Le citazioni della nostra copertina di oggi dedicata a Napoli globalizzata sono tratte dal libro "Dadapolis. Caleidoscopio napoletano" di Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Müller

Leggi gli altri articoli

"Il confronto globale premierà chi è legato alle radici"

"Sogno una cultura meticcia, temo l'omologazione"

"Alla melodia non rinunciamo"

Elogio napoletano

La capitale della contaminazione

"Napoli: una città che ti guarda"


La capitale della contaminazione

Wanda Marra

Intervista a Fabrizia Ramondino autore di "Dadapolis. Caleidoscopio Napoletano"

Fabrizia Ramondino ha pubblicato romanzi, racconti, reportage, contraddistinti da una scrittura che oscilla tra lirismo e documentazione, tra autobiografia e descrizione della realtà. Al centro della sua esperienza letteraria ed esistenziale c'è Napoli, ricercata, interrogata, voluta, vissuta: un paesaggio dell'anima prima ancora che una città reale. Una scelta elettiva per una scrittrice che ha passato in Spagna tutta la sua infanzia, e che attraverso altri luoghi e attraverso altre esperienze, ha tentato soprattutto di capire e ritrovare Napoli.

Dal libro Dadapolis, emerge una Napoli complessa, sfaccettata, multiforme. Lei sceglieva una serie di percorsi tematici nei quali inserire le citazioni dei tanti scrittori (Dalla "Città aperta" a "Antichi e nuovi dei" fino a "Eros"). Quale immagine della città voleva rappresentare attraverso la scelta di quei temi?

Il titolo del libro Dadapolis, vuole essere un gioco di parole tra dadà, giocattolo per bambini, cavallino a dondolo, e città. Ma, i giochi dei bambini sono cose molto serie: il dadaismo intende l'arte come un gioco serio. Napoli è una città dadaista, una composizione. Come l'avanguardia intorno alla Prima Guerra Mondiale cercava delle forme di espressione diverse, per capire Napoli bisogna trovare un'"altra" forma di espressione, perché Napoli stessa è una forma di espressione diversa dalle altre città.
Gli atteggiamenti che in Dadapolis Andreas Friedrich Müller ed io mettevamo più in evidenza rispetto a Napoli, erano da una parte il rifiuto, perché Napoli è troppo al di là della realtà sopportabile, dall'altra l'attrazione.
Ci sono tante Napoli, quanti sono gli scrittori che ne parlano. Abbiamo tentato di scrivere poco e di far parlare tanti.

Oggi sceglierebbe di dare la stessa immagine di allora della città? Oppure in questi quasi 15 anni qualcosa è cambiato? E cosa?

L'immagine di Napoli che sceglierei di rappresentare è sempre quella. Anche se oggi c'è un'enorme crescita delle periferie: Napoli ormai è una megalopoli. Già negli anni '60, come ha dimostrato Francesco Rosi nel suo film Le mani sulla città, c'era stato un sacco della città, con la costruzione della cosiddetta "grande muraglia". Negli ultimi 20 anni, per fortuna, sono stati sventati i progetti di chi voleva sventrare anche le parti antiche di Napoli.
Nelle periferie che sono sorte è possibile vedere come in alcuni luoghi viene riprodotto lo stesso mondo della città vecchia. Rifacendo oggi Dadapolis, darei più posto a queste periferie: questo libro, infatti, è un'antologia che è stata fatta prima che uscissero i libri di una serie di scrittori che hanno descritto le periferie, come Peppe Lanzetta o Francesco Piccolo.

La napoletaneità è un concetto senza dubbio abusato e spesso falsato. Ma esiste effettivamente una sostanza particolare di Napoli e dei napoletani, che tra l'altro lei ha tentato di definire in buona parte della sua produzione letteraria. Come la descriverebbe oggi?

Continuo ad essere contrarissima alla napoletaneità, perché si presta ai clichè e rende provinciale quella che è stata la più grande metropoli dei nostri giorni. Ci sono tante Napoli. Per esempio, quando si viaggia e ci si incontra e ci si riconosce come napoletani, la prima cosa che si chiede è: "Di Napoli, dove?". Ci sono tante città nella città. Quando abitavo nei Quartieri Spagnoli, prima dei lavori fatti dalla giunta Bassolino, era possibile arrivare alla Biblioteca Nazionale in cinque minuti.
Ma per quanto i Quartieri Spagnoli, con la loro aria terribile, fossero piene di donne con bambini, io non ne ho mai incontrata nessuna intorno alla Biblioteca, dove c'è aria, si vede il mare. Questo è indicativo, perché significa che si tratta di due mondi.

Dal punto di vista culturale, in particolare, che cosa caratterizza oggi Napoli?

Le cose più vive che mi sembrano legate a uno spirito di identità o di corpo sono il teatro e il cinema. Penso a personaggi come Mario Martone, Licia Miglietta, Iaia Forte, ma anche a tanti altri.

Con la globalizzazione, la capacità di contaminare le culture tipica di Napoli si è modificata? E oggi che cosa maggiormente questa città porta all'esterno?

Napoli è sempre stata la capitale della contaminazione e della sottoccupazione. Con la globalizzazione, le cose sono cambiate in questa città, come in tutto il mondo.
Napoli porta all'esterno soprattutto la migrazione: i napoletani all'estero sono tantissimi.
Poi Napoli ha portato in tutto il mondo la canzone napoletana, nella quale c'è una grossa contaminazione con Medio Oriente e Sudafrica. L'anno scorso sono stata a Potsdam, vicino Berlino, dove ho visto dei russi che vivevano di elemosina: la cantante russa cantava soprattutto O sole mio. Anche quando Bush è andato in visita ufficiale a Pechino, gli è stata cantata questa canzone.



Tra i libri di Fabrizia Ramondino: i romanzi Althénopis (1981), Passaggio a Trieste (2000) Guerra di infanzia e di Spagna (2001), i racconti Storie di patio (1983), il romanzo Un giorno e mezzo (1988), il diario di viaggio Taccuino tedesco (1987), Dadapolis. Caleidoscopio napoletano (1989), curato con Andreas Friedrich Müller. Ha anche scritto la sceneggiatura del film Morte di un matematico napoletano (1992) insieme al regista Mario Martone. Nell'estate 1996, accompagnando lo stesso Martone a girare un documentario sui bambini sahrawi, ha steso una specie di "diario di bordo", Polisario. Un'astronave dimenticata nel deserto (1997).