Il nostro breve corso di introduzione al computer si articola
in quattro lezioni: ognuna di esse comprende circa 30 minuti di video, una
dispensa come questa, e un modulo di esercizi e di test di autovalutazione, che
vi permetteranno di capire se avete assimilato i concetti fondamentali della
lezione.
La prima lezione è dedicata all’esame del computer dal
punto di vista fisico. In sostanza, vogliamo cercare di rispondere alla
tradizionale domanda: cosa c’è dentro la scatola? Nelle prossime lezioni
prenderemo in considerazione anche gli strumenti che vengono collegati alla ‘scatola’
vera e propria del computer per acquisire e restituire informazione (monitor,
stampante, scanner… insomma, le cosiddette ‘periferiche’), e –
soprattutto – vedremo come utilizzare un computer una volta premuto il
fatidico pulsante di accensione: come usare i programmi, come salvare e
recuperare documenti, e così via.
Ma, prima di tutto, affrontiamo la questione di fondo: cos’è
un computer?
La prima risposta che possiamo dare è che un computer è uno
strumento per elaborare informazione. Il computer lavora dunque partendo da
informazione in ingresso (l’input del processo di elaborazione), la
elabora in base a una serie di regole (un programma), e restituisce
informazione in uscita (l’output del processo). La quasi totalità
computer oggi utilizzati è digitale, lavora cioè con informazione ‘convertita
in numeri', ovvero informazione in formato digitale.
Prima di approfondire questo aspetto – prima cioè di
vedere in che modo l’informazione viene acquisita, elaborata e restituita da
un computer – esaminiamo però, come ci siamo ripromessi di fare, le
componenti fisiche di un computer, il cosiddetto hardware.
La prima componente che incontriamo guardando un computer è
la sua ‘scatola’ esterna, detta anche cabinet. In effetti, il
paragone con una scatola non è affatto sbagliato: si tratta appunto di un
contenitore, al cui interno si trovano le componenti fondamentali del computer.
Il cabinet di un computer è facilissimo da aprire, perché l’interno
deve essere accessibile per aggiungere o sostituire delle componenti. Molti
utenti, spaventati dall’idea che l’ ‘interno della scatola’ riguardi
solo gli esperti e i tecnici dei laboratori di riparazione, non si sognerebbero
mai di aprire il proprio computer. In realtà, si tratta di un’operazione
priva di particolari rischi (a patto, ovviamente, di non prendere a martellate
tutto quello che ci troviamo dentro…), che moltissimi altri utenti appena un
po’ ‘evoluti’ compiono spessissimo. La maggior parte dei cabinet si apre
svitando poche viti; alcuni sfruttano addirittura un semplice sistema a
incastro, e per aprirli non serve svitare nulla. In ogni caso, per seguire
questa lezione non serve aprire nulla: basterà seguirci nella nostra
esplorazione virtuale dell’interno del ‘mostro’.
All’interno del cabinet, la prima componente che dovrebbe
attirare la nostra attenzione è una vasta piastra piena di componenti
elettroniche di tutti i tipi. Si tratta della cosiddetta piastra madre,
la scheda che raccoglie in maniera efficiente e compatta la maggior parte delle
componenti fondamentali di ogni computer: il microprocessore, che costituisce il
vero ‘cervello’ del computer, e poi la memoria, le porte di comunicazione, e
così via. Per capire come è fatta una piastra madre, possiamo aiutarci con le
figure seguenti (che rappresentano una tipica piastra madre del 1999)
Figura 1 - una piastra madre
Figura 2 - la struttura interna
di una piastra madre
La prima e più importante componente della piastra madre è
il microprocessore, ovvero la cosiddetta CPU (Central Processing Unit).
Per essere esatti, microprocessore e CPU non sono proprio la stessa cosa:
parliamo di microprocessore quando ci riferiamo all’oggetto fisico che si
trova nel nostro computer (e ormai anche in moltissimi altri dispositivi, dalle
automobili ai televisori, dalle macchine fotografiche agli impianti HI-FI…),
mentre quello di CPU, ovvero di unità di elaborazione centrale, è soprattutto
un concetto logico-funzionale. Concretamente, comunque, la CPU è per così dire
‘incarnata’ dentro un microprocessore (magari insieme ad alcune componenti
aggiuntive), e nella maggior parte dei contesti i due termini possono essere
usati in maniera quasi intercambiabile.
