Corso 1 - Introduzione al computer

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Modulo 1: Cosa c'e' dentro la scatola
Modulo 2: Parlare con il computer
Modulo 3: Alla scoperta del sistema operativo
Modulo 4: Programmi applicativi ed uso della rete

Introduzione al computer
di Gino Roncaglia

 

Prima dispensa

Cosa c'e' dentro la scatola

Sommario degli argomenti

  • Introduzione (1)

  • Dentro la scatola (2)

  • La piastra madre e la CPU (3)

  • Le ‘porte’ della piastra madre (4)

  • Memoria (5)

  • Misurare la memoria (6)

  • Dispositivi di memoria di massa (7)

 
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Esercizi di autovalutazione
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Introduzione

Il nostro breve corso di introduzione al computer si articola in quattro lezioni: ognuna di esse comprende circa 30 minuti di video, una dispensa come questa, e un modulo di esercizi e di test di autovalutazione, che vi permetteranno di capire se avete assimilato i concetti fondamentali della lezione.

La prima lezione è dedicata all’esame del computer dal punto di vista fisico. In sostanza, vogliamo cercare di rispondere alla tradizionale domanda: cosa c’è dentro la scatola? Nelle prossime lezioni prenderemo in considerazione anche gli strumenti che vengono collegati alla ‘scatola’ vera e propria del computer per acquisire e restituire informazione (monitor, stampante, scanner… insomma, le cosiddette ‘periferiche’), e – soprattutto – vedremo come utilizzare un computer una volta premuto il fatidico pulsante di accensione: come usare i programmi, come salvare e recuperare documenti, e così via.

Ma, prima di tutto, affrontiamo la questione di fondo: cos’è un computer?

La prima risposta che possiamo dare è che un computer è uno strumento per elaborare informazione. Il computer lavora dunque partendo da informazione in ingresso (l’input del processo di elaborazione), la elabora in base a una serie di regole (un programma), e restituisce informazione in uscita (l’output del processo). La quasi totalità computer oggi utilizzati è digitale, lavora cioè con informazione ‘convertita in numeri', ovvero informazione in formato digitale.

Prima di approfondire questo aspetto – prima cioè di vedere in che modo l’informazione viene acquisita, elaborata e restituita da un computer – esaminiamo però, come ci siamo ripromessi di fare, le componenti fisiche di un computer, il cosiddetto hardware.

Dentro la scatola

La prima componente che incontriamo guardando un computer è la sua ‘scatola’ esterna, detta anche cabinet. In effetti, il paragone con una scatola non è affatto sbagliato: si tratta appunto di un contenitore, al cui interno si trovano le componenti fondamentali del computer.

Il cabinet di un computer è facilissimo da aprire, perché l’interno deve essere accessibile per aggiungere o sostituire delle componenti. Molti utenti, spaventati dall’idea che l’ ‘interno della scatola’ riguardi solo gli esperti e i tecnici dei laboratori di riparazione, non si sognerebbero mai di aprire il proprio computer. In realtà, si tratta di un’operazione priva di particolari rischi (a patto, ovviamente, di non prendere a martellate tutto quello che ci troviamo dentro…), che moltissimi altri utenti appena un po’ ‘evoluti’ compiono spessissimo. La maggior parte dei cabinet si apre svitando poche viti; alcuni sfruttano addirittura un semplice sistema a incastro, e per aprirli non serve svitare nulla. In ogni caso, per seguire questa lezione non serve aprire nulla: basterà seguirci nella nostra esplorazione virtuale dell’interno del ‘mostro’.

