Leggi gli altri articoli

"Utenti siate più esigenti"

"Cittadini di Magma City"

"Il futuro dopo il Futurshow"

"Il software può fare di più"

Dall'archivio:
"La rivoluzione digitale "
"Dall'atomo al bit"

"Davanti a noi decenni di crescita"

"Un vulcano di idee"


"Utenti siate più esigenti"

Carlo Massarini

Dopo sette anni torna a Mediamente Nicholas Negroponte fondatore e direttore MIT Media Lab, oggi consigliere personale di Gasparri. Il futuro? Non si prevede, ma si inventa, integrando il buonsenso nei computer

Dopo sette anni sono cambiate molte cose nel mondo e probabilmente anche nella sua vita. Può dirci cosa è cambiato?

In questi sette anni molte cose sono cambiate con grande rapidità. Quando il digitale fece la sua prima comparsa sembrava qualcosa di estremo e invece poi si è rivelato un fenomeno piuttosto conservatore. Molte previsioni non solo si sono verificate ma si sono verificate addirittura in misura maggiore rispetto al previsto, soprattutto per quanto riguarda la penetrazione nel mondo, sia nei paesi industrializzati sia in quelli di via di sviluppo. Dopo sette anni la situazione è più o meno come me la sarei aspettata dopo dieci anni, tanto è cambiata in fretta.

Tante cose di cui lei parlava erano allora una novità, come ad esempio il fatto di mettere tanti bit in un unico file, cose che oggi sono date per scontate. Cosa invece di quanto affermava non è ancora un dato consolidato?

Probabilmente riguarda più i dettagli. Le faccio un esempio di qualcosa che non è avvenuto e che avrebbe dovuto succedere: l'uso del linguaggio, essere capaci di parlare liberamente alle macchine e di usare la voce come interfaccia predominante o quanto meno significativa. Immaginavo che sarebbe accaduto molto più in fretta. Così non è stato. Oggi però, con i telefoni cellulari che diventano sempre più piccoli rendendo le dita della mano sempre meno adatte come interfaccia, credo che nel giro di un paio d'anni il linguaggio acquisterà maggiore importanza e finirà per imporsi. Ma si tratta più che altro di dettagli.

A suo parere quali sono stati in questi sette anni i successi, i veri successi del mondo digitale e quali gli insuccessi?

Quello che probabilmente è stato il successo più grande oggi viene considerato un fallimento. Mi riferisco alla nascita di un tipo completamente nuovo di economia imprenditoriale. Quel successo ha implicato più che altro un'assunzione di rischio. Soprattutto in Europa - e in particolare modo in Italia - i giovani hanno cominciato ad agire in modo imprenditoriale, ad assumersi dei rischi. In precedenza un dato culturale molto radicato induceva i giovani a cercare lavoro in una grande azienda; i genitori desideravano che i propri figli mirassero alla stabilità e alla prevedibilità, non al rischio. Considero quel cambiamento un grande successo. Oggi, dopo il tonfo registrato in quel settore, molti genitori dicono: "Vedi? Te l'avevo detto che non poteva funzionare!" Ma è sbagliato, perché chiunque si laurei all'università dovrebbe assumersi questo tipo di rischio, comunque vada, avrà imparato qualcosa. Non è poi un rischio così alto. È stato uno dei successi più grandi e anche se oggi qualcuno lo considera un fallimento, tornerà sicuramente alla ribalta. E quando ciò avverrà si dovrà recuperare il terreno perduto negli ultimi diciotto mesi.

E per quanto riguarda le tecnologie, i singoli settori o le singole tecnologie che si sono rivelate grandi successi o grandi flop rispetto alle previsioni?

La tecnologia che si è sviluppata maggiormente in questo periodo e che riguarda una serie di applicazioni, non solo in rapporto ai computer ma anche nel campo dei cellulari e così via è il mondo del wireless, del "senza fili" in generale. Sette anni fa nessuno avrebbe immaginato una presenza così marcata del wireless, questa ampiezza di banda e questa penetrazione a livello mondiale. Credo che il mondo del wireless in generale abbia raccolto la maggiore serie di successi tra i tanti. Per quanto riguarda gli insuccessi, invece, devo dire che l'interfaccia umana del computer continui a essere il caso più clamoroso. La triste verità è che oggi i computer sono addirittura più difficili da usare di quanto non lo fossero sette anni fa. Aumenta sempre di più il numero delle persone ridotte alla disperazione a cadenza settimanale per problemi di affidabilità, per i crash di sistema, perché si sentono stupide... per una serie di cose che non dovrebbero mai accadere.