Ma cosa fa la CPU? La CPU corrisponde un po’ alla ‘fabbrica’
che lavora sulle informazioni, o meglio, alla catena di montaggio di questa
fabbrica. Essa infatti lavora per lo più trasferendo (copiando) informazioni in
formato digitale dalla memoria del computer a dei piccoli ‘scaffali di lavoro’
disponibili al suo interno, i cosiddetti registri; leggendo quindi i
valori che trova nei registri, modificandoli se necessario in base alle regole
previste dal programma che sta eseguendo, e quindi trasferendo nuovamente
nella memoria i valori eventualmente modificati. Fra i registri dei quali
dispone la CPU, ve ne saranno alcuni destinati a contenere i dati sui quali il
processore sta lavorando, altri che conterranno - sempre in forma codificata -
le istruzioni che il processore deve eseguire, mentre un registro ‘contatore’
si occuperà di controllare l’ordine con il quale vengono eseguite le
istruzioni del programma, tenendo nota di quale istruzione il processore sta
eseguendo in quel determinato momento.
Molte istruzioni di programma richiedono l’intervento di
una componente particolarmente importante della CPU, l’Unità
Aritmetico-Logica o ALU: come dice il suo nome, la ALU compie le principali
operazioni aritmetiche e logiche (ad esempio, somma numeri binari, confronta due
valori, o controlla se alcune condizioni previste dal programma siano o no
soddisfatte).
Abbiamo accennato alla necessità di disporre di registri per
i dati, e di registri per le istruzioni e per il contatore (questi ultimi
faranno parte della cosiddetta unità di controllo, il sottosistema della CPU
che deve identificare e controllare l’esecuzione di un’istruzione). Abbiamo
parlato anche della unità aritmetico-logica, la ALU. Resta da ricordare che i
bit che vanno avanti e indietro dai registri e sui quali lavorano l’unità di
controllo e la ALU hanno naturalmente bisogno di canali attraverso cui
viaggiare: si tratta dei cosiddetti bus; l’architettura di un computer
dovrà naturalmente prevedere diversi tipi di bus per lo scambio di dati: alcuni
interni alla CPU, altri fra la CPU e le altre componenti del computer. I bus di
dati sono strade di comunicazione assai trafficate, e l’efficienza e la
velocità di un computer dipenderanno anche dalla loro ‘portata’: un numero
maggiore di ‘corsie’ permetterà di far viaggiare contemporaneamente più
bit, e migliorerà la velocità del sistema.
Quanto abbiamo detto finora non basta certo a dare una
rappresentazione completa e rigorosa del lavoro interno alla CPU, ma speriamo
possa fornirne almeno un’idea: nel cuore del nostro computer lavora un’attivissima
fabbrica impegnata nella continua elaborazione di dati in formato binario
(rappresentati cioè da lunghe catene di ‘0’ e ‘1’); attraverso le vie
di comunicazione costituite dai bus, la materia prima arriva dall’esterno
sotto forma di dati binari in entrata; viene poi ‘lavorata’ in accordo con
le istruzioni del programma, e viene infine nuovamente ‘spedita’ verso l’esterno.
Resta da dire che i ritmi di lavoro della fabbrica sono scanditi dall’orologio
della CPU (più ‘veloce’ è questo orologio, più rapidamente vengono
eseguiti i compiti richiesti), e che le capacità di elaborazione della fabbrica
dipendono direttamente dall’insieme di istruzioni che il processore può
riconoscere ed eseguire: ogni programma costruito per essere eseguito da un
particolare processore deve essere basato su comandi tratti dal relativo ‘set
di istruzioni’.
Figura 3 - Una CPU, inserita all'interno dello slot
verticale che la ospita nella piastra madre.