La piastra madre e la CPU

All’interno del cabinet, la prima componente che dovrebbe attirare la nostra attenzione è una vasta piastra piena di componenti elettroniche di tutti i tipi. Si tratta della cosiddetta piastra madre, la scheda che raccoglie in maniera efficiente e compatta la maggior parte delle componenti fondamentali di ogni computer: il microprocessore, che costituisce il vero ‘cervello’ del computer, e poi la memoria, le porte di comunicazione, e così via. Per capire come è fatta una piastra madre, possiamo aiutarci con le figure seguenti (che rappresentano una tipica piastra madre del 1999)



Figura 1 - una piastra madre

 



Figura 2 - la struttura interna di una piastra madre

La prima e più importante componente della piastra madre è il microprocessore, ovvero la cosiddetta CPU (Central Processing Unit). Per essere esatti, microprocessore e CPU non sono proprio la stessa cosa: parliamo di microprocessore quando ci riferiamo all’oggetto fisico che si trova nel nostro computer (e ormai anche in moltissimi altri dispositivi, dalle automobili ai televisori, dalle macchine fotografiche agli impianti HI-FI…), mentre quello di CPU, ovvero di unità di elaborazione centrale, è soprattutto un concetto logico-funzionale. Concretamente, comunque, la CPU è per così dire ‘incarnata’ dentro un microprocessore (magari insieme ad alcune componenti aggiuntive), e nella maggior parte dei contesti i due termini possono essere usati in maniera quasi intercambiabile.

Ma cosa fa la CPU? La CPU corrisponde un po’ alla ‘fabbrica’ che lavora sulle informazioni, o meglio, alla catena di montaggio di questa fabbrica. Essa infatti lavora per lo più trasferendo (copiando) informazioni in formato digitale dalla memoria del computer a dei piccoli ‘scaffali di lavoro’ disponibili al suo interno, i cosiddetti registri; leggendo quindi i valori che trova nei registri, modificandoli se necessario in base alle regole previste dal programma che sta eseguendo, e quindi trasferendo nuovamente nella memoria i valori eventualmente modificati. Fra i registri dei quali dispone la CPU, ve ne saranno alcuni destinati a contenere i dati sui quali il processore sta lavorando, altri che conterranno - sempre in forma codificata - le istruzioni che il processore deve eseguire, mentre un registro ‘contatore’ si occuperà di controllare l’ordine con il quale vengono eseguite le istruzioni del programma, tenendo nota di quale istruzione il processore sta eseguendo in quel determinato momento.

Molte istruzioni di programma richiedono l’intervento di una componente particolarmente importante della CPU, l’Unità Aritmetico-Logica o ALU: come dice il suo nome, la ALU compie le principali operazioni aritmetiche e logiche (ad esempio, somma numeri binari, confronta due valori, o controlla se alcune condizioni previste dal programma siano o no soddisfatte).

Abbiamo accennato alla necessità di disporre di registri per i dati, e di registri per le istruzioni e per il contatore (questi ultimi faranno parte della cosiddetta unità di controllo, il sottosistema della CPU che deve identificare e controllare l’esecuzione di un’istruzione). Abbiamo parlato anche della unità aritmetico-logica, la ALU. Resta da ricordare che i bit che vanno avanti e indietro dai registri e sui quali lavorano l’unità di controllo e la ALU hanno naturalmente bisogno di canali attraverso cui viaggiare: si tratta dei cosiddetti bus; l’architettura di un computer dovrà naturalmente prevedere diversi tipi di bus per lo scambio di dati: alcuni interni alla CPU, altri fra la CPU e le altre componenti del computer. I bus di dati sono strade di comunicazione assai trafficate, e l’efficienza e la velocità di un computer dipenderanno anche dalla loro ‘portata’: un numero maggiore di ‘corsie’ permetterà di far viaggiare contemporaneamente più bit, e migliorerà la velocità del sistema.

Quanto abbiamo detto finora non basta certo a dare una rappresentazione completa e rigorosa del lavoro interno alla CPU, ma speriamo possa fornirne almeno un’idea: nel cuore del nostro computer lavora un’attivissima fabbrica impegnata nella continua elaborazione di dati in formato binario (rappresentati cioè da lunghe catene di ‘0’ e ‘1’); attraverso le vie di comunicazione costituite dai bus, la materia prima arriva dall’esterno sotto forma di dati binari in entrata; viene poi ‘lavorata’ in accordo con le istruzioni del programma, e viene infine nuovamente ‘spedita’ verso l’esterno. Resta da dire che i ritmi di lavoro della fabbrica sono scanditi dall’orologio della CPU (più ‘veloce’ è questo orologio, più rapidamente vengono eseguiti i compiti richiesti), e che le capacità di elaborazione della fabbrica dipendono direttamente dall’insieme di istruzioni che il processore può riconoscere ed eseguire: ogni programma costruito per essere eseguito da un particolare processore deve essere basato su comandi tratti dal relativo ‘set di istruzioni’.