Secondo lei perché è successo? Perché le aziende non lavorano di più sull'interfaccia e meno sulla potenza della macchina?

Per due motivi. Uno è che gli individui che lavorano a queste cose non sono degli utenti tipici e non hanno alcun sentimento di solidarietà per il profano semplicemente perché non capiscono. È come andare in bicicletta; una volta che si è imparato, ci si dimentica molto in fretta la grande fatica che ci è costato apprendere come si fa. Il secondo motivo, a essere onesti, è che l'utente non si mostra abbastanza esigente e in molti casi tende a colpevolizzare se stesso: "Ho sbagliato io..." Infine, per amor di verità, esiste anche un terzo motivo, ossia che è tutto molto difficile. È molto difficile riuscirci, perché bisognerebbe avere macchine dotate di buonsenso. Ma la realizzazione di macchine dotate di buonsenso rappresenta un programma ventennale. Nel frattempo potremmo cercare di rendere le macchine più affidabili e più semplici da usare, ma l'obiettivo a lungo termine è di integrare il buonsenso nei computer.

Considerando la fase di crisi, questo ripensamento generale, sento spesso dire che dopotutto Internet, specie per il mondo degli affari e per il B2B, non sarebbe un vero e proprio mondo a sé stante ma solo un fantastico strumento. Lei è d'accordo?

No, non sono d'accordo. Credo che sia veramente un nuovo mondo perché dischiude nuove opportunità, annulla l'intermediazione tra intere catene di persone ed organismi, permette di raggiungere mercati che altrimenti sarebbero impenetrabili. È facile definire uno strumento dando una sorta di connotazione spregiativa, negativa al termine... "È solo uno strumento, non è poi così importante". Io credo che sia molto più di uno strumento. Non che sia un'intelligenza, più che altro è una cultura. E la cultura del computer ha preso piede in alcuni paesi più che in altri. La cosa sorprendente però è che si sta diffondendo a ritmo più sostenuto nei paesi in via di sviluppo piuttosto che in alcune nazioni industrializzate, ossia nei paesi con forti motivazioni. Sarebbe inaccettabile, in questo paese come quasi ovunque, mettere un solo computer in una scuola in cui non vi sono libri, ma se una scuola non dispone di libri, significa che il livello di indebitamento è alto. Si osserva uno sviluppo culturale più rapido nei posti in cui maggiore è l'indebitamento e questo in effetti potrebbe essere l'unica via per uno sviluppo economico e sociale.

Lei crede - e se sì, in che modo - che il mondo digitale, Internet, abbia cambiato la cultura moderna a tutti i livelli, ad esempio dall'arte al settore della ricerca, alla scrittura, alle relazioni interpersonali? In che modo ritiene che abbia cambiato la cultura? Che tipo di vuoto ci sarebbe oggi se non esistesse Internet?

La cultura cambia in svariati modi, quasi tutti di natura generazionale. Un quindicenne che viene da una famiglia che può permettersi il computer o che frequenta un ambiente informatizzato non è nemmeno in grado di concepire la vita senza il computer. È un po' come i cellulari in questo paese. Succede tutto molto in fretta, diventa uno strumento, qualcosa che si integra nella vita di tutti i giorni. Quello che accade è che si cominciano a fare più cose in modo asincrono: ci si connette in orari diversi, si usano i piccoli spazi della giornata in modo molto più creativo e questo consente di liberare dell'altro tempo. Ciò ha delle ripercussioni molto profonde nel sociale e queste ripercussioni si fanno sempre più evidenti man mano che i nostri figli diventano digitali. Tutto avverrà a livello generazionale.

Ricordo che lei parlava della differenza tra la cultura americana e la cultura europea. Lei non dava grande importanza ai secoli di cultura che noi europei abbiamo alle spalle. Diceva che erano una specie di "zavorra", qualcosa di pesante da portarsi appresso... piuttosto che qualcosa che potesse migliorare una situazione. Continua a credere che sia così?

Definisco quel fenomeno "il bagaglio della storia" - ma questo non significa che non si debba averlo. Sotto molti aspetti è la ricchezza culturale a definire una società. Ma spesso ci sono persone che vivono con inerzia questa ricchezza: guardano al passato e si sentono talmente a proprio agio in quella dimensione che non sentono nessuno stimolo a cambiare a provare cose nuove. La comodità, la sicurezza di un passato forte molto spesso diventano nemiche della creatività.