Anche chi non utilizza normalmente un computer sa
probabilmente che per identificare le caratteristiche di questa o di quella
macchina si utilizzano spesso e volentieri sigle piuttosto arcane: Pentium III
500, Celeron 233, PowerPC G3, e chi più ne ha più ne metta. Ebbene, non di
rado le sigle che trovate associate ai diversi computer indicano, oltre al nome
del processore, la sua ‘frequenza di clock’, ovvero la sua ‘velocità’,
espressa in megahertz. Il processore al momento più diffuso è il Pentium della
Intel. E un Pentium II 200 avrà un orologio interno che cammina alla velocità
di 200 megahertz, e sarà un po' più lento di un Pentium II 300, e parecchio
più lento di un Pentium II 400.
Nel corso del tempo, la frequenza di clock dei processori è
andata continuamente aumentando: pensate che i processori dei primi personal
computer IBM avevano una frequenza di clock di poco superiore a 4 megahertz,
mentre oggi non è infrequente trovare processori con frequenza di clock pari a
500 megahertz o superiore.
Naturalmente, il fatto che la CPU lavori così velocemente
porta anche dei problemi: ad esempio, le CPU di oggi, lavorando a una frequenza
molto alta (‘molto velocemente’), sviluppano anche molto calore. Ed ecco che
diventa essenziale ‘raffreddare’ le CPU; un sistema spesso usato è quello
della sovrapposizione alla CPU stessa di una piccola ventola a motore.
Altrimenti? Altrimenti, surriscaldata, la CPU potrebbe lavorare male, o
guastarsi del tutto.
Abbiamo parlato della ‘frequenza di clock’ come di uno
degli indici della velocità di un processore. Ma ricordiamo che la potenza
effettiva di un processore non dipende solo dalla sua frequenza di clock.
Dipende anche dal numero e dal tipo di istruzioni che il processore è in grado
di eseguire.
Abbiamo detto che la CPU è la più importante fra le
componenti che troviamo sulla piastra madre. Ma dove si trova la CPU? Nella
piastra madre rappresentata dalla Figura 2, essa viene inserita nella fessura (slot)
situata in alto a destra e marcata come slot one. In altre piastre madri,
la CPU può essere invece inserita in un apposito alloggiamento (socket)
orizzontale, in genere di forma quadrata. Alcune piastre madri permettono di
alloggiare due CPU, che si divideranno il lavoro migliorando le prestazioni del
computer. Il fatto che la CPU non sia saldata alla piastra madre, ma inserita in
un apposito slot permette all’occorrenza di sostituirla, magari con un modello
più recente (che in questo caso dovrà però essere progettato in modo da
adattarsi allo slot già esistente).
Le ‘porte’ della piastra madre
Sopra lo slot nel quale alloggia la CPU, troviamo le porte di
comunicazione verso l’esterno; attraverso di esse, i dati possono raggiungere
periferiche come stampante, tastiera, mouse, schermo, modem (e magari per questa
via altri computer collegati alla rete Internet) e così via.
Le porte che vedete indicate sono la porta parallela
(utilizzata in genere per il collegamento di una stampante, e per i modelli più
economici di scanner) e quella seriale (alla quale possono essere collegati
modem, mouse e altri dispositivi), la porta USB (Universal Serial Bus) che
costituisce un’alternativa recente e più veloce alla porta seriale, e
permette di collegare ‘a cascata’ molteplici periferiche (fra l’altro
schermo, telecamere, scanner, mouse, tastiere…), e la porta PS/2, usata spesso
per il collegamento del mouse. Naturalmente, queste porte sono collegate alla
CPU attraverso bus di dati che ‘corrono’ lungo la piastra madre; per evitare
una eccessiva confusione dello schema, nell’immagine i bus di dati non sono
evidenziati, ma dovete pensare a tutta la piastra madre come percorsa da una
fitta ragnatela di strade di comunicazione che ne collegano le diverse
componenti.
Sotto lo slot del processore troviamo il chip di controllo
della AGP (Accelerated Graphic Port); la AGP è un canale dedicato a far
circolare in maniera veloce unicamente i dati grafici. Le applicazioni
multimediali più recenti - e soprattutto i giochi, particolarmente ‘affamati’
di grafica ricca e dettagliata - richiedono infatti la generazione e l’aggiornamento
continuo delle immagini inviate allo schermo. Ecco allora che un canale dedicato
esclusivamente al passaggio dei dati grafici può rivelarsi prezioso,
specialmente se affiancato da una buona scheda grafica in grado di
aiutare la CPU nella loro gestione.
