Negli ultimi tempi
la faccenda dei domini Internet, ovvero degli indirizzi dei siti sulla
Rete, è finita spesso sui giornali. Il
Touring vince la guerra del dominio si legge su Repubblica.it del
21 marzo del 2000, oppure ancora: La
Commissione europea ha creato un nuovo "dominio" per tutti i
siti Internet dell'Unione. Bruxelles
lancia "eu" firma Web di Eurolandia. Sarà
operativo tra poche settimane. E infine: AAA.com sito libero cercasi nella
Rete.
Attualmente
il dominio non è più solo un indirizzo da digitare nel browser per
collegarsi a un sito, ma è un fattore fondamentale per ogni impresa
online. Avere un dominio azzeccato, facile da ricordare, che faccia
presa sul pubblico, può segnare la differenza tra il successo e il
fallimento.
A
complicare la faccenda, c’è il fatto che, nel mondo senza frontiere
del Web, la probabilità di omonimia, cioè che due società vogliano
legittimamente usare lo stesso dominio, si moltiplicano.
Le
parole e le sigle sono moltissime, ma non infinite. E la probabilità
che qualcuno abbia già occupato, per così dire, il dominio che ci
interessa è sempre più alta. Gli esperti discutono su come risolvere
questo problema da parecchio tempo. Una proposta è di introdurre
nuove estensioni accanto ai vecchi .com, o .org che ormai sono
sovraffollati. Oltre alla Commissione
Europea, che sta discutendo
l’introduzione dei domini .eu, si sono sentite altre proposte come
.web, o .kids per i siti per i bambini, .info per i siti
d’informazione e così via.
La
situazione dunque tra organizzazioni nazionali ed internazionali è un
po’ confusa e riflette il fatto che l’essenza stessa della Rete
non prevede un’autorità centrale. Siccome Internet si è sviluppato
in buona parte negli ambienti accademici, spesso proprio delle
istituzioni accademiche si sono trovate a gestire di fatto questi
problemi. In ogni caso, chiunque lo desideri, ora, può registrare un
dominio anche direttamente dalla Rete.
Uno
dei motivi per cui i domini sono quasi esauriti è che attorno a
questi preziosi indirizzi Web si è scatenato un vero mercato. Vi sono
persone che hanno registrato decine di migliaia di domini: parole
vere, parole di fantasia, nomi probabili e improbabili. Interi
dizionari sono stati registrati. E chi vuole poi utilizzare uno di
questi domini deve pagare prezzi che ormai sono miliardari. Il dominio
business.com è stato recentemente venduto per 7,5 milioni di dollari.
E il record potrebbe essere battuto. La trattativa per aggiudicare
network.com si gioca sul filo degli 8 milioni di dollari.
Ma
da più parti si sostiene che registrare domini di società note per
poi rivenderli sia un comportamento ai limiti dell’illegalità. È
quello che gli anglosassoni chiamano cybersquatting; una pratica resa
possibile dal fatto che tutti gli enti di registrazione non si
occupano affatto di verificare se una persona abbia o meno il diritto
di registrare un certo nome ma ragionano invece con la logica del
primo arrivato primo servito. Questa pratica, specie negli States, ha
sviluppato una polemica furiosa e da tempo si sta pensando a porvi dei
rimedi legislativi.
Esiste
però un problema ulteriore sul quale è ancora più difficile trovare
una soluzione. Finché si discute di un marchio è più o meno facile
decidere chi ne detiene i diritti. Tutt’altra questione è decidere
chi ha il diritto a detenere un nome di dominio che è un nome
proprio, un cognome o addirittura un nome di battesimo.
Facciamo
una prova in Rete per vedere se qualcuno ha registrato o meno dei nomi
propri. Andiamo sul sito del nic italiano e consultiamone il database.
Prima di tutto cerchiamo Massarini.it.
Massarini.it risulta un dominio già registrato, registrato da
un certo Claudio Trionfetti di Terni per promuovere un negozio di
caccia, pesca e sport.
Vediamo
altri nomi di MediaMente. Se cerchiamo i nomi dei nostri autori Elena
Capparelli e Michele Alberico risultano entrambi registrati, ma a
sorpresa sono stati registrati dalla stessa persona. Luisella Garau di
Olbia. Cerchiamo allora il nome di un noto giornalista che si occupa
di nuove tecnologie: Enrico Pedemonte dell’Espresso. Stesso
risultato. Nome registrato anche stavolta da Luisella Garau. E stessa
sorte è toccata a Luca Fraioli, Massimo Miccoli, giornalisti anche
loro e Stefano Passigli sottosegretario all’innovazione tecnologica.
Anche lui finito nella Rete di Luisella Garau. Cercando il numero di
telefono e chiamando Luisella Garau, risponde una voce che dice:
“Buongiorno, segreteria di Niki Grauso”.
In
Italia, Niki Grauso è stato tra i primi imprenditori a intuire le
potenzialità commerciali del Web e ha investito 15 miliardi per
registrare a suo nome ben 70 mila domini di tipo .it. E pare
addirittura altri 45 miliardi per quasi 500 mila domini di altro tipo.
Insomma, come la vicenda Grauso insegna, la battaglia dei domini è
lontana dall'essere conclusa.
|
|