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Cristina Pini

L'anima di Napoli: gioia e "melancolia", fatalismo e disperazione, superstizione e religiosità

"Le leggende sono il prodotto dello spirito collettivo, del genio della stirpe, dell'anima popolare", così dice Benedetto Croce in un capitolo del suo scritto Storie e leggende Napoletane, leggende che, storicamente, esprimono e contengono le tendenze morali, politiche e soprattutto sentimentali.

L'anima di Napoli, quella commistione di gioia e di "melancolia", di fatalismo e di disperazione, di superstizione e religiosità, è il luogo dove si sono raccolte nel corso dei secoli emozioni e suggestioni, sequenze di un passato fortemente presente.

Quella Napoli che è vicinissima al lago Averno - a ornos, senza uccelli - creduto da sempre la discesa agli inferi e che deve l'origine del suo nome all'assoluta mancanza di volatili a causa della composizione sulfurea delle sue acque. La Napoli che lega alla sua nascita la romantica leggenda della sirena Partenope che si uccise per la disperazione di non aver saputo ammaliare Ulisse con il suo canto, che sconfitta si getta in mare cercando la morte come rimedio al fallimento e il cui corpo trascinato dalle onde approda sullo scoglio di Megaride, origine della città e successivo luogo di difesa. Megaride, isolotto dove sorge Castel dell'Ovo - castello a forma di uovo - ma il cui nome deriva dalla leggenda secondo cui il poeta mantovano Virgilio - al quale nel medioevo venivano attribuiti poteri magici - pose nel castello di Megaride un uovo chiuso in una gabbietta murata nelle fondamenta. L'uovo incantato avrebbe svolto così una funzione di talismano: finché esso non si fosse rotto, città e castello sarebbero stati protetti da ogni tipo di calamità. E ancora a Virgilio mago si attribuisce l'apertura della grotta di Pozzuoli - scavata in tempi antichissimi nella collina per facilitare gli scambi commerciali con la città di Pozzuoli -, leggenda infatti la vuole dal poeta "scavata in una sola notte con l'aiuto di duemila demoni". Grotta pagana e grotta cristiana, ai piedi della quale si trova quel "Santuario di Santa Maria di Piedigrotta" sorto sulle ceneri del tempio dedicato a Priapo - il Dio della sessualità maschile -, Dio pagano a cui veniva regolarmente dedicata una festa orgiastica nel mese di settembre. Lasciato il passo alla Vergine, la tradizione della festa prosegue e i napoletani, senza scoraggiarsi, continuano a festeggiare la ricorrenza con musica e fuochi improvvisati nelle fiaccole in un tripudico abbandono agli stimoli erotici del ballo tradizionale e degli antichi canti sul tamburo, fino all'alba del giorno successivo.

Una Napoli che da una dissolutezza pagana ha assurto a una spettacolarità cristiana e credente concretizzata anche in quel Miracolo di San Gennaro che da tempi antichissimi si ripete tra preghiere in dialetto e invocazioni gridate - fra cui emerge la curiosa definizione del Santo "Faccia gialla", dal colore bronzeo del volto della statua portata in processione - miracolo a cui il popolo ha legato presagi di fortune o di sventure.
E ancora di superstizione commista a magia si trova traccia nei segreti legati al Principe di San Severo, nella cui cappella - sorta nella zona che anticamente faceva parte del quartiere nilense, abitato dagli Alessandrini d'Egitto, e dove era venerata la statua velata della Dea Iside - tutt'oggi si conservano "le macchine anatomiche" ovvero due corpi umani a cui il principe, con un preparato di sua invenzione, pare abbia tolto l'involucro corporeo, metallizzando fin nell'ultimo capillare l'intero sistema venoso e arterioso.

Ed è la città del folklore e del gioco inteso come seconda coscienza di una comunità, consapevole della sua storia, fiera e tollerante; se ne trovano tracce continue in questa terra, terra dove il gioco pubblico ha sempre avuto schiere infinite di adepti di ogni estrazione sociale. Basti pensare alla fortuna del lotto, il gioco genovese cinquecentesco, che trapiantato a Napoli ha creato attorno a sé una vera e propria mitologia, una vera filosofia. Il gioco definito da Matilde Serao come "acquavite di Napoli" e che faceva scrivere a Charles Dickens "che il popolo di Napoli credeva tanto ciecamente che ogni cosa avesse un riferimento nel lotto che il governo era costretto a sospendere le scommesse su fatti di cronaca troppo giocati per non rischiare il fallimento delle casse detto Stato". Gioco basato sul libro della Smorfia (probabilmente Morfeo, il Dio del sogno rientra nell'etimo), sul libro Divinatore Universale del Lotto che i 'postieri' - i ricevitori delle giocate - hanno da sempre a portata di mano e che indica tutti i numeri che corrispondono a personaggi e avvenimenti della vita quotidiana. Napoli è anche la città dove ogni avvenimento diventa segno. "Non è vero ma ci credo" parafrasando il titolo di una celebre commedia di Eduardo.