Capitalismo globale e morte della democrazia: un nesso indissolubile?
Un libro di Noreena Hertz analizza le motivazioni
e le conseguenze del potere delle multinazionali
Di Wanda Marra
Il libro di Noreena Hertz, The Silent Takeover. Global Capitalism
and the Death of Democracy (Heinemann, London 2001) cattura
immediatamente l'attenzione con una scelta editoriale accattivante
ed inquietante: una copertina nera, con il titolo in grigio, e
una rappresentazione del globo sui toni del rosso, per un formato
quadrato, piuttosto inusuale. In seconda di copertina, la foto
di una giovane donna bionda seduta in un bosco autunnale, l'autrice
trentatreenne di questo saggio politico, economico e sociologico,
che tra le sue qualifiche include anche quella di direttore associato
del Centro di business e management internazionale al Judge Department
dell'Università di Cambridge.
La tesi di fondo è riassunta nel sottotitolo "capitalismo
globale e morte della democrazia", che in altre parole significa
che le multinazionali hanno più potere degli stati, gli
uomini d'affari contano più dei politici, gli interessi
commerciali regnano sovrani, le scelte dei governi sono condizionate
dalla logica del mercato, la sola che, alla fine, sembra avere
diritto di cittadinanza.
La Hertz fa risalire le origini del mondo caratterizzato dal
"Silent Takeover" (più o meno, "il silenzio
che vince") all'ascesa della Thatcher, che, insieme a Reagan,
consegnò un potere straordinario nelle mani delle multinazionali
e guadagnò porzioni di mercato a danno dei politici e della
democrazia.
Sostanzialmente il libro ricostruisce la storia politica ed economica
degli ultimi vent'anni, analizzando i diversi aspetti della questione:
la perdita di fiducia da parte della gente nei politici (impotenti,
inadeguati, inaffidabili, uguali nei programmi e negli obiettivi,
qualsiasi sia il loro schieramento); la progressiva conquista
da parte delle multinazionali non solo di sfere di potere e di
mercato, ma anche di alcune funzioni da sempre ricoperte dai governi,
attraverso finanziamenti alla formazione, alla ricerca scientifica,
alla sanità; il potere inarrestabile dei media, spesso
al servizio di interessi commerciali ed economici, e assolutamente
lontani dal fornire un'informazione libera e indipendente; il
progressivo abbattimento a livello globale dello stato sociale,
con la conseguente perdita di sicurezze e di garanzie.
Niente di troppo nuovo - da un certo punto di vista - forse semplicemente
una sintesi informata, stringente e ben scritta di questioni che
sono sotto gli occhi di tutti. Ma il problema è tutt'altro
che banale. Noreena Hertz ha molto chiaro un punto: il capitalismo
si è dimostrato l'unico sistema possibile ed ha effettivamente
provocato una crescita economica mondiale. Ma come conciliare
questa realtà indiscussa con le altrettanto indiscusse
storture che produce?
D'altra parte, perché un libro come questo ha ricevuto
in Inghilterra l'attenzione di un quotidiano illustre come il
Guardian, di un giornale vendutissimo come l'Evening
Standard ed ha dato vita a un documentario (The End of
Politics) per Channel 4? Forse perché l'analisi della
Heertz nulla concede a critiche facili e polemiche sterili: la
sua è piuttosto la descrizione di un sistema globale soffocante,
da cui nulla e nessuno riesce a fuggire. Forse anche perché
da ogni pagina traspare l'inquietudine esistenziale di chi è
il prodotto illustre di un sistema e di una società, che
allo stesso tempo non può non riconoscere come profondamente
ingiusta e corrotta. Noreena Hertz, come l'indiscussa profetessa
del popolo di Seattle Naomi Klein, della quale sembra "il
doppio" anglosassone, è una giovane donna di successo,