Mercoledi' 25 aprile 2001

Revisione testi a cura della redazione internet di MediaMente

Il grande crack

L'avevo detto io…
Intervista a M.Mandel

TheStreet.com, un modello per l'informazione finanziaria

È dura ma l'Europa tiene…

Cari manager, rimboccatevi le maniche

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Il grande crack

Il grande crack. Un titolo che si riferisce evidentemente al crollo del mercato borsistico tecnologico dell'ultimo anno. Uno scivolone iniziato a marzo 2000 che a poco a poco si è trasformato in una slavina senza pietà, che ancora non si è fermata, e ormai procede parallelamente a una seria minaccia di recessione in America (con tutte le conseguenze sui mercati mondiali). Probabilmente sono stati i piccoli investitori a subire le perdite più dolorose, grazie al, o meglio per colpa del boom del fenomeno del trading online.

Un anno vissuto pericolosamente
Se fosse un film, quest'ultimo anno della New Economy lo potremmo chiamare un anno vissuto pericolosamente, vedere il grafico dell'indice Nasdaq per credere. Dopo i fasti della scorsa primavera in cui tutto era "web oriented" e tutte le società erano a suffisso "dot.com", un'era felice in cui il NASDAQ, il simbolo della nuova economia legata alla Rete, arrivava oltre i 5.000 punti e il nostro Nuovo Mercato vedeva crescere vertiginosamente indici e matricole, in breve tempo si è invece imposta la legge che potremmo chiamare del "meno due terzi" (-2/3), a tanto infatti ammontano in media i cali sia del Nasdaq, ora viaggia sui 1900/2.000 punti, sia dei listini tecnologici europei, compreso quello italiano. Ma il listino è una sorta di media di migliaia di aziende. Alcune hanno perduto molto di più, e fra queste anche simboli della net economy come Cisco, Amazon, Oracle, Intel, Yahoo, e anche le star nostrane: Tiscali, e.Biscom, i.Net, Finmatica. In generale molte delle 41 società a listino nel Nuovo Mercato sono sotto i livelli di collocamento. L'annus horribilis della new economy ha visto chiudere almeno 210 società dot.com, di cui oltre il 60% ha ceduto nel trimestre nero di fine anno del Nasdaq. Il 75% di queste società erano dedite al B2C, il business to consumer, cioè vendevano all'utente finale. Insomma dall'euforia al cimitero delle dot.com il passo è stato rapidissimo: se volete portare i fiori andate al sito www.webmergers.com c'è l'elenco dei defunti tecnologici. Forse tutto questo era prevedibile, ora sono in molti a dirlo. E domani allora cosa succederà alla New Economy?

In Italia
In Italia le cose sono cominciate un po' più a rilento com'era naturale che fosse, ma dopo il boom del nuovo mercato e di alcuni titoli in particolare, molte società importanti per l'economia della rete si trovano nel listino principale e nel mib30. Solo per fare due nomi, StMicroelectronics e Telecom. In Italia la sfida che il successo borsistico della new economy ha comportato per l'informazione è cresciuta molto proprio in questi mesi, a prescindere dai destini altalenanti o meno. Di fatto la finanza, la borsa, sono diventati fatti culturalmente rilevanti; prima chi scriveva o parlava di queste cose lo faceva con un interlocutore esperto e numericamente non molto rilevante, ora il pubblico interessato, anche perché utente, è molto aumentato.

E ora?
La New Economy ha portato in borsa insieme alle tante nuove società quotatesi anche tanti nuovi risparmiatori che prima sceglievano investimenti più stabili, come i titoli di stato. Ora la new economy ha bisogno dei capitali dei milioni di risparmiatori per sovvenzionare i crescenti costi della continua innovazione, e i risparmiatori vorrebbero un buon guadagno dalla nuova era economica legata alla rete. Ma niente dopo l'iniziale euforia sembra essere più cosi certo: alcuni ritornano a titoli tradizionali da old economy, altri aspettano e si guardano intorno cercando informazioni nelle decine di supplementi economici dei quotidiani e dei settimanali, nelle rubriche televisive e naturalmente nella Rete. Con la voglia di far soldi cresce forse anche la necessità di una cultura economica e a chi fa informazione spetta il compito sia di produrre un'informazione chiara e non legata, nel migliore dei casi, alle euforie momentanee dei mercati sia di non additare solo sogni di ricchezza immediata, ma di far capire che dietro la new economy c'è un modo nuovo di usare le tecnologie che ha già cambiato, e in futuro lo farà ancora, la vita di tutti noi, che si faccia trading ondine o meno.