Musicisti di Napoli, cittadini del mondo

Dalla world music al dub all'hip hop, dal raggamuffin al jazz allo ska, sono tanti i cantanti e i gruppi di Napoli che hanno assimilato la tradizione partenopea eludendone le convenzioni. Sull'evoluzione della napoletanità nell'era della globalizzazione abbiamo chiesto il punto di vista di alcuni artisti che, con percorsi diversi, sono protagonisti di una forte innovazione nella cultura musicale non solo italiana e mediterranea ma internazionale: Raiz degli Almamegretta, 'O Zulù dei 99 Posse ed Eugenio Bennato.

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Il pubblico, soprattutto quello più giovane, sembra ormai consapevole del pluralismo della produzione musicale di Napoli eppure i media continuano a privilegiare l'immagine più oleografica e stereotipata della tradizione napoletana. Come mai questo ritardo?

Oggi si tende, da parte dei media, a dare messaggi che non impieghino più di quindici secondi ad essere recepiti. Questo per mantenere alto lo share, che è sempre a rischio vista l'enorme concorrenza dell'etere. In questo quadro proporre immagini non consolidate dagli stereotipi mette in pericolo la vendita di pubblicità e la sopravvivenza dell'emittente. Ecco quindi che è molto più facile, dovendo parlare di Napoli, proporre l'ennesima immagine del vicolo con annessi panni stesi che, magari, una visita a uno studio di grafica dove si lavora con mezzi tecnologici modernissimi o un club dove si balla o si ascolta musica di ricerca. L'unica finora ad essere sfuggita in qualche modo a questo meccanismo perverso sembra essere la Rai ma il nuovo corso non lascia presagire nulla di buono.

Con la globalizzazione dei consumi, anche culturali, si apre la possibilità di portare nel mondo i linguaggi e le identità locali o si rischia di subire una nuova colonizzazione musicale?

La possibilità della comunicazione globale in tempo reale potrebbe essere utile per lo scambio di informazioni e potrebbe aprire la strada a una cultura veramente meticcia in cui le identità locali imparino finalmente a dialogare e a mescolarsi invece di scontrarsi. La gestione autoritaria della comunicazione porterà invece, ahimè, a uno stato in cui l'omologazione travestita da egualitarismo democratico cancellerà ogni traccia di cultura antecedente. Mi spiego con una metafora gastronomica: un incontro costruttivo potrebbe essere il riso basmati indiano condito con il ragù napoletano o la polenta al curry. L'omologazione è il panino McDonald's, uguale in tutto il mondo, ora insaporito con polverina alle spezie indiane, ora con una allo tzatziki greco. Orrore!

Quali sono nelle radici musicali di Napoli gli elementi che hanno più futuro?

Domanda difficile. Credo che siano quelli che provengono dalle influenze nordafricane e asiatiche in genere, che noi abbiamo messo in evidenza sin dall'inizio della nostra storia di band. È un modo per dire, in un Occidente che si trincera sempre più contro le "invasioni" del Sud del mondo, che non siamo poi tanto diversi da "loro".

La contaminazione tra i generi rischia di diventare di maniera?

Sicuramente. La musica cosiddetta "new age" in cui coesistono in maniera assolutamente estetizzante elementi etnici diversi ma tutti "ripuliti" per le orecchie dei salotti middle class dell'Occidente ne è un esempio.

Quali sono, tra gli artisti che dialogano con la tradizione napoletana, quelli che stanno dando i contributi più originali?

Credo senz'altro noi Almamegretta, senza false modestie; ma anche 99 Posse e 24 Grana.

Oltre che sulla sperimentazione musicale lavorate su quella linguistica impiegando sia il dialetto che la lingua: cosa offre il napoletano e cosa l'italiano?

Intendiamoci: tutte le lingue sono uguali davanti alla musica, anche perché quando sono "cantate" diventano qualcosa in cui il significato e la comprensibilità delle parole giocano un ruolo di secondo piano. L'opera lirica ne è un esempio. Il napoletano e l'italiano offrono le stesse possibilità, solo che il napoletano è più disponibile alla "distorsione", in quanto lingua "non ufficiale" rispetto all'italiano. Quando a noi musicisti "pop" saranno concesse le stesse licenze di pronuncia che sono concesse ai tenori lirici le cose cambieranno. Noi cerchiamo di lavorare in quel senso. Pensate a quanto è cambiata una lingua come l'inglese da quando viene messa in musica da artisti che non hanno discendenza anglosassone (indiani, africani.). Questo per dire che noi abbiamo lavorato principalmente in dialetto perché sentivamo la necessità di asservire il linguaggio alle esigenze del ritmo, ma questo non vuol dire che lo stesso tipo di lavoro non si possa fare anche con l'italiano. Scommetto che quando gli stranieri di seconda generazione, ovvero gli italiani figli di immigrati cominceranno a fare musica in italiano "modificato" il problema sarà superato completamente.

Da Napoli al mondo (Londra, Medio Oriente, Giamaica): nel vostro viaggio musicale cosa portate da Napoli e cosa riportate?

A Napoli riportiamo nella musica la centralità del ritmo e, grazie alle nostre esplorazioni, la consapevolezza sempre più forte che mondi in apparenza tanto lontani sono in realtà molto vicini per influenze, sentimenti, abitudini culturali. Altrove facciamo sapere che l'Occidente tutto lavoro, efficienza e produttività conserva ancora degli spazi dove gli uomini e le donne "sentono", vivono, vogliono cose comuni a tutto il resto del mondo: la ricerca della felicità attraverso l'amore, l'amicizia, la semplicità di una festa dove si balla, si canta e si sta bene insieme.