A fianco della AGP, nella parte superiore sinistra della
piastra madre rappresentata nella Figura 2 troviamo degli altri slot, marcati
come ISA e PCI: si tratta di alloggiamenti nei quali possono essere inserite schede
di espansione (ad esempio schede sonore, grafiche, video, ecc.). Le sigle
ISA e PCI identificano due standard diversi: lo standard PCI (Peripheral
Component Interconnect) è più recente, e permette una comunicazione più
veloce fra la scheda e la piastra madre; lo standard ISA (Industry Standard
Architecture) è più antico, era già presente sui primi personal computer
IBM, e pur se meno efficiente, proprio per la sua natura di standard diffuso ha
continuato ad essere utilizzato negli anni successivi (spesso nella versione ‘estesa’
rappresentata dall’Extended ISA o EISA).
Figura 4 - Una scheda di espansione
Memoria
Un’altra componente fondamentale della piastra madre sulla
quale vale la pena di soffermarsi è la memoria. La CPU ha bisogno di memoria
esterna, di molta memoria esterna sulla quale conservare (nel solito
formato digitale!) i dati di lavoro, le istruzioni dei programmi che sta
eseguendo, e così via. La memoria utilizzata dalla CPU può essere di vari
tipi: memoria ‘a portata di mano’, disponibile sulla piastra madre, e alla
quale è dunque possibile accedere, in lettura e scrittura, in maniera molto
veloce, e memoria esterna alla piastra madre, sotto forma di dispositivi di
memoria di massa come i floppy disk, i dischi rigidi, i CD-ROM, i DVD ecc.
Ci soffermeremo più avanti sulla memoria ‘esterna’; per
ora concentriamoci su quella direttamente innestata nella piastra madre. A sua
volta, essa può essere di vari tipi; il deposito più capiente è quello
rappresentato dalla cosiddetta RAM (Random Access Memory), dove mentre
usiamo il computer viene conservata, momento per momento, la gran parte dei dati
sui quali stiamo lavorando e delle istruzioni relative ai programmi che stiamo
usando. Se ad esempio stiamo utilizzando un programma di videoscrittura, la RAM
conterrà il testo che stiamo scrivendo (o una larga parte di esso) e i moduli
fondamentali del programma che stiamo usando per scriverlo.
La RAM è una memoria volatile: i dati vengono
conservati sotto forma di potenziali elettrici, e se spegniamo la spina (o se va
via la corrente) vanno persi. Nello schema della Figura 2, la RAM viene inserita
negli alloggiamenti (sockets) in basso a destra, subito sopra i
connettori per disco rigido e lettore di floppy disk.
Figura 5 - una scheda di memoria RAM, pronta ad
essere inserita nell'apposito alloggiamento all'interno
della piastra madre
E’ necessario però che sulla piastra madre sia presente, a
disposizione della CPU, anche una parte di memoria non volatile, contenente una
serie di informazioni fondamentali per il funzionamento del computer. Ad
esempio, le informazioni su quali siano i dispositivi presenti sulla piastra
madre, e su come comunicare con essi. Queste informazioni non possono essere
date ‘dall’esterno’, perché senza di esse la stessa comunicazione con l’esterno
è impossibile. Non possono nemmeno essere volatili, perché se lo fossero
scomparirebbero al momento di spegnere il computer, e alla successiva
riaccensione non sapremmo più come reinserirle, dato che il computer stesso non
‘ricorderebbe’ più come fare per comunicare con l’esterno.
Devono dunque essere a portata di mano, sulla piastra madre,
e conservate da una memoria non volatile. Si tratta del cosiddetto BIOS, Basic
Input-Output System. La memoria non volatile che conserva questi dati è in
genere considerata memoria a sola lettura, o memoria ROM (Read Only Memory),
anche se ormai questa denominazione è inesatta: si usano infatti sempre più
spesso a questo scopo moduli di memoria non volatile 'aggiornabili' in caso di
necessità (flash memory).