Figura 3 - Una CPU, inserita all'interno dello slot verticale che la ospita nella piastra madre.

Anche chi non utilizza normalmente un computer sa probabilmente che per identificare le caratteristiche di questa o di quella macchina si utilizzano spesso e volentieri sigle piuttosto arcane: Pentium III 500, Celeron 233, PowerPC G3, e chi più ne ha più ne metta. Ebbene, non di rado le sigle che trovate associate ai diversi computer indicano, oltre al nome del processore, la sua ‘frequenza di clock’, ovvero la sua ‘velocità’, espressa in megahertz. Il processore al momento più diffuso è il Pentium della Intel. E un Pentium II 200 avrà un orologio interno che cammina alla velocità di 200 megahertz, e sarà un po' più lento di un Pentium II 300, e parecchio più lento di un Pentium II 400.

Nel corso del tempo, la frequenza di clock dei processori è andata continuamente aumentando: pensate che i processori dei primi personal computer IBM avevano una frequenza di clock di poco superiore a 4 megahertz, mentre oggi non è infrequente trovare processori con frequenza di clock pari a 500 megahertz o superiore.

Naturalmente, il fatto che la CPU lavori così velocemente porta anche dei problemi: ad esempio, le CPU di oggi, lavorando a una frequenza molto alta (‘molto velocemente’), sviluppano anche molto calore. Ed ecco che diventa essenziale ‘raffreddare’ le CPU; un sistema spesso usato è quello della sovrapposizione alla CPU stessa di una piccola ventola a motore. Altrimenti? Altrimenti, surriscaldata, la CPU potrebbe lavorare male, o guastarsi del tutto.

Abbiamo parlato della ‘frequenza di clock’ come di uno degli indici della velocità di un processore. Ma ricordiamo che la potenza effettiva di un processore non dipende solo dalla sua frequenza di clock. Dipende anche dal numero e dal tipo di istruzioni che il processore è in grado di eseguire.

Abbiamo detto che la CPU è la più importante fra le componenti che troviamo sulla piastra madre. Ma dove si trova la CPU? Nella piastra madre rappresentata dalla Figura 2, essa viene inserita nella fessura (slot) situata in alto a destra e marcata come slot one. In altre piastre madri, la CPU può essere invece inserita in un apposito alloggiamento (socket) orizzontale, in genere di forma quadrata. Alcune piastre madri permettono di alloggiare due CPU, che si divideranno il lavoro migliorando le prestazioni del computer. Il fatto che la CPU non sia saldata alla piastra madre, ma inserita in un apposito slot permette all’occorrenza di sostituirla, magari con un modello più recente (che in questo caso dovrà però essere progettato in modo da adattarsi allo slot già esistente).

Le ‘porte’ della piastra madre

Sopra lo slot nel quale alloggia la CPU, troviamo le porte di comunicazione verso l’esterno; attraverso di esse, i dati possono raggiungere periferiche come stampante, tastiera, mouse, schermo, modem (e magari per questa via altri computer collegati alla rete Internet) e così via.

Le porte che vedete indicate sono la porta parallela (utilizzata in genere per il collegamento di una stampante, e per i modelli più economici di scanner) e quella seriale (alla quale possono essere collegati modem, mouse e altri dispositivi), la porta USB (Universal Serial Bus) che costituisce un’alternativa recente e più veloce alla porta seriale, e permette di collegare ‘a cascata’ molteplici periferiche (fra l’altro schermo, telecamere, scanner, mouse, tastiere…), e la porta PS/2, usata spesso per il collegamento del mouse. Naturalmente, queste porte sono collegate alla CPU attraverso bus di dati che ‘corrono’ lungo la piastra madre; per evitare una eccessiva confusione dello schema, nell’immagine i bus di dati non sono evidenziati, ma dovete pensare a tutta la piastra madre come percorsa da una fitta ragnatela di strade di comunicazione che ne collegano le diverse componenti.

