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Missione notizia

Georgia Garritano

L'agenzia di stampa Misna fa informazione sul Sud del mondo usando come fonti i missionari: un osservatorio sulla globalizzazione e sulle sue vittime. Parla il caporedattore Paolo Salerno

Nel villaggio globale, in cui certi quartieri diventano sempre più marginali, c'è chi racconta le periferie. Nel mondo dell'informazione, in cui i fatti esistono solo nelle fasi acute, c'è chi tiene un riflettore sempre accesso sui processi in evoluzione. Nell'era della mondializzazione - che è poi, forse, solo un'occidentalizzazione - in cui la distanza psicologica rispetto a ciò che è meno vicino alla nostra esperienza e sensibilità sembra aumentare, c'è chi ci ricorda che siamo solo una minoranza.

A "dare voce ai senza voce" è Misna, l'agenzia di stampa che fornisce notizie sul Sud del mondo. La Missionary service news agency ha come fonti privilegiate le migliaia di missionari che operano in Africa, Asia, America Latina e fa informazione a tutto campo: politica, economica, culturale, religiosa. Ogni giorno la piccola redazione - nove giornalisti (laici) guidati dal direttore padre Giulio Albanese - diffonde un notiziario in tre lingue (italiano, inglese e francese) di circa trenta news cui si aggiungono una quarantina di approfondimenti al mese. Nel tempo, si è costituito un database enciclopedico per consultare il quale occorre sottoscrivere un abbonamento.

Gli scontri in Liberia, il nuovo premier di Sao Tomé e Principe, le imminenti elezioni presidenziali in Mali, la corruzione in Indonesia, gli sviluppi del processo ai responsabili del genocidio in Rwanda, il narcotraffico in America meridionale, i conflitti religiosi in Pakistan, i diritti dei Boscimani: questo il tipo di notizie, molte delle quali spesso del tutto assenti dai quotidiani, che si possono leggere sul sito di Misna.

L'agenzia è, quindi, un osservatorio davvero privilegiato per capire come procede la globalizzazione. Dell'attività svolta, delle istanze più incalzanti provenienti dal Sud del mondo e della posizione dell'informazione e della comunità internazionale ci parla il caporedattore Paolo Salerno.

Fare informazione sul Sud del mondo è anche una sfida economica?

Misna è finanziata innanzitutto dagli istituti missionari e gode di contributi da parte della Conferenza episcopale italiana. A questa base si aggiunge una serie di contratti di consulenza con varie testate, rapporti di collaborazione che si rinnovano di anno in anno: Misna, infatti, è diventata in poco tempo un punto di riferimento soprattutto per quanto riguarda l'informazione sull'Africa. Le sottoscrizioni di abbonamenti sono piuttosto numerose, nonostante il sistema di pagamento mediante bollettino postale sia un po' farraginoso: stiamo, infatti, passando al sistema di pagamento mediante carta di credito che è il più usato e comodo per le transazioni su Internet.
Gli accessi quotidiani sono molte decine di migliaia anche se è difficile quantificarli esattamente. È evidente, infatti, che il nostro è un servizio soggetto a dei picchi notevoli: le visite possono addirittura triplicare rispetto alla media quando ci sono notizie che siamo in grado di coprire in maniera più particolareggiata rispetto ad altre testate, come è avvenuto, ad esempio, in occasione della recente eruzione del vulcano Nyiragongo a Goma, in Congo, sulla quale avevamo testimonianze dirette in esclusiva.

Dal vostro osservatorio privilegiato individuate aree e situazioni particolarmente a rischio cui, invece, la comunità internazionale e i media riservano scarsa attenzione?

