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Bambini hi-tech, bambini no

Georgia Garritano

Alfabetizzazione (informatica) per l'infanzia: ancora troppi gli esclusi

Si fa presto a dire che i bambini ci sanno fare con le tecnologie. Quello che, però, spesso non ci si chiede è: quali bambini? Sanno fare cosa? Con quali tecnologie?
I bambini che crescono a pappa e hi-tech sono, in realtà, molto pochi: sono solo la piccola percentuale dei bambini del mondo ricco, come confermano le ultime notizie.

Bambini nati in Inghilterra, che ricevono come regalo di benvenuto, appena usciti dalla sala parto, un sito che porta il loro nome, come la piccola Katie O' Rourke di Shoreham-on-Sea nel Sussex alla quale i genitori hanno registrato una pagina personale, col nuovo dominio "name" riservato ai privati, che sarà online prima che lei abbia imparato a parlare e camminare. "Internet avrà un grosso ruolo nella sua vita" - hanno spiegato mamma Carrie e papà Dan - "e ora lei possiede ciò che la rende ciò che è: il suo nome sulla rete".
Adolescenti svedesi che il computer lo usano abitualmente sia per studiare che per divertirsi, anche ai danni di una malcapitata compagna di classe, come i quattro studenti che, stando al quotidiano "Aftonbladet", superata l'immediatezza e l'artigianalità dei vecchi scherzi alla lavagna, hanno appeso a scuola la foto di una studentessa nuda, saggio della loro abilità nell'elaborazione digitale delle immagini.
Ragazzi americani, naturalmente, che ormai ne sanno quasi più dei loro insegnanti, come è emerso dal recente rapporto "CyberEducation" pubblicato negli Stati Uniti da AeA. Nelle scuole pubbliche del paese ci sono più computer - uno ogni sette alunni contro uno ogni venti di appena un anno fa - e collegamenti a Internet - è connesso il 94 per cento degli istituti - di quanti ce ne siano mai stati ma i docenti mancano di una formazione specifica che consenta loro di integrare la multimedialità nei programmi scolastici.

Poi ci sono i bambini congolesi. Sì, anche loro hanno a che fare col mondo hi-tech: lavorano o seguono le loro madri nelle miniere di coltan (colombo tantalite) - un minerale raro, quasi tutto concentrato in questo martoriato paese africano e principale fonte di finanziamento per la guerra civile - usato dall'industria dei cellulari e dei videogiochi. Pochi giorni fa una miniera è crollata facendo decine di vittime ma da tempo le associazioni per i diritti umani denunciano i rischi per la salute delle persone che estraggono la preziosa e tossica sabbia nera: gravi danni all'apparato respiratorio di donne e bambini (gli uomini sono impegnati a combattere) che pestano manualmente la sostanza grezza in un mortaio per separarla dagli altri minerali.
E i bambini del Bangladesh: nel loro paese per acquistare un computer ci vogliono otto anni di reddito medio.

Gli ultimi dati dell'Unicef, pubblicati nel rapporto "The State of the world's children 2002" confermano che oltre 100 milioni di bambini nel mondo sono ancora esclusi dall'accesso all'istruzione di base: si tratta di minori che lavorano o combattono come soldati, che appartengono a minoranze etniche o vivono in aree rurali remote dai centri urbani, di disabili e soprattutto di bambine (60 per cento).
Le disparità di accesso alle risorse educative, inoltre, si evidenziano anche all'interno delle singole società nazionali. Ad esempio nell'avanzata realtà statunitense, secondo una recente ricerca del Public policy institute of California, mentre la maggior parte dei bambini bianchi e asiatici può disporre di un computer a casa, il 76 per cento di quelli ispano-americani e il 62 per cento dei neri no.

Niente di nuovo, si dirà. Queste differenze esistevano già, non le ha create la globalizzazione dei mercati. È vero, ma la globalizzazione non le ha ridotte. Perlomeno non ancora.