Sotto lo slot del processore troviamo il chip di controllo della AGP (Accelerated Graphic Port); la AGP è un canale dedicato a far circolare in maniera veloce unicamente i dati grafici. Le applicazioni multimediali più recenti - e soprattutto i giochi, particolarmente ‘affamati’ di grafica ricca e dettagliata - richiedono infatti la generazione e l’aggiornamento continuo delle immagini inviate allo schermo. Ecco allora che un canale dedicato esclusivamente al passaggio dei dati grafici può rivelarsi prezioso, specialmente se affiancato da una buona scheda grafica in grado di aiutare la CPU nella loro gestione.

A fianco della AGP, nella parte superiore sinistra della piastra madre rappresentata nella Figura 2 troviamo degli altri slot, marcati come ISA e PCI: si tratta di alloggiamenti nei quali possono essere inserite schede di espansione (ad esempio schede sonore, grafiche, video, ecc.). Le sigle ISA e PCI identificano due standard diversi: lo standard PCI (Peripheral Component Interconnect) è più recente, e permette una comunicazione più veloce fra la scheda e la piastra madre; lo standard ISA (Industry Standard Architecture) è più antico, era già presente sui primi personal computer IBM, e pur se meno efficiente, proprio per la sua natura di standard diffuso ha continuato ad essere utilizzato negli anni successivi (spesso nella versione ‘estesa’ rappresentata dall’Extended ISA o EISA).



Figura 4 - Una scheda di espansione

Memoria

Un’altra componente fondamentale della piastra madre sulla quale vale la pena di soffermarsi è la memoria. La CPU ha bisogno di memoria esterna, di molta memoria esterna sulla quale conservare (nel solito formato digitale!) i dati di lavoro, le istruzioni dei programmi che sta eseguendo, e così via. La memoria utilizzata dalla CPU può essere di vari tipi: memoria ‘a portata di mano’, disponibile sulla piastra madre, e alla quale è dunque possibile accedere, in lettura e scrittura, in maniera molto veloce, e memoria esterna alla piastra madre, sotto forma di dispositivi di memoria di massa come i floppy disk, i dischi rigidi, i CD-ROM, i DVD ecc.

Ci soffermeremo più avanti sulla memoria ‘esterna’; per ora concentriamoci su quella direttamente innestata nella piastra madre. A sua volta, essa può essere di vari tipi; il deposito più capiente è quello rappresentato dalla cosiddetta RAM (Random Access Memory), dove mentre usiamo il computer viene conservata, momento per momento, la gran parte dei dati sui quali stiamo lavorando e delle istruzioni relative ai programmi che stiamo usando. Se ad esempio stiamo utilizzando un programma di videoscrittura, la RAM conterrà il testo che stiamo scrivendo (o una larga parte di esso) e i moduli fondamentali del programma che stiamo usando per scriverlo.

La RAM è una memoria volatile: i dati vengono conservati sotto forma di potenziali elettrici, e se spegniamo la spina (o se va via la corrente) vanno persi. Nello schema della Figura 2, la RAM viene inserita negli alloggiamenti (sockets) in basso a destra, subito sopra i connettori per disco rigido e lettore di floppy disk.



Figura 5 - una scheda di memoria RAM, pronta ad essere inserita nell'apposito alloggiamento all'interno della piastra madre

E’ necessario però che sulla piastra madre sia presente, a disposizione della CPU, anche una parte di memoria non volatile, contenente una serie di informazioni fondamentali per il funzionamento del computer. Ad esempio, le informazioni su quali siano i dispositivi presenti sulla piastra madre, e su come comunicare con essi. Queste informazioni non possono essere date ‘dall’esterno’, perché senza di esse la stessa comunicazione con l’esterno è impossibile. Non possono nemmeno essere volatili, perché se lo fossero scomparirebbero al momento di spegnere il computer, e alla successiva riaccensione non sapremmo più come reinserirle, dato che il computer stesso non ‘ricorderebbe’ più come fare per comunicare con l’esterno.

