E' giusto sviluppare la ricerca per la clonazione umana?
di Franco "Bifo" Berardi
L'anno scorso aveva provocato grande interesse in diversi
ambienti di Internet, il lungo articolo di Bill Joy, uscito su WIRED
nell'estate 2000 con il titolo "Why
the future does not need us". Con l'autorevolezza che gli
viene dalla sua posizione di CEO della Sun Microsystem (dunque
tutt'altro che un emarginato neoluddista punk), Bill Joy aveva
rivelato il suo disagio di ricercatore e di creatore di interfacce
uomo-macchina sempre più raffinate. Il punto di arrivo delle nostre
ricerche integrate, afferma Joy, è l'eliminazione dell'umano, la
sua sostituzione con automatismi prodotto dall'ingegneria
informatica e genetica.
Anche se molti governi dell'occidente si sono pronunciati a
favore di una limitazione della ricerca biotecnica, per quel che
riguarda la prospettiva estrema della clonazione umana, tutti sanno
benissimo che questa questione si staglia, nettissima, all'orizzonte
dello sviluppo delle biotecnologie. Nel suo numero di febbraio 2001
la rivista WIRED (quella stessa che aveva ospitato il saggio di Bill
Joy) dichiara, sulla copertina "Someone
will clone a Human in the next 12 months" e lancia un
titolo a caratteri cubitali YOU AGAIN, accompagnato dall'immagine di
un bambino. E il sottotitolo suona così: Storia in tempo reale
della scienza che produce la rottura, laboratori rinnegati e anime
disperate.
In effetti il servizio di Wired (una rivista che da quasi un
decennio ha la capacità di prefigurare gli scenari tecnoscientifici
con grande competenza specifica, ricchezza di informazioni e gusto
della scandalo) ci parla di padri che hanno perduto un figlio e
mettono tutte le loro risorse al servizio di bioingegneri usciti dai
laboratori più avanzati del mondo, ci parla di scienziati che
mettono i loro skills al servizio di imprese disperate, ma non per
questo necessariamente inefficaci.
In Europa il tema della clonazione incontra la radicata ostilità
della cultura umanistica e della spiritualità religiosa cristiana.
Ma in NordAmerica il clima culturale è più permeabile al fascino
della prospettiva postumana. Un sito come Humancloning
(www.humancloning.org) rivendica il diritto della ricerca privata di
perseguire l'obiettivo della clonazione di esseri umani. "Se il
diritto costituzionale della privacy significa qualcosa esso è il
diritto dell'individuo sposato o singolo di essere libero da una
intrusione governativa non richiesta in materie così personali come
la decisione su procurarsi un figlio…e anche "l'ostilità
pubblica contro la clonazione riproduttiva umana può basarsi su una
paura illogica e temporanea di una nuova tecnologia." E in una
pagina intitolata "All the Reasons to Clone Human Beings "
vengono elencate le situazioni in cui la clonazione umana deve
essere considerata legittima e auspicabile: tragedie mediche,
incidenti mortali, rimedio per l'infertilità. Ma anche il desiderio
di dar vita a un clone che possa vivere la vita felice che noi non
siamo riusciti a vivere. Le religioni sintetiche americane
contribuiscono a creare un clima fiducioso verso una simile
prospettiva.
Lo sviluppo che le biotecnologie hanno conosciuto negli ultimi
anni ha avuto un ritmo talmente rapido che il pensiero politico e la
coscienza etica sembrano incapaci di tenere il passo. I credenti
hanno ragioni ben chiare per respingere la prospettiva della
replicazione tecnica degli organismi biologici, ma chi non fonda
sulla fede il proprio giudizio, in base a quale criterio può
respingere la libertà dei ricercatori di sperimentare in questo
campo? Recentemente abbiamo assistito a una polemica che nel nostro
paese ha opposto una parte dell'opinione politica ambientalista a
una parte della comunità scientifica. Oggetto della polemica era
ildiritto della collettività di intervenire sulle scelte della
ricerca per imporre l'interesse sociale in un campo che ha
ovviamente conseguenze di pubblico interesse. Ma chi, se non la
comunità scientifica, può stabilire ciò che è giusto e ciò che
è sbagliato?
E inoltre: è possibile un intervento normativo sulla libertà di
ricerca che non finisca per imporre limiti alla conoscenza medesima
violando l'autonomia della scienza, e restaurando un principio di
tipo inquisitoriale? IMHO personalmente non credo che la legge dello
stato possa impedire, regolamentare, limitare la ricerca. Ma credo
al tempo stesso che sia pericolosissimo lasciare la ricerca alle
dipendenze della legge economica, più potente di quella politica, e
costitutivamente indifferente agli interessi generali quando sono in
gioco immense possibilità di profitto. E' difficile dire perché
dovremmo essere contrari alla clonazione umana (se non crediamo
nell'origine divina della vita). Però è facile capire quanto sia
pericoloso (e anche un po' orrendo) un mondo in cui la generazione
della vita dipende dagli interessi economici di qualche gruppo
privato. Il problema non è affatto quello di limitare la libertà
di ricerca. Il problema è quello di rompere il legame tra ricerca e
profitto privato. Non è forse matura, anzi urgentissima, una
campagna di opinione contro la brevettabilità e la privatizzazione
dei risultati della ricerca nel campo delle biotecnologie?
|