Nello schema della Figura 2, la memoria che contiene il BIOS
si trova sulla sinistra, subito sotto gli slot ISA.
Talvolta, oltre al BIOS, nella memoria non volatile trovano
posto anche veri e propri programmi; è il caso ad esempio di molti computer
palmari della nuova generazione (si tratta dell’evoluzione delle
cosiddette agendine elettroniche: pesanti qualche centinaio di grammi e in grado
di essere portati in una tasca, i computer palmari di oggi sono molto più
potenti dei personal computer di sei o sette anni fa). In questo caso, l’installazione
in ROM del sistema operativo e dei principali programmi usati consente non solo
di averli immediatamente a disposizione, senza aspettare i tempi necessari al
loro caricamento da una memoria esterna, ma anche di ridurre il peso della
macchina, dato che non servono dispositivi di memoria di massa come dischi
rigidi o floppy disk dai quali altrimenti questi programmi dovrebbero essere
caricati.
Figura 6 - un computer palmare
Dal momento che stiamo parlando di memoria, conviene
aggiungere una annotazione: abbiamo visto come nella piastra madre trovino posto
la RAM e la ROM del computer. Negli ultimi anni, tuttavia, si è diffusa l’abitudine
a inserire una memoria autonoma di una certa ampiezza anche all’interno del
microprocessore; questa memoria, detta memoria cache, trovandosi a
portata diretta della CPU è ancor più veloce della RAM installata sulla
piastra madre, ed è quindi in grado di migliorare ulteriormente le prestazioni
del sistema.
Ma torniamo alle principali componenti che trovano posto
nella piastra madre, per concludere il nostro rapido viaggio al suo interno. Non
ci manca molto: resta da ricordare che sarà naturalmente necessario un
collegamento che porti l’energia elettrica (power connector), e che
sarà di norma presente anche una batteria tampone in grado di mantenere
aggiornati alcuni dati essenziali (ad esempio la data e l’ora) anche a
computer spento.
Misurare la memoria
Abbiamo parlato di memoria. Ma come si misura, la memoria di
un computer? L’unità di misura fondamentale dell’informazione è il bit,
che corrisponde alla quantità di informazione convogliata dalla scelta fra due
sole alternative. Con un solo bit di memoria possiamo rappresentare, ad esempio,
lo stato di un singolo interruttore (acceso o spento), o un carattere di un
linguaggio composto da due soli simboli. Per fare cose un po’ più
interessanti serve molta più memoria! Il passo successivo è il byte,
che corrisponde a una ‘parola’ composta da otto bit. Un byte può ‘informarci’
sulla scelta fra 28 = 256 diverse alternative. Può quindi
rappresentare ad esempio un carattere scelto da un alfabeto di 256 simboli, un
numero intero compreso fra 0 e 255, un colore scelto da una ‘tavolozza’ di
256 colori diversi, e così via.
Le tabelle più diffuse di codifica dei caratteri, come la
tabella Iso Latin 1, utilizzano proprio un byte per codificare un carattere. Un
carattere di testo, dunque, ‘pesa’ normalmente un byte.
Quanto peserà, allora, una cartella di testo? Se supponiamo
che la cartella comprenda circa 2000 battute, essa peserà circa 2000 byte.
Bit e byte sono unità di misura della quantità di
informazione, e dato che la capacità di una memoria corrisponde appunto alla
quantità di informazione che in essa può essere immagazzinata, bit e byte sono
anche le unità di misura di base per esprimere la capacità di immagazzinamento
(la ‘dimensione’) di una memoria. Man mano che le dimensioni delle memorie
(e della quantità di informazione che vogliamo immagazzinarvi) crescono,
tuttavia, diventa scomodo continuare a parlare utilizzando solo unità di misura
‘piccole’ come il bit e il byte.
