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Cristina Pini

I governi di mezzo mondo uniti da un solo grido: "Software libre"

Una recente ondata legislativa sta convertendo gli enti governativi e in alcuni casi le aziende di proprietà dello stato all'uso del software libero e di quello open-source, ammesso che il software proprietario non sia ritenuta l'unica valida alternativa ad esso. Questo movimento, partito dal Brasile, sta da qualche tempo prendendo piede anche in altri paesi dell'America Latina, dell'Europa e dell'Asia, e soprattutto in quei governi costretti a dover abbattere gli elevati costi dei programmi sottoposti a licenza. Questa forte carica propositiva, questa indicazione sull'adozione del software libero può essere la rappresentazione nell'area dell'IT del rifiuto di sottostare alle logiche che le grandi società cercano di imporre ai singoli e anche ai governi. Un altro movimento anti-global che si affianca ai più pubblicizzati.

Effettivamente dietro le ovvie ragioni che fanno preferire un sistema operativo open source e i suoi applicativi - la possibilità di modificarne il codice sorgente (correggerlo, migliorarlo adattarlo alle proprie esigenze), piuttosto che la sua gratuità o il suo basso costo - si cela l'esigenza di rompere con il monopolio americano nel mercato del software globale, dirottando verso imprese nazionali i finanziamenti che vanno invece a finire nelle tasche delle multinazionali. "Software libre" quindi non solo un software libero da licenza, ma anche un software il cui sviluppo non sia controllato da una singola azienda. In una recente intervista il vice presidente della IDC System Software Research, Dan Kusnetzky, ha dichiarato che "le leggi che consentono l'uso di free software, garantiscono ai governi la libertà di fare ciò che vogliono, come lo vogliono e quando lo vogliono... Non è solo la paura di sottostare alle leggi di commercio degli Stati Uniti, anche il singolo fornitore può esercitare molto potere sulle operazioni di governo. Nessun governo vuole sottomettersi all'influenza di un commerciante".

Negli Stati Uniti e in Europa (fonte Gartner), i governi per l'acquisto di software, hanno speso nel 2000 complessivamente 21,8 miliardi di dollari, contro i 200 milioni di dollari spesi in Brasile dove sono da tempo adottate soluzioni open source nel sistema informatico governativo, dal Ministero della Sanità a quello dell'Istruzione. In Cina, pur mancando notizie precise, si è scoperto che il governo si sta muovendo affinché siano ufficializzati i sistemi operativi Linux, forniti anche da aziende locali - alfiere tra tutte la Red Flag -, tutto ciò per evitare di affidarsi completamente alle compagnie statunitensi. In Sud Corea, il Ministero dell'Informazione e della Comunicazione ha provveduto recentemente a offrire dei corsi gratuiti per GNU Linux a seguito dell'impossibilità delle università pubbliche di acquistare software prioritari a causa della grave carenza di fondi destinati alle università stesse.

E in Europa? Sembrerebbe che finalmente l'Unione Europea stia cominciando a prendere in considerazione il problema, e nonostante le posizioni dell'UE sembrino deboli e incomplete appare evidente la tendenza a una strategia orientata a soluzioni open source. Al Parlamento Francese è stata presentata una proposta di Legge relativa sia all'acquisizione di sistemi operativi con codice sorgente libero, sia all'uso di standard aperti. Anche se gli osservatori pensano che il governo cerchi di bloccare la proposta attendendo decisioni più chiare proprio dall'Unione Europea. Sostegno crescente all'open source anche da parte del governo tedesco, che da tempo finanzia lo sviluppo di sistemi aperti basati su Unix. Interessante proposta (di pubblica consultazione fino al 12 marzo 2002) per l'introduzione del software OS anche nel governo e nella pubblica amministrazione inglese.

Intanto nel nostro paese è in preparazione una proposta di legge sul software libero di elevato interesse per i contenuti e le modalità di realizzazione. Recentissima è infatti la stesura - compilata attraverso la raccolta di spunti e suggerimenti dalle svariate mailing list sulle quali era stata postata la prima bozza - della proposta sulle "Norme in materia di pluralismo informatico, sulla adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella Pubblica Amministrazione", scritta da Alessio Papini, Capogruppo dei Verdi al Comune di Firenze.

E il grido "Que Viva Linux" sta facendo tremare davvero il monopolio del gigante di Redmond che si vede costretto a continuare la sua crociata contro l'open source, e in particolare contro Linux. A confermare la paura della Microsoft di scontrarsi duramente con il sistema operativo del pinguino (secondo gli ultimi dati Idc, Microsoft controlla il 42 per cento del mercato dei sistemi operativi per server mentre Linux ha conquistato il 27 per cento del mercato server) una nota interna, scritta da Brian Valentine vice direttore generale di Microsoft trapelata a fine dicembre e pubblicata immediatamente da The Register, sito inglese specializzato in tecnologia. In questo memorandum riservato - nella cui intestazione è esplicitamente indicato come da non copiare, stampare, reinviare o condividere con alcuno che non appartenga alla Microsoft - il vice direttore Valentine chiede alla forza vendite di approfondire gli ambiti in cui le società preferiscono utilizzare Linux al posto di Windows, dichiarando esplicitamente di avere comprato degli infiltrati nelle maggiori società che producono software open source. Valentine afferma inoltre in questa nota di avere pronti alcuni studi che riusciranno a screditare Linux capaci di sgonfiarne i miti che si sono creati intorno ad esso.