nostro paese ha opposto una parte dell'opinione politica ambientalista a una parte della comunità scientifica. Oggetto della polemica era ildiritto della collettività di intervenire sulle scelte della ricerca per imporre l'interesse sociale in un campo che ha ovviamente conseguenze di pubblico interesse. Ma chi, se non la comunità scientifica, può stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato?

E inoltre: è possibile un intervento normativo sulla libertà di ricerca che non finisca per imporre limiti alla conoscenza medesima violando l'autonomia della scienza, e restaurando un principio di tipo inquisitoriale? IMHO personalmente non credo che la legge dello stato possa impedire, regolamentare, limitare la ricerca. Ma credo al tempo stesso che sia pericolosissimo lasciare la ricerca alle dipendenze della legge economica, più potente di quella politica, e costitutivamente indifferente agli interessi generali quando sono in gioco immense possibilità di profitto. E' difficile dire perché dovremmo essere contrari alla clonazione umana (se non crediamo nell'origine divina della vita). Però è facile capire quanto sia pericoloso (e anche un po' orrendo) un mondo in cui la generazione della vita dipende dagli interessi economici di qualche gruppo privato. Il problema non è affatto quello di limitare la libertà di ricerca. Il problema è quello di rompere il legame tra ricerca e profitto privato. Non è forse matura, anzi urgentissima, una campagna di opinione contro la brevettabilità e la privatizzazione dei risultati della ricerca nel campo delle biotecnologie?