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Una biblioteca di Alessandria che non può bruciare

Marta Mando'

La Rete insegna a memorizzare processi più che contenuti

La prima pagina era un compassato fondo blu per un annuncio solenne: la "Rai Radio Televisione Italiana presenta.". Era l'anno 1997. La seconda il fiammeggiante rosso pompeiano difficile da dimenticare per molti di noi. Sono le pagine più vecchie di MediaMente, primo sito della Rai, tenute in memoria dal grande Internet Archive un potente database che consente di navigare tra le versioni dei siti di tutta la Rete dal gennaio 1996 ad oggi. La Rete come era. Le nostre pagine conservate insieme a quelle di tanti altri siti: la prima volta della casa Bianca in Rete, la prima volta di Wired non possono che suscitare una benefica partecipazione emotiva. Un deja vu pionieristico, almeno per la parte web, che affiora da ognuna di quelle pagine oggi parte di una memoria universale. Eppure l'aspetto più importante è un altro: per la prima volta abbiamo una biblioteca di Alessandria che non può andare perduta. Il digitale, tra un backup e un mirror, è "qualcosa" che rimane.

In un mondo etichettato come effimero, perché fatto di bit e non di atomi, restano indelebili più che in ogni altro mezzo di comunicazione, i segni del tempo, del lavoro, delle idee che ognuno di noi ha applicato nel fare un sito e nel farlo evolvere. Almeno Internet si ricorderà di noi, verrebbe da dire. Internet non dimentica, non cancella, perché a questo strumento possiamo con una certa tranquillità affidare gli step e i ricordi, di questa storia di Internet tanto breve quanto epocale (Quanto poco tempo è passato da quando la memoria, quella del computer era una risorsa davvero molto scarsa).

E' c'è un altro aspetto: per la prima volta possiamo dire che l'esercizio della memoria, indispensabile per acquisire e trasmettere cultura, viene potenziato e reso permanente dallo sviluppo di un fare ideativo e pratico tutto affidato alla creatività, elemento indispensabile per il fare web. Per la prima volta la creatività è salva, le nuove tecnologie imperniate di fantasia e sperimentazioni continue, non sostituiscono la memoria quella con la emme maiuscola, bensì la integrano in un qualcosa che solo per approssimazione possiamo ancora connotare come "puramente" virtuale. Il virtuale diventa un falso problema. Questo sito di memoria di tanti anni di web, unito ad altri archivi sono estensioni tecnologiche della nostra memoria, una memoria non "privata" ma collettiva, grazie a un mezzo per niente rigoroso ma basato sulle nostre facoltà immaginative. Altri siti, come quello di Google che ha acquistato da Deja.com tutta la biblioteca virtuale in cui, dal 29 marzo 1995 è stata archiviata ogni parola scritta su una qualsiasi delle decine di migliaia di newsgroup sparsi nella rete. Oggi, digitando il proprio nome nel motore di ricerca, si risale a tutti i messaggi che abbiamo inviato o di cui siamo stati oggetto nelle liste di discussione.

"Quanto alla memoria - si domandava alcuni anni fa Derrick De Kerckhove - forse la dobbiamo considerare perduta se fluttua tutto intorno a noi, anziché deteriorarsi nel nostro cervello?" Memoria dilatata, dunque, non atrofia delle capacità mnemoniche come ancora qualcuno sospetta. Il fare Internet, allora, ci ha insegnato un diverso uso della memoria, non tanto imparare faticosamente a ricordare contenuti, bensì memorizzare processi, modalità di realizzazione, modi per eseguire ricerche, modi, in fine, per organizzare il sapere.






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