Siamo tutti copioni
Marta Mandò
La violazione è una prassi, ripensiamo il copyright Scriveteci
le vostre opinioni
Nella sua difesa per la causa delle case produttrici contro Napster,
l'avvocato David Boies, ha puntato la sua arringa su un presupposto:
possiamo condannare tutti gli utenti di Napster? No. E se nessun
utente può essere accusato di violare la legge sul diritto d'autore
allora Naspter non poteva essere accusata solo per la sua funzione
vicaria. Dopo la condanna di Napster, Time elesse Boies uomo dell'anno
e scrisse "nessun avvocato nella memoria ha vinto mai così tanto
perdendo". Boies, pur non intendendosi di tecnologie, aveva colto
il problema: "la questione riguarda tutto il mondo Internet".
Mai come nell'era delle nuove tecnologie il concetto di copyright
è stato messo in crisi. L'uso di Internet e in genere la digitalizzazione
dei contenuti, musicali, testuali, filmici o grafici che siano,
ha profondamente modificato i sistemi di diffusione e di riproduzione
dei contenuti stessi. Dopo la chiusura di Napster, ad esempio, sono
subito nati siti simili e il fenomeno dello scambio di file musicali
e di interi cd-rom si è ulteriormente
diffuso.
L'attacco al diritto d'autore, però, non è opera di un'organizzazione
anarchica, ma di onesti cittadini, tanto ragazzini smanettoni quanto
attempati pensionati, che (vuoi per gioco, vuoi per sfida, vuoi
per pagare meno) si scambiano file, masterizzano cd, barattano mp3
come un tempo si faceva con le figurine, ritoccano immagini prese
a prestito dalla rete. Per vedere la partita della squadra del cuore,
comprano al mercato schede piratate per il decoder o cercano in
rete i codici di accesso. Resta ancora oggi valido e attuale l'interrogativo
posto nel 1995 in un convegno organizzato dal mondo Apple "Chi non
ha mai copiato scagli il primo dischetto".
L'orientamento legislativo in tutti i paesi ad alta diffusione di
tecnologie è abbastanza concorde, la legge tutela, pur con delle
differenze, il diritto d'autore. E' di oggi la notizia che un trattato
internazionale sulla protezione di opere musicali su Internet, che
poi verrà esteso a tutto il settore dell'editoria, entrerà in vigore
il 20 maggio prossimo. Si tratta di un accordo appoggiato dalle
Nazioni Unite e presto ratificato dall'Unione Europea che secondo
l'Ompi, l'organizzazione
mondiale sulla proprietà intellettuale, riuscirà a stabilire regole
certe e sicure per la difesa della proprietà intellettuale "proprio
nell'era dei numeri". Non sappiamo le specifiche di questo trattato
e se riuscirà a ricucire il rapporto tra produttori e consumatori
ma c'è il forte timore che si corra più ad irrigidire la normativa
che non ad accettare la crisi del copyright.
Il diritto d'autore non è facile da definire dopo lo sviluppo delle
tecnologie digitali: prendere dalla rete un'immagine, ad esempio,
senza autorizzazione degli autori sarebbe reato, eppure è una routine
comune. Diffondere gratuitamente suonerie di famosi pezzi rock per
il cellulare o per la segreteria telefonica di casa è reato? Si
prenda ad esempio il caso della struttura html di un sito, copiarla
è reato? In teoria potrebbe esserlo visto che dietro c'è un lavoro
custom di carattere creativo e di ingegno. Eppure la struttura
html non è protetta e pochi sprecano il loro tempo a farlo. Perché
sarebbe come vietare di copiare una ricetta di cucina, sapendo che
poi ognuno aggiunge i propri ingredienti, cambia le proporzioni,
insomma compie un atto se non sempre di creazione sicuramente di
produzione che a sua volta, nel gioco di network delle tecnologie,
mette a disposizione di altri. E questo, non indebolisce la creatività,
come a volte si è detto, ma semmai diviene uno stimolo all'invenzione
e alla circolazione dei prodotti.
La faccenda del diritto d'autore è, quindi una questione molto controversa
e si ha l'impressione che non ci si renda conto che la realtà sembra
andare in una direzione diversa da quella delle normative.
Vediamo alcuni aspetti del problema. In primo luogo, l'aspetto civico:
copiare, scambiarsi file o masterizzare è talmente comune che non
se ne percepisce l'aspetto d violazione, è un po' come passare avanti
in una fila o buttare per strada la sigaretta, un atto di maleducazione
semmai, ma non considerato moralmente grave.
Poi c'è l'aspetto giuridico: impossibile condannare tutti i copiatori
a meno che non diventi un'organizzazioni a fini di lucro. C'è, inoltre,
un crescente movimento di opinione supportato anche dagli stessi
artisti, come il caso di noti musicisti, che considerano eccessivi
i costi dei prodotti, spesso a causa dei diritti d'autore. C'è anche
un fattore ludico: la gente copia e compra a basso costo copie non
autorizzate perché è facile, economico e divertente. E infine un
fatto estetico: è difficile, spesso, distinguere un'originale dalla
sua copia. Ma tutte queste cose insieme non bastano a spiegare il
fenomeno, il cuore della questione è il fattore tecnologico: i mezzi
ci sono, software e hardware per la clonazione di una traccia digitale,
sono a portata di tutti, potenziando una prassi sociale nata molto
prima delle tecnologie digitali. Fermare questo fenomeno all'insegna
dell'illegalità è praticamente impossibile, anche perché più si
inventano standard, chiavi digitali e software di protezione e più
vengono inventati sistemi
di violazione.
In questa confusione tra tendenze reali e inadeguatezza delle normative
sta crescendo un mercato
fiorente e sempre più organizzato di vendita di copie. Questione,
a nostro avviso, diversa dallo scambio e uso personale, che rischia
di lasciare in mano ad organizzazioni criminali il mercato delle
copie, dei cosiddetti "pezzi taroccati", a volte anche malfatti.
E così si rischia che le tecnologie e lo spirito libertario del
loro uso diventino non volendo complici di una vera e propria industria
della pirateria.
Accertato, dunque, che la violazione è una prassi, non sarebbe ora
di ripensare e riformulare il copyright? Rivedere di conseguenza
le norme che lo regolano e gli effetti sui costi del diritto d'autore.
Tanto per fare un esempio, perché non lasciare in chiaro le partite
di calcio e i film sulle pay tv, visto che il ricavo pubblicitario
c'è in ogni modo? Perché, ad esempio, non si mettono limiti di tempo
più ristretti al periodo di riconoscimento economico del diritto
d'autore su di un prodotto lasciando invariato il diritto di appartenenza?
Questo fenomeno ha assunto una dimensione planetaria che leggi inadeguate
e vecchie non riescono ad arginare, proprio perché nella loro filosofia
non tengono conto che la libertà d'ingegno non viene messa in discussione.
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