Ricordo che questo era un tema assai controverso.

Può essere controverso, ma è vero. Non voglio dire che non si debba averlo, ma bisogna riconoscere che si corre un rischio reale. Prendiamo ad esempio la Francia, un paese talmente intriso di storia e di idee progressiste... l'assunzione di rischio risulta molto bassa. E per una serie di motivi vediamo che molti giovani francesi lasciano il loro paese per svolgere altrove un'attività imprenditoriale e questa è una vergogna.

Lei è consigliere personale di Maurizio Gasparri. Dal nostro punto di vista questo è molto interessante nel senso che indica una decisione felice da parte del ministro. Qual è il suo esatto ambito operativo? E cosa può fare per la situazione italiana?

Io ho accettato in parte perché l'Italia mi piace veramente, ma soprattutto perché vedo nell'Italia e nella sua cultura una potenziale nazione digitale - quasi più che in qualunque altro posto. Da un punto di vista potenziali l'Italia è molto più proiettata nel digitale di quanto non lo sia effettivamente, visto che la penetrazione nelle case, nelle scuole, persino nelle aziende, resta molto bassa. L'opportunità di fare qualcosa di veramente grande è senza dubbio straordinaria.

Concretamente, quali sono le opportunità che lei intravede? Quali sono i settori in cui si potrebbe fare subito qualcosa e che potrebbero cambiare drasticamente la situazione?

Attualmente la maggior parte del lavoro riguarda l'uso dello spettro non concesso in licenza e il suo rapporto con il 3G. Come possono coabitare? In che modo partecipano le aziende che si sono aggiudicate lo spettro e l'asta? Sono temi molto complessi perché in altre parti del mondo si sta usando ottimamente e in modo creativo lo spettro non assegnato in licenza. È questo il settore al quale dedico gran parte del tempo.

A proposito dell'ex operatore monopolista, Telecom Italia, lei ci disse: "al momento una deregolamentazione non è possibile perché ci sono dei guasti da riparare. Ma alla fine il libero mercato prevarrà". Cosa è stato fatto in questi sette anni? È abbastanza? Cosa pensa si dovrebbe fare?

In questi sette anni sono state fatte la privatizzazione e la deregolamentazione. Ma anche dopo avere privatizzato e deregolamentato, l'operatore incombente, in questo caso Telecom Italia, possiede più o meno la maggioranza del cosiddetto ultimo miglio. Esiste pertanto de facto una posizione così forte che chiunque, sia essa France Telecom, Deutsche Telecom o British Telecom, deve dar prova della massima creatività sul suo impiego e mantenere il vantaggio di un tempo. E in effetti cominciamo a vedere dispiegata una grande immaginazione nel mondo del wireless. Chi offre servizi wireless si sta muovendo in modo molto creativo non altrettanto accade nel campo della rete fissa. Le aziende dovrebbero avere un approccio altrettanto creativo anche nel settore delle reti fisse anche se gli operatori vogliono mantenere la loro posizione forte.

La cosa strana è che a volte, pur facendo capo allo stesso proprietario, questi sono due mondi distinti. Quando parli con quelli di Telecom Italia, hai a che fare con persone blasé, in giacca e cravatta, molto tranquille. Se invece vai da TIM, solo per fare un esempio, ti trovi davanti dei manager molto attivi, veloci, dinamici. Sono due mondi diversi nonostante si trovino sotto lo stesso ombrello.


E' così in tutto il mondo: coloro che operano nel settore del wireless sono imprenditori che si assumono dei rischi. Per questo l'atteggiamento è completamente diverso e diverso è il modo di fare affari. Sono professionisti che, oltre ad assumersi dei rischi, vogliono muoversi molto in fretta. Non sono testardi ma preferiscono cambiare: un loro piano strategico potrebbe durare solo un mese ed essere modificato non appena il mercato cambia.

A proposito del calo del Nasdaq, lei nel 1995 disse: "Le multinazionali non controlleranno il mondo. Internet trasforma le piccole aziende in multinazionali. Le aziende grandi e piccole sono destinate a convivere". All'indomani del crollo del settore, a suo parere chi ha vinto e chi ha perso tra le piccole e le grandi compagnie? In che modo è stato sconvolto lo scenario generale?