Ecco allora che, proprio come accade per altre familiari
unità di misura, anche in questo caso si fa ricorso a nomi specifici per
indicare i principali multipli delle nostre familiari unità di base. A
differenza di quanto accade ad esempio nel caso della lunghezza o del peso,
tuttavia, nel caso della quantità di informazione non si usa, per la
costruzione di queste unità di misura di livello superiore, il sistema
decimale. Abbiamo visto infatti che nel campo del digitale è la numerazione
binaria, non quella decimale, a fare da padrona. Ecco allora che il Kilobyte
(abbreviato come Kb) non corrisponde a 1000 byte ma a 210 = 1024
byte. 2 Kb di testo corrispondono dunque non a 2000, ma a 2048 caratteri (siamo
comunque sempre vicini alle dimensioni di una cartella standard). Proseguendo
nella scala, troviamo il Megabyte (Mb), che corrisponde a 1024 Kilobyte),
e il Gigabyte (Gb), che corrisponde a 1024 Megabyte.
Dispositivi di memoria di massa
La memoria RAM interna al computer diventa sempre più ampia
(sono ormai frequenti personal computer equipaggiati con 64 o 128 Mb di RAM), ma
come abbiamo accennato si tratta di una memoria volatile, che non è dunque in
grado di conservare in maniera permanente dati e programmi. Per quest’ultimo
scopo, è bene disporre di depositi di memoria ancor più grandi, dato che
vogliamo conservarvi tutti i programmi e tutti i dati che desideriamo avere a
nostra disposizione, e non solo quelli che utilizziamo in un dato momento.
A questa esigenza rispondono i cosiddetti
dispositivi di
memoria di massa: disco rigido, floppy disk, CD-ROM, DVD, nastri e cartucce
di vario tipo.
I floppy disk, ovvero i normali ‘dischetti’ da computer,
sono probabilmente i più familiari: si tratta di piccoli dischi di materiale
magnetico inseriti all’interno di un rivestimento di plastica, che all’inizio
era flessibile (da qui la caratterizzazione ‘floppy’) ma che adesso è
rigido. Negli ultimi anni, la capacità di immagazzinamento dei floppy disk è
aumentata a ritmi assai rapidi; i primi floppy disk erano molto più ingombranti
e contenevano 170 Kb di dati; i piccoli floppy disk attuali contengono, nella
versione più diffusa, 1.44 Mb di dati.
Figura 7 - un floppy disk
Secondo molti analisti, tuttavia, l’era dei floppy disk,
almeno nella loro forma tradizionale, si avvicina alla fine: da un lato,
considerato l’enorme ‘ingombro’ in termini di bit dei programmi più
recenti e di dati che con sempre maggior frequenza non sono solo testuali ma
anche sonori o visivi, un supporto capace di contenere pochi megabyte di
informazione si rivela spesso inadeguato. Dall’altro, il collegamento in rete
(e in particolare a Internet) fornisce un canale nuovo per il trasferimento di
programmi e dati verso il computer. Inoltre, l’aumento vertiginoso nella
capienza dei dischi rigidi rende inutile ‘disperdere’ i propri dati su molti
dischetti. La sopravvivenza di supporti simili ai floppy disk può dunque essere
legata solo alla realizzazione di dischetti molto più capienti; in effetti,
stanno conoscendo una certa fortuna supporti che possono essere considerati dei
‘discendenti evoluti’ dei floppy disk (pur se basati in realtà su
tecnologie parzialmente diverse). Fra i più diffusi ricordiamo ad esempio le
cartucce ZIP (da 100 Mb) e JAZZ (da 1 Gb) prodotte dalla Iomega, e le cartucce e
i nastri prodotti dalla Sysquest.
Una categoria ormai diffusissima è quella rappresentata dai
CD-ROM; a differenza dei floppy disk e dei nastri, l’informazione è scritta e
conservata su un CD-ROM sfruttando non un supporto magnetico, ma un
supporto ottico: possiamo pensare a minuscole ‘tacche’ incise sulla
superficie del disco da un raggio laser (quello dell’apparato di scrittura, o masterizzatore),
tacche che vengono in seguito lette dal raggio laser del lettore. Si tratta di
una procedura del tutto analoga a quella usata nel caso dei Compact Disk
musicali.
Una volta scritti, i normali CD-ROM sono, come suggerisce il
nome, supporti di sola lettura (ricordate? la sigla ROM sta per Read Only Memory). A differenza dei supporti magnetici, non possono dunque essere
sovrascritti con nuovi dati. Da alcuni anni esistono tuttavia anche CD-ROM
riscrivibili; il loro prezzo è tuttavia piuttosto alto.