La sottovalutazione è continua. Si scopre sempre il problema quando il bubbone è ormai esploso. Noi, ad esempio, denunciavamo da mesi la situazione esplosiva che si era creata in Argentina ma, anche sulla grande stampa nazionale, nessuno ha sentito il bisogno di parlarne finché non c'è stato il tracollo e non si è posta la questione degli italiani emigrati da generazioni che volevano rientrare. Non è stato dato peso a una situazione che, tra l'altro, in un mondo globalizzato e interdipendente come quello attuale non può essere assolutamente ignorata nemmeno da un punto di vista utilitaristico perché il crollo totale dell'Argentina, per un effetto domino, provocherebbe una serie di crisi in America Latina che coinvolgerebbe pian piano anche l'Europa: non dimentichiamo, infatti, che ci sono centinaia di investitori europei ed italiani che hanno soldi impegnati in quel paese.
Lo stesso atteggiamento vale nei confronti di altri paesi. Un altro caso è quello del Madagascar che in queste settimane stiamo seguendo attentamente e che invece non trova assolutamente riscontro sulla stampa italiana, neanche sulle agenzie principali: eppure, si tratta di una crisi che, oltre a tenere un paese in bilico, è un interessantissimo esempio di come possa esserci una volontà democratica popolare che viene in qualche modo negata, con la compiacenza di paesi europei come la Francia.

Avete riscontrato anche casi di paesi arretrati che hanno tratto benefici dalla globalizzazione?

La globalizzazione, così come è stata portata avanti fino adesso, benefici al Sud del mondo non ne ha portati assolutamente. Non è un caso che si sia sviluppato quell'imponente movimento che viene definito no global che richiama la necessità di una globalizzazione che venga governata in modo tale da distribuire meglio i proventi di questo fenomeno. Per ora questo processo non fa altro che aumentare lo sfruttamento delle risorse umane e naturali dei paesi del Sud del mondo: gli stipendi dei lavoratori sono rimasti da fame, il lavoro minorile continua a essere una piaga diffusa in tutti i continenti, grossi passi in avanti non se ne sono visti. Noi non siamo certamente tra quelli che vogliono demonizzare la globalizzazione però riteniamo che debba essere gestita in maniera diversa.

Quali sono le questioni più critiche?

Il punto è che le iniziative di carattere economico che vengono intraprese nel Sud del mondo non sono costruite per creare sviluppo nei paesi in cui vengono attuate: creano temporaneamente posti di lavoro ma non ci si preoccupa del loro impatto sociale e ambientale. Ad esempio, in Ecuador - proprio in questi giorni un gruppo di ecologisti tra cui due italiani è stato espulso - è in progetto la costruzione di un oleodotto lungo circa 1500 chilometri che attraverserà una parte del paese passando in zone dell'Amazzonia che rappresentano il polmone del pianeta e in grossi centri abitati, con scarsissime garanzie dal punto di vista della sicurezza: che un oleodotto ad alta pressione attraversi una città densamente popolata è una cosa inimmaginabile in Europa, in un paese del Sud del mondo, invece, le aziende (anche italiane come Agip ed Eni) pensano di poter realizzare un'opera del genere perché fanno valere la forza degli investimenti che sono disposti a fare e, quindi, sono in grado di spostare i limiti delle leggi e del buon senso.

Con i nuovi media cresce un'informazione autenticamente globale, attenta anche all'universo degli esclusi?

Ormai con la diffusione di Internet la possibilità di consultare la stampa dei singoli paesi è a portata di tutti ma la sensazione è che, anche tra gli operatori dell'informazione, quest'abitudine sia limitata. A noi che di certe aree ci occupiamo quotidianamente, capita di vedere emergere improvvisamente sulla stampa italiana, e in generale occidentale, dei casi che vengono proposti come nuovi e che invece magari sono vecchi di una settimana, dieci giorni o anche più. Eppure, ripeto, seguire quello che succede in certe aree si può fare abbastanza comodamente stando seduti davanti a un computer, almeno a livello di fonti ufficiali. Noi, chiaramente, rispetto a queste cerchiamo di offrire un valore aggiunto, dato dall'apporto fondamentale delle nostre fonti dirette sul campo: la grande rete delle missioni in Africa, in America Latina, in Asia e il contributo del volontariato, delle organizzazioni non governative e delle associazioni per la tutela dei diritti umani e civili.