Devono dunque essere a portata di mano, sulla piastra madre, e conservate da una memoria non volatile. Si tratta del cosiddetto BIOS, Basic Input-Output System. La memoria non volatile che conserva questi dati è in genere considerata memoria a sola lettura, o memoria ROM (Read Only Memory), anche se ormai questa denominazione è inesatta: si usano infatti sempre più spesso a questo scopo moduli di memoria non volatile 'aggiornabili' in caso di necessità (flash memory).

Nello schema della Figura 2, la memoria che contiene il BIOS si trova sulla sinistra, subito sotto gli slot ISA.

Talvolta, oltre al BIOS, nella memoria non volatile trovano posto anche veri e propri programmi; è il caso ad esempio di molti computer palmari della nuova generazione (si tratta dell’evoluzione delle cosiddette agendine elettroniche: pesanti qualche centinaio di grammi e in grado di essere portati in una tasca, i computer palmari di oggi sono molto più potenti dei personal computer di sei o sette anni fa). In questo caso, l’installazione in ROM del sistema operativo e dei principali programmi usati consente non solo di averli immediatamente a disposizione, senza aspettare i tempi necessari al loro caricamento da una memoria esterna, ma anche di ridurre il peso della macchina, dato che non servono dispositivi di memoria di massa come dischi rigidi o floppy disk dai quali altrimenti questi programmi dovrebbero essere caricati.



Figura 6 - un computer palmare

Dal momento che stiamo parlando di memoria, conviene aggiungere una annotazione: abbiamo visto come nella piastra madre trovino posto la RAM e la ROM del computer. Negli ultimi anni, tuttavia, si è diffusa l’abitudine a inserire una memoria autonoma di una certa ampiezza anche all’interno del microprocessore; questa memoria, detta memoria cache, trovandosi a portata diretta della CPU è ancor più veloce della RAM installata sulla piastra madre, ed è quindi in grado di migliorare ulteriormente le prestazioni del sistema.

Ma torniamo alle principali componenti che trovano posto nella piastra madre, per concludere il nostro rapido viaggio al suo interno. Non ci manca molto: resta da ricordare che sarà naturalmente necessario un collegamento che porti l’energia elettrica (power connector), e che sarà di norma presente anche una batteria tampone in grado di mantenere aggiornati alcuni dati essenziali (ad esempio la data e l’ora) anche a computer spento.

Misurare la memoria

Abbiamo parlato di memoria. Ma come si misura, la memoria di un computer? L’unità di misura fondamentale dell’informazione è il bit, che corrisponde alla quantità di informazione convogliata dalla scelta fra due sole alternative. Con un solo bit di memoria possiamo rappresentare, ad esempio, lo stato di un singolo interruttore (acceso o spento), o un carattere di un linguaggio composto da due soli simboli. Per fare cose un po’ più interessanti serve molta più memoria! Il passo successivo è il byte, che corrisponde a una ‘parola’ composta da otto bit. Un byte può ‘informarci’ sulla scelta fra 28 = 256 diverse alternative. Può quindi rappresentare ad esempio un carattere scelto da un alfabeto di 256 simboli, un numero intero compreso fra 0 e 255, un colore scelto da una ‘tavolozza’ di 256 colori diversi, e così via.

Le tabelle più diffuse di codifica dei caratteri, come la tabella Iso Latin 1, utilizzano proprio un byte per codificare un carattere. Un carattere di testo, dunque, ‘pesa’ normalmente un byte.

Quanto peserà, allora, una cartella di testo? Se supponiamo che la cartella comprenda circa 2000 battute, essa peserà circa 2000 byte.

Bit e byte sono unità di misura della quantità di informazione, e dato che la capacità di una memoria corrisponde appunto alla quantità di informazione che in essa può essere immagazzinata, bit e byte sono anche le unità di misura di base per esprimere la capacità di immagazzinamento (la ‘dimensione’) di una memoria. Man mano che le dimensioni delle memorie (e della quantità di informazione che vogliamo immagazzinarvi) crescono, tuttavia, diventa scomodo continuare a parlare utilizzando solo unità di misura ‘piccole’ come il bit e il byte.

