I calcolatori, e le nuove
tecnologie in generale, si avviano a diventare ben più di semplici
strumenti di lavoro, di svago o di comunicazione. Lo sviluppo di
protesi sempre più raffinate e l'avvio dei primi esperimenti con
microchip impiantati nel corpo, stanno aprendo un'epoca in cui la
distanza tra uomini e macchine sta letteralmente annullandosi e le
macchine iniziano a far parte di noi. Si tratta di scenari senza
dubbio affascinanti e che, per esempio in campo medico, promettono
progressi notevoli.
La tecnologia e la
medicina sono alleate da molto tempo. I medici hanno sempre cercato di
sfruttare quanto di meglio i tecnici mettevano a loro disposizione e,
come in molti altri settori, i progressi degli ultimi anni, anche in
questo, sono stati straordinari. E c'è persino chi si avventura nello
sperimentare tecnologie che allarghino, per così dire, le normali
possibilità umane, allungando il passo verso l'era dell'uomo bionico.
Le équipe di scienziati e medici che lavorano per mettere a punto
protesi e componenti mediche ad altissima tecnologia sono numerose e
riguardano ormai un numero sempre crescente di parti del corpo: occhi
e orecchi artificiali, pace-maker, muscoli sintetici. Insomma, una
lunga lista di pezzi di ricambio, diciamo così, sempre più
efficienti e raffinati.
Ma il nostro organismo è
straordinariamente complesso. Non è detto che il suo benessere
dipenda solo dal buon funzionamento di tutte le sue componenti. Su
questo punto c'è un vero e proprio dibattito tra due scuole di
pensiero: chi si specializza nello studio delle parti e adotta dunque
un approccio riduzionista, e chi invece preferisce un punto di vista
olistico, cioè considerare l'organismo una entità unica.
Naturalmente, i due approcci si completano a vicenda.
In ogni caso molti esperti
ritengono che la compenetrazione tra il nostro corpo e le macchine sia
destinata a diventare sempre più stretta. E nell'era digitale la
macchina per eccellenza è naturalmente il computer. Sherry
Turkle,
una delle studiose che ha dedicato più tempo a seguire l'evoluzione
dell'interazione tra esseri umani e computer, commenta così questa
evoluzione:
"Ci sono molti
modi in cui un computer è già diventato parte del nostro corpo. Si
pensi ai pacemaker, agli apparecchi impiantati nei malati del morbo di
Parkinson, o ai microprocessori che aiutano i diabetici a regolare la
produzione di insulina. Attualmente si fa uso dell'informatica e
dell'ingegneria elettronica per estendere variamente il nostro
controllo sul corpo, tanto che l'idea di impiegare il computer come
protesi non è più fantascienza ma realtà quotidiana. Credo che il
prossimo passo, il più difficile, sarà di passare dal computer come
protesi al computer come cyborg, quando noi e il computer saremo
davvero una cosa sola".
Il rapporto uomo macchina
non si ferma tuttavia ai frutti dell'alleanza fra medicina e
tecnologia per realizzare protesi artificiali. C'è anche chi,
perfettamente sano, inizia a sperimentare chip elettronici e macchine
che non servono a ristabilire alcune funzioni danneggiate, ma a
esplorare nuovi orizzonti nell'interazione con i computer.
Il lavoro di scienziati
come Kevin Warwick, che si è auto impiantato un chip nel proprio
braccio, o dei ricercatori del Mit sottintende l'idea della
costruzione di primi esempi di cyborg reali, che non escono dai
romanzi fantascientifici ma che agiscono nella realtà. Il confine tra
naturale e artificiale si fa più sfumato e più labile. E nella
frenetica espansione delle prestazioni dell'organismo umano si
impongono necessariamente anche riflessioni di tipo etico.
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