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Dopo il Millenium Bug

di Antonio Caronia

Wall StreetI commentatori economici sono concordi nel dire che la recessione è finita e che probabilmente nel 2009 il PIL crescerà in media dello 0,1 - 0,2%. Però naturalmente chi si è scottato con l’acqua bollente ha paura anche dell’acqua tiepida, perciò le misure di risparmio energetico sono ancora in vigore. Il prossimo anno, dunque, ricorre il decennale del famigerato crack del 2000, con la borsa di Wall Street chiusa per quasi un mese, Francoforte, Londra e Zurigo in caduta libera e l’inizio della recessione più lunga nella storia dell’economia mondiale.

Tutti sappiamo che le vere cause scatenanti della recessione sono state il collasso economico della Russia e il crack finanziario in Corea, ma nella coscienza della gente è rimasta l’idea che la colpa sia stata del crack dei computer nel capodanno del 2000, con quella stupida storia della data. E una parte di vero c’è, se pensiamo ai 1000 miliardi di dollari che quello scherzetto è costato all’America. Perciò il Y2K è stato senz’altro responsabile di un 1 o 2% della diminuzione del PIL americano ed europeo, che nel 2000 fu attorno al 5%. La gente ricorda ancora i disordini un po’ in tutto il mondo, gli attacchi alle sedi dell’Ibm e di Microsoft, e direi che anche il peso che hanno oggi le organizzazioni dei consumatori è dovuto in parte a quell’episodio. Oggi si cerca di pensare le tecnologie tenendo conto dei bisogni della gente, e di valutare più attentamente se i piccoli risparmi dell’oggi non possano diventare delle catastrofi domani. Certo, se ci avessero pensato prima... ma la storia non si fa con i se e con i ma.

Oggi vorremmo rievocare la psicosi di massa che attraversò tutto il mondo occidentale nel 1999 in attesa di quello che, secondo i catastrofisti dell’epoca, poteva essere un gigantesco collasso dei sistemi computerizzati conseguente al cambio di data. Ben poco di quanto avevano previsto i pessimisti si verificò a Gennaio del 2000, perché gli informatici riuscirono a individuare e a sostituire la maggior parte di quell’1% di microprocessori antiquati che avevano uno spazio di memoria di sole due cifre riservate all’anno. Quindi, nessun blocco generalizzato dei sistemi energetici, informativi, di produzione e di distribuzione di merci, ma solo episodi limitati, certo più frequenti e più fastidiosi nei paesi che non si erano preparati così bene a quell’evento come gli Stati Uniti e l’Inghilterra.

)Le scorte di cibo e di candele che i più intransigenti si erano preparate rimasero quindi inutilizzate, e a poco a poco ci si dimenticò del clamore suscitato dal collasso previsto e non verificatosi. Le uniche conseguenze sull’economia furono, negli anni fra il 2000 e il 2005, un certo maggiore affanno dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Giappone, e l’emergere di un certo numero di nuove aziende che si erano arricchite vendendo soluzioni al problema del Y2K. L’osservazione che si può fare, però, è che il mondo sembra aver perso l’occasione di riflettere sul rapporto fra tecnologia e bisogni.

In fondo le previsioni dei catastrofisti, anche se si sono rivelate errate, avevano avuto il merito di sollevare questo problema: nel nostro mondo reso così complesso dalla tecnica, le tecnologie vanno progettate solo tenendo conto della loro efficienza “interna”, o non si deve pensare anche alle possibili conseguenze sulla vita quotidiana di tutti? Speriamo solo che questo problema non venga posto di nuovo da un’altra catastrofe annunciata, che magari questa volta potrebbe avverarsi.

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