Figura 8 - CD-ROM
La capacità di un CD-ROM non è indifferente: circa 630 Mb
di dati, equivalenti a oltre 400 dei tradizionali dischetti floppy. Eppure, se
vogliamo usare il CD-ROM come supporto per informazione sonora o visiva (in
particolare filmata), questa capacità è ancora poca. Ecco allora che sono nati
i DVD (Digital Versatile Disk), apparentemente simili ai CD-ROM ma capaci
di contenere quantità ancor maggiori di dati (le capacità dei DVD variano a
seconda del loro formato, e – nelle specifiche attuali - possono andare da 4,7
a 17 Gb).
Mentre floppy disk, CD-ROM, DVD, nastri e cartucce sono
supporti rimovibili (di norma li conserveremo in uno schedario o in un cassetto,
e li inseriremo nel computer solo quando ci servono quei particolari dati o quel
particolare programma), i dischi rigidi (hard disk) sono in genere fissi,
inseriti all’interno della nostra famosa scatola (o cabinet) del
computer. Si tratta però di una scelta dettata solo da praticità: in effetti,
dal punto di vista concettuale sia un floppy disk sia un disco rigido
costituiscono memorie di massa esterne rispetto alla RAM ospitata sulla piastra
madre. Del resto, esistono anche hard disk rimovibili, alloggiati su appositi
scomparti scorrevoli, che pur essendo in genere più ingombranti (e più cari!)
dei floppy disk e delle cartucce possono essere, volendo, conservati fuori dalla
‘scatola’ e inseriti solo al momento opportuno.
La caratteristica principale degli hard disk è la capienza:
una quindicina d’anni fa, un hard disk da 20 Mb era considerato un lusso, oggi
un hard disk sotto i 2 Gb è considerato piccolo, e i ‘tagli’ da 4 o 8 Gb
sono sempre più diffusi (la tendenza all’evoluzione è continua anche in
questo settore: può darsi che, quando leggerete queste pagine, le dimensioni di
un hard disk di un computer di medie capacità siano ancora maggiori!).
Cosa ce ne facciamo, di tutto questo spazio? Se dovessimo
solo scrivere, ne basterebbe molto meno – ma possiamo usare bit e byte anche
per rappresentare informazione sonora e visiva (a cominciare dalle belle ‘finestre’
colorate e piene di bottoni che costituiscono ormai la regola anche per i
programmi di scrittura), e questa informazione è molto più ‘cara’ in
termini di consumo di memoria. Inevitabilmente, col progressivo miglioramento
delle capacità di immagazzinamento e di gestione dell’informazione in formato
digitale, ci abituiamo sempre di più alla facilità con la quale possiamo
integrare testo, immagini, suoni, filmati, e siamo portati a richiedere una
sempre maggiore disponibilità di memoria; siamo insomma ancora ben lontani dal
poter dire che disponiamo di tutta la memoria che ci serve. Ricordiamo comunque
che queste considerazioni dipendono sempre da quello che vogliamo fare con
le risorse che abbiamo a disposizione; in molti casi ad esempio (e non sarebbe
difficile trovare esempi fra i numerosi prodotti multimediali in commercio)
accade che la maggiore disponibilità di memoria porti a ‘coprire’ con
effetti speciali, suoni e filmati una reale carenza di contenuti. In altri casi,
invece (pensiamo ad esempio a basi di dati di materiale filmato), la memoria
disponibile non basta a fare tutto quello che sarebbe utile o interessante fare,
e ci si deve accontentare di compromessi talvolta poco soddisfacenti.
Per concludere la nostra veloce rassegna, vogliamo ricordare
un tipo di ‘memoria di massa’ molto familiare, ma che in genere non
riconosciamo come tale: la maggior parte delle carte di credito, le carte
Bancomat, le carte telefoniche e molti altri tipi di tesserini (ad esempio,
ahinoi, quelli che i dipendenti ‘timbrano’ all’entrata in ufficio!)
possiedono una piccola memoria, su banda magnetica o su chip, che conserva i
dati necessari.
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