Ecco allora che, proprio come accade per altre familiari unità di misura, anche in questo caso si fa ricorso a nomi specifici per indicare i principali multipli delle nostre familiari unità di base. A differenza di quanto accade ad esempio nel caso della lunghezza o del peso, tuttavia, nel caso della quantità di informazione non si usa, per la costruzione di queste unità di misura di livello superiore, il sistema decimale. Abbiamo visto infatti che nel campo del digitale è la numerazione binaria, non quella decimale, a fare da padrona. Ecco allora che il Kilobyte (abbreviato come Kb) non corrisponde a 1000 byte ma a 210 = 1024 byte. 2 Kb di testo corrispondono dunque non a 2000, ma a 2048 caratteri (siamo comunque sempre vicini alle dimensioni di una cartella standard). Proseguendo nella scala, troviamo il Megabyte (Mb), che corrisponde a 1024 Kilobyte), e il Gigabyte (Gb), che corrisponde a 1024 Megabyte.

Dispositivi di memoria di massa

La memoria RAM interna al computer diventa sempre più ampia (sono ormai frequenti personal computer equipaggiati con 64 o 128 Mb di RAM), ma come abbiamo accennato si tratta di una memoria volatile, che non è dunque in grado di conservare in maniera permanente dati e programmi. Per quest’ultimo scopo, è bene disporre di depositi di memoria ancor più grandi, dato che vogliamo conservarvi tutti i programmi e tutti i dati che desideriamo avere a nostra disposizione, e non solo quelli che utilizziamo in un dato momento.

A questa esigenza rispondono i cosiddetti dispositivi di memoria di massa: disco rigido, floppy disk, CD-ROM, DVD, nastri e cartucce di vario tipo.

I floppy disk, ovvero i normali ‘dischetti’ da computer, sono probabilmente i più familiari: si tratta di piccoli dischi di materiale magnetico inseriti all’interno di un rivestimento di plastica, che all’inizio era flessibile (da qui la caratterizzazione ‘floppy’) ma che adesso è rigido. Negli ultimi anni, la capacità di immagazzinamento dei floppy disk è aumentata a ritmi assai rapidi; i primi floppy disk erano molto più ingombranti e contenevano 170 Kb di dati; i piccoli floppy disk attuali contengono, nella versione più diffusa, 1.44 Mb di dati.



Figura 7 - un floppy disk

Secondo molti analisti, tuttavia, l’era dei floppy disk, almeno nella loro forma tradizionale, si avvicina alla fine: da un lato, considerato l’enorme ‘ingombro’ in termini di bit dei programmi più recenti e di dati che con sempre maggior frequenza non sono solo testuali ma anche sonori o visivi, un supporto capace di contenere pochi megabyte di informazione si rivela spesso inadeguato. Dall’altro, il collegamento in rete (e in particolare a Internet) fornisce un canale nuovo per il trasferimento di programmi e dati verso il computer. Inoltre, l’aumento vertiginoso nella capienza dei dischi rigidi rende inutile ‘disperdere’ i propri dati su molti dischetti. La sopravvivenza di supporti simili ai floppy disk può dunque essere legata solo alla realizzazione di dischetti molto più capienti; in effetti, stanno conoscendo una certa fortuna supporti che possono essere considerati dei ‘discendenti evoluti’ dei floppy disk (pur se basati in realtà su tecnologie parzialmente diverse). Fra i più diffusi ricordiamo ad esempio le cartucce ZIP (da 100 Mb) e JAZZ (da 1 Gb) prodotte dalla Iomega, e le cartucce e i nastri prodotti dalla Sysquest.

Una categoria ormai diffusissima è quella rappresentata dai CD-ROM; a differenza dei floppy disk e dei nastri, l’informazione è scritta e conservata su un CD-ROM sfruttando non un supporto magnetico, ma un supporto ottico: possiamo pensare a minuscole ‘tacche’ incise sulla superficie del disco da un raggio laser (quello dell’apparato di scrittura, o masterizzatore), tacche che vengono in seguito lette dal raggio laser del lettore. Si tratta di una procedura del tutto analoga a quella usata nel caso dei Compact Disk musicali.

