Cd protetti, standard no
Georgia Garritano
Le tecnologie anti-copia alla difficile ricerca di uno standard
Dieci milioni di cd anti-copia sono già disponibili negli Stati
Uniti e in Europa. Lo ha annunciato, qualche giorno fa, la società
israeliana Midbar
che ha sviluppato una tecnologia, chiamata Cactus data shield,
che impedisce di riprodurre la musica contenuta nel supporto senza
alterare la qualità del suono.
Non si tratta del primo tentativo di rendere i cd inattaccabili.
Lo scorso anno la stessa Midbar, insieme con Macrovision e SunnComm,
aveva prodotto, su commissione della casa discografica Bmg,
un analogo sistema anti-contraffazione ma i risultati furono deludenti:
secondo i consumatori, infatti, i dischi protetti non funzionavano
bene così l'etichetta abbandonò il progetto. Ora la società produttrice
assicura che la tecnologia è stata aggiornata e che i compact disc
sono perfettamente leggibili sia da impianti stereo che da lettori
per computer.
Problemi risolti, allora? Tutt'altro. Sullo sviluppo di questo tipo
di prodotti il dibattito è acceso e ruota intorno al concetto di
standard.
Secondo un portavoce di Philips,
ad esempio - che insieme a Sony detiene il brevetto di alcuni standard
sulle specifiche per i cd e per i lettori - i cd protetti con questo
sistema non dovrebbero nemmeno recare il logo "Compact Disc" perché
non ne rispettano gli standard. È solo la posizione ostile di un
concorrente?
In effetti, la questione è stata sollevata anche in altre sedi.
Negli Stati Uniti, ad esempio, l'argomento è già da qualche tempo
nell'agenda politica e provoca forti contrasti. La scorsa settimana,
la Commissione
Affari esteri del Senato americano ha convocato un'udienza per
ascoltare esponenti dell'industria discografica e del software in
merito alla definizione di una strategia di lotta alla pirateria,
una piaga, secondo il presidente della Commissione, il democratico
Joe Biden, che costa agli Stati Uniti centinaia di migliaia di posti
di lavoro e perdite per miliardi di dollari e che va affrontata
con iniziative internazionali e con nuove leggi che potenzino l'attuale
normativa in materia.
Su quale indirizzo legislativo scegliere, tuttavia, le posizioni
discordano. Da una parte c'è chi, come il presidente della commissione
Commercio Fritz Hollings, propone l'introduzione di una legge che
imponga ai costruttori l'inserimento di sistemi anti-pirateria direttamente
nell'hardware, cioè nei lettori cd e dvd, un progetto criticato
con varie argomentazioni: alcuni osservano, infatti, che lo Stato
non debba intervenire così pesantemente nel mercato; altri, come
ad esempio la Motion
picture association of America, avvertono che supporteranno
questo tipo di legislazione solo quando i vari gruppi industriali
avranno trovato un accordo su uno standard.
Dall'altra c'è chi propone, invece, di riscrivere in senso meno
restrittivo il Digital millennium copyright act (Dmca), la
legge sul diritto d'autore del 1998, in particolare riguardo la
copia per uso personale: secondo il repubblicano Rick Boucher, ad
esempio, i consumatori hanno tutto il diritto di duplicare i loro
cd per farne una copia di backup o per utilizzarli sui dispositivi
portatili.
La realizzazione di sistemi anti-copia costituisce, quindi, un punto
critico: essi proteggono i diritti d'autore e gli interessi industriali
ma non tutelano i consumatori.
Se l'impossibilità di fare delle copie per uso personale apre una
discussa questione di legittimità giuridica, la compatibilità dei
prodotti anti-copia coi lettori, spesso datati, dei consumatori
rappresenta un problema di mercato.
La ricerca di uno standard, che appare quanto mai necessaria, non
si è però finora dimostrata un'impresa facile. Il consorzio di case
discografiche Secure digital music initiative (Sdmi) ha fatto un
tentativo in questa direzione ma senza successo. L'anno scorso,
infatti, questo gruppo ha selezionato come standard una tecnologia
di audio watermarking prodotta dall'azienda californiana
Verance, un'applicazione software che fissa indelebilmente sui
file musicali una sorta di "sovrimpressione" che li rende riconoscibili
al fine di tutelarne il copyright: un marchio che veicola informazioni
sul prodotto e ne rende possibile l'uso solo a certe condizioni.
L'iniziativa, tuttavia, è fallita, sia per ragioni tecniche che
economiche. Innanzitutto la tecnologia non si è dimostrata inattaccabile:
la Sdmi ha sfidato gli hacker a "bucarla" mettendo in palio 10mila
dollari e, quando un gruppo di ricercatori dell'università di Princeton
ha scoperto una "falla" nel sistema e ha annunciato l'intenzione
di rivelarla, la questione è finita in tribunale. In secondo luogo
le "big five" della musica (Emi, Sony music, Bmg, Universal music
group e Warner music group) hanno perseguito dei progetti indipendenti
di sviluppo di tecnologie anti-copia, come Bmg che ha lanciato e
poi ritirato dal mercato i cd protetti, o hanno investito su altri
supporti, come Emi
che ha sottoscritto un accordo con Microsoft per distribuire 100
milioni di album e 40 milioni di singoli in formato Windows media
player.
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