L'importanza delle classi virtuali
Intervista all'ingegnere Guglielmo Trentin,
ricercatore dell'Istituto di Tecnologie Didattiche del CNR di Genova
e responsabile del progetto Edelweiss, che usa le tecnologie
multimediali per l'attività didattica del bambino ospedalizzato
In che modo le tecnologie telematiche si integrano con i
progetti scolastici?
Quando parliamo di uso delle risorse telematiche a supporto delle
attività didattiche in ospedale, in genere, vediamo due
possibilità: la prima è quella di far mantenere dei contatti da
parte dei bambini lungodegenti con i coetanei esterni, che possono
essere della stessa classe, nelle situazioni più fortunate, oppure
possono appartenere a classi di altre scuole esterne, per poter
mantenere un contatto con la realtà esterna. Dall'altro lato,
invece, intendiamo l'uso delle risorse telematiche come strumento in
grado di coinvolgere il bambino ospedalizzato in attività
didattiche, in particolare di didattica collaborativa, che vede
coinvolte anche altre classi esterne. Un esempio è la possibilità
di far partecipare il bambino lungodegente, chiaramente se la sua
condizione psicofisica lo consente, ad attività all'interno di una
classe virtuale costituita mediamente da 8/10 classi esterne che
hanno un loro progetto, una loro attività collaborativa da
sviluppare, nella quale si va ad inserire il bambino per il periodo
della sua degenza in ospedale. La cosa interessante è che spesso
questi contatti con la classe virtuale si mantengono anche dopo che
il bambino viene dimesso, laddove abbia la possibilità di poter
utilizzare i canali di posta elettronica per mantenersi in contatto
e in collaborazione con i coetanei delle altre classi.
Lei ha sviluppato presso l'Ospedale Gaslini di Genova il
Progetto Edelweiss. Di cosa si tratta?
Non sono stato ovviamente il solo artefice di questo progetto:
diversi colleghi dell'Istituto e diversi insegnanti della scuola in
ospedale hanno collaborato all'attivazione del progetto. Edelweiss
ha come obiettivo quello di capire come, e se, le tecnologie
multimediali e telematiche possono supportare l'attività didattica
del bambino ospedalizzato. Parliamo anche di tecnologie multimediali
perché non sono necessariamente legate alla Rete, in quanto in
molte attività che vengono proposte ai bambini si fa uso di
software didattico, in attività abbastanza individualizzata. in cui
il bambino interagisce con il computer.
Si tratta di un progetto molto bello. Per lei, deve essere una
grande soddisfazione realizzare un progetto che rende felice dei
bambini.
Indubbiamente, questo ci ripaga di un lavoro molto complesso che
vede impegnati sia gli insegnanti, sia i ricercatori dell'Istituto,
sia gli stessi bambini che poi si impegnano moltissimo nelle
attività che vengono loro proposte.
Dove risiede la complessità di questo progetto?
La complessità sta principalmente a livello organizzativo.
Inizialmente, almeno nei primi anni di progetto, noi pensavamo di
mettere il bambino ospedalizzato al centro delle attività del mondo
esterno, quindi, farlo interagire con le attività delle classi
esterne dove lui fosse il polo della comunicazione. In realtà, poi,
abbiamo scoperto che per problemi di terapie e di poca
disponibilità dovuta allo stato di salute del bambino ricoverato,
la soluzione migliore fosse quella di coinvolgere il bambino in
qualcosa di già esistente, quindi in una classe virtuale costituita
da più classi reali, distribuite geograficamente, in cui il bambino
ospedalizzato potesse entrare di volta in volta, quando la sua
situazione lo consente, e lasciare il suo contributo. Questo vuol
dire creare una collaborazione in Rete con le classi esterne che
siano in condizioni di garantire questa attività con i bambini
all'interno dell'ospedale.
Lo scopo sembra che vada oltre il gioco e la distrazione.
Il discorso è proprio quello di non limitare l'uso della
telematica alla comunicazione e alla libera interazione tra bambini
interni ed esterni. Il nostro obiettivo è di capire come lo
strumento possa facilitare e arricchire momenti didattici
all'interno dell'ospedale. Le insegnanti, quindi, quando accolgono
il bambino che entra in ospedale, innati tutto cercano di capire se
può partecipare a queste attività basate sull'uso della Rete,
dopodiché il pretesto di utilizzare la Rete e partecipare ad
attività collaborative con l'esterno, diventa un punto di forza su
cui lavorare per esercitare i bambini alla scrittura, alla lettura,
a fargli fare i compiti che forse in altro modo sarebbero meno
gradevoli e meno stimolanti.
Oltre al rapporto telematico che si è stabilito con la scuola
elementare G. Govi di Genova, c'è anche tutta un'attività interna
all'ospedale.
Il progetto investe una decina di scuole sul territorio
nazionale. L'attività all'interno dell'ospedale, invece, riguarda
prevalentemente l'uso delle tecnologie sia telematiche che
multimediali per altre fasce di età, in particolare, mi riferisco
alle attività della scuola materna. La scuola materna all'interno
del Gaslini riceve non soltanto bambini di quella specifica età, ma
rappresenta uno spazio-gioco per bambini e ragazzi. Con questi
soggetti vengono attivate esperienze collaborative verso l'esterno
che riguardano la co-costruzione di ambienti di fantasia in cui
ognuno partecipa portando il proprio contrinuto.
Qual è il futuro della vostra sperimentazione? Dove può
portare la creazione di ambienti virtuali tra persone che stanno
all'interno e all'esterno dell'ospedale?
Il nostro obiettivo è proprio quello di capire come queste
tecnologie possono, in qualche maniera, supportare situazioni di
disagio. Abbiamo parlato di ospedali, ma in realtà possiamo anche
riferirci a bambini e ragazzi degenti a casa sempre per questioni di
salute. L'idea è di cercare di approfondire e di capire come le
tecnologie, in particolare audiovisive, l'audiovideo conferencing ad
esempio, possa essere utilizzato per avvicinare in maniera sempre
stimolante il bambino interno e il bambino esterno. Esperienze
sull'uso dell'audiovideo conferencing è già stato fatto in
passato, la grossa scommessa è cercare di trovare modelli e
soluzioni ripetibili che non si limitino solo a quello che potremmo
chiamare "un fuoco di paglia sperimentale" che ha poi
difficoltà ad essere replicato in situazioni più standard.
|