Una volta scritti, i normali CD-ROM sono, come suggerisce il nome, supporti di sola lettura (ricordate? la sigla ROM sta per Read Only Memory). A differenza dei supporti magnetici, non possono dunque essere sovrascritti con nuovi dati. Da alcuni anni esistono tuttavia anche CD-ROM riscrivibili; il loro prezzo è tuttavia piuttosto alto.



Figura 8 - CD-ROM

La capacità di un CD-ROM non è indifferente: circa 630 Mb di dati, equivalenti a oltre 400 dei tradizionali dischetti floppy. Eppure, se vogliamo usare il CD-ROM come supporto per informazione sonora o visiva (in particolare filmata), questa capacità è ancora poca. Ecco allora che sono nati i DVD (Digital Versatile Disk), apparentemente simili ai CD-ROM ma capaci di contenere quantità ancor maggiori di dati (le capacità dei DVD variano a seconda del loro formato, e – nelle specifiche attuali - possono andare da 4,7 a 17 Gb).

Mentre floppy disk, CD-ROM, DVD, nastri e cartucce sono supporti rimovibili (di norma li conserveremo in uno schedario o in un cassetto, e li inseriremo nel computer solo quando ci servono quei particolari dati o quel particolare programma), i dischi rigidi (hard disk) sono in genere fissi, inseriti all’interno della nostra famosa scatola (o cabinet) del computer. Si tratta però di una scelta dettata solo da praticità: in effetti, dal punto di vista concettuale sia un floppy disk sia un disco rigido costituiscono memorie di massa esterne rispetto alla RAM ospitata sulla piastra madre. Del resto, esistono anche hard disk rimovibili, alloggiati su appositi scomparti scorrevoli, che pur essendo in genere più ingombranti (e più cari!) dei floppy disk e delle cartucce possono essere, volendo, conservati fuori dalla ‘scatola’ e inseriti solo al momento opportuno.

La caratteristica principale degli hard disk è la capienza: una quindicina d’anni fa, un hard disk da 20 Mb era considerato un lusso, oggi un hard disk sotto i 2 Gb è considerato piccolo, e i ‘tagli’ da 4 o 8 Gb sono sempre più diffusi (la tendenza all’evoluzione è continua anche in questo settore: può darsi che, quando leggerete queste pagine, le dimensioni di un hard disk di un computer di medie capacità siano ancora maggiori!).

Cosa ce ne facciamo, di tutto questo spazio? Se dovessimo solo scrivere, ne basterebbe molto meno – ma possiamo usare bit e byte anche per rappresentare informazione sonora e visiva (a cominciare dalle belle ‘finestre’ colorate e piene di bottoni che costituiscono ormai la regola anche per i programmi di scrittura), e questa informazione è molto più ‘cara’ in termini di consumo di memoria. Inevitabilmente, col progressivo miglioramento delle capacità di immagazzinamento e di gestione dell’informazione in formato digitale, ci abituiamo sempre di più alla facilità con la quale possiamo integrare testo, immagini, suoni, filmati, e siamo portati a richiedere una sempre maggiore disponibilità di memoria; siamo insomma ancora ben lontani dal poter dire che disponiamo di tutta la memoria che ci serve. Ricordiamo comunque che queste considerazioni dipendono sempre da quello che vogliamo fare con le risorse che abbiamo a disposizione; in molti casi ad esempio (e non sarebbe difficile trovare esempi fra i numerosi prodotti multimediali in commercio) accade che la maggiore disponibilità di memoria porti a ‘coprire’ con effetti speciali, suoni e filmati una reale carenza di contenuti. In altri casi, invece (pensiamo ad esempio a basi di dati di materiale filmato), la memoria disponibile non basta a fare tutto quello che sarebbe utile o interessante fare, e ci si deve accontentare di compromessi talvolta poco soddisfacenti.

Per concludere la nostra veloce rassegna, vogliamo ricordare un tipo di ‘memoria di massa’ molto familiare, ma che in genere non riconosciamo come tale: la maggior parte delle carte di credito, le carte Bancomat, le carte telefoniche e molti altri tipi di tesserini (ad esempio, ahinoi, quelli che i dipendenti ‘timbrano’ all’entrata in ufficio!) possiedono una piccola memoria, su banda magnetica o su chip, che conserva i dati necessari.