Quello che è cambiato è che due anni fa, e anche prima, innovazione e ricerca provenivano in larga misura dalle piccole aziende che erano finanziate dalle grandi compagnie. Era un modo alternativo di fare ricerca: invece di avere un grande laboratorio come i Bell Labs o i Central Labs IBM, si finanziavano nuovi laboratori che operavano in parallelo. Oggi molti di questi soggetti sono scomparsi. Alcuni non avrebbero dovuto, sono rimasti vittima della flessione del mercato, vittima dei propri consigli di amministrazione che hanno perso denaro altrove perché non hanno prestato sufficiente attenzione. Credo però che assisteremo ad un ritorno in grande stile di un approccio imprenditoriale alle nuove idee, all'innovazione e alla ricerca. E sarà proprio questa la formula vincente.

Pay-per-view, Pay, Free - secondo lei qual è il futuro dei media? Lei disse che il mondo delle trasmissioni era vicino alla fine e che i nuovi media avrebbero decretato la vittoria di due modelli: interattività e pay-per-view. A quanto pare siamo ancora lontani, almeno per quanto riguarda il secondo, ma si fa un gran parlare di far pagare in qualche modo Internet, anche se finora nessuno ha ancora trovato un modello. Lei cosa ne pensa?

A mio parere accadrà che pagheremo per il valore aggiunto. Ci sarà sempre un servizio di base gratuito ma si dovrà pagare se si vuole qualità del servizio, sicurezza, sistemi di codifica, salvataggio e inoltro, filtri - tutti quei servizi a valore aggiunto. Per queste cose si pagherà.

Ma questo preoccupa la gente.

No, la gente non è poi tanto preoccupata da questo. Mi creda: quando atterro in un aeroporto voglio scaricare la posta elettronica e lo voglio fare in modo rapido e affidabile. E se lei mi dice che questo mi costerà tre o quattro dollari, non m'importa. In altre parole, per molte cose non si guarda al prezzo perché in quel dato momento assumono un valore troppo importante. Ovviamente, un bambino che fa i compiti a casa dovrebbe avere l'accesso gratuito, ma la qualità del servizio potrebbe essere diversa. Penso che ci sarà una vasta gamma di opzioni, che andranno dal gratuito al costoso, commisurate al valore aggiunto offerto.

Internet 2: qualcosa che si staglia all'orizzonte o no?

Internet 2 è un po' come dare una cena favolosa e, dopo sei mesi, voler invitare di nuovo la stessa gente e offrire le stesse portate nella speranza che sia ancora una volta una serata memorabile. In realtà non funziona in questo modo. Credo che sia qualcosa di più che un semplice incremento di Internet.

Parliamo di ampiezza di banda. Prevede un mondo con una maggiore ampiezza di banda? Fibre ottiche?

Senza dubbio. Fino a dove possibile, fino a dove sia possibile portarle. Se si potesse, anche in casa - sarebbe la cosa migliore.

Quali sono a suo parere i settori più interessanti per quanto riguarda le applicazioni o i servizi che renderanno economicamente fattibile il tutto?

Ancora una volta, il servizio più grande è la comunicazione stessa - non è tanto il contenuto di prospetti, indici di borsa, enciclopedie, o altro ma l'aspetto della comunicazione in sé. Questo non significa che non ci sarà un contenuto, ma quando sento dire che il contenuto sarà il motore della prossima generazione di Internet o della telefonia cellulare di nuova generazione, io non penso affatto che sarà quello il motore - sarà la comunicazione in sé, sia sincronica, come quella che avviene in questo momento tra noi due, sia asincrona, come quella che coinvolgerà i telespettatori nel momento in cui ci vedranno.

Uno dei suoi cavalli di battaglia riguarda la possibilità di incorporare l'intelligenza in oggetti comuni, a che punto siamo?

Il concetto di incorporare l'intelligenza in oggetti comuni è qualcosa che accadrà sempre più di frequente. Che si tratti di una pillola in un flacone che comunica con tutte le altre pillole e con la rete o il fatto che in Internet ci saranno più bambole Barbie che americani, fa tutto parte dello stesso principio di immettere cose in rete affinché si diffondano, estendano la loro intelligenza fuori della rete e diano prestazioni migliori. Nel caso di una Barbie, sarà da lì che trarrà storie, sarà da lì che acquisterà la capacità di parlare una lingua, di riconoscerla, di parlare diverse lingue - l'intelligenza non è nella Barbie di per sé o nella maniglia della porta o nell'aspirina o nel foglio di carta.

Quindi il mondo dell'intelligenza artificiale si diffonderà ovunque?

Principio di base è proprio la diffusione generale. Non ci sono cose intelligenti: la connettività e il comportamento collettivo possono essere intelligenti se c'è abbastanza connettività. È un po' il principio in base al quale funziona il cervello: le diverse componenti non sono intelligenti di per sé, sono le connessioni a fare l'intelligenza.

Quale scenario prevede per il 2010, ossia tra sette anni?

Penso che tutti i cambiamenti di cui abbiamo parlato non accadranno in modo così puntuale, non possiamo decidere adesso cosa ci sarà ad aprile del 2010. Queste cose succederanno, penetreranno nella società e si manifesteranno a livelli diversi.

Potrebbe esserci qualcosa che possa modificare, fermare o riportare indietro questo percorso evolutivo di cui lei parla? Qualcosa di imprevedibile...

Sì, senz'altro. E questa imprevedibilità è data anche dal fatto che io non sia in grado di dirle esattamente cosa potrebbe essere, allo stesso modo in cui l'economia è stata colpita l'11 settembre in una maniera che nessuno avrebbe potuto mai prevedere. Avremo problemi che riguardano la regolamentazione, problemi di natura sociale, problemi ai quali si presta troppa attenzione o troppo poca; temi come l'inquinamento elettromagnetico e cose del genere che potrebbero venire alla ribalta. È difficile dimostrare qualcosa che non esiste e questo potrebbe far arrestare tutto il sistema. In generale è possibile prevedere con sufficiente precisione in che modo i computer aumenteranno di velocità e capacità, di come i costi scenderanno. Si tratta di fenomeni incrementali e prevedibili. È possibile fare previsioni abbastanza esatte sulle telecomunicazioni, anche se l'industria si è mostrata lenta per quanto riguarda l'ampiezza di banda. Probabilmente non è possibile prevedere i fattori legislativi e sociali poiché spesso questi scaturiscono da punti di vista molto soggettivi e inspiegabili.

Sappiamo che anche le informazioni di carattere terroristico passano senza problema attraverso i bit. Dopo l'11 settembre, che cosa e' cambiato in termini di sicurezza della comunicazione?

Voglio rispondere in modo separato sull'11 settembre e sul problema della sicurezza perché penso che quello della sicurezza sia un elemento solo superficiale. Dopo l'11 settembre ho volato e sono transitato per gli aeroporti più di quanto non facessi prima e, se devo essere sincero, la situazione è migliorata, non peggiorata. Le persone sono più cordiali, più tolleranti. E chi viaggia spesso certe cose le apprezza molto. Infatti aerei e aeroporti vuoti sono per alcuni di noi un dato positivo, non un peggioramento. Ma l'11 settembre ha provocato qualcos'altro. Da un punto di vista prettamente personale, negli ultimi quattro o cinque anni - diciamo pure negli ultimi sette anni, tanto per essere in sintonia con la sua trasmissione - il mondo è diventato sempre più piccolo - era come la capocchia di uno spillo. Si poteva comunicare con gente in altre parti del pianeta, c'era l'e-commerce, per il quale la distanza non era un problema. All'improvviso, l'11 settembre, il mondo è tornato ad essere molto grande, è esploso in senso metaforico perché ci siamo accorti che alla grande mole di comunicazione non corrispondeva una grande comprensione. Tante cose che venivano date per scontate - e qui parlo per me - in questo mondo sempre più piccolo, in realtà così scontate non erano. E questo è un messaggio molto importante perché, se guardiamo ai problemi che ci sono nel mondo e guardiamo all'assenza di comunicazione, ci accorgiamo che i bambini non hanno di questi problemi - sono tutte costruzioni tipicamente da adulti. E forse una delle soluzioni a lungo termine - e mi riferisco a tempi molto lunghi - è investire più risorse e più tempo per collegare i bambini di tutto il mondo, perché se i bambini non crescono con una mentalità più globale di quella attuale, tra trenta, quarant'anni ci troveremo di fronte agli stessi identici problemi. Quindi una cosa da fare adesso è aumentare la connettività, specie tra i bambini - e quando dico "bambini" mi riferisco a bambini molto piccoli, di sei/sette anni. Questo è un punto molto importante da mettere all'ordine del giorno. Perciò, dal mio punto di vista l'11 settembre ha reso il mondo più grande dopo che per un lungo periodo era diventato sempre più piccolo.

In una battuta: crede di essere capace di prevedere il futuro?

No, il futuro non si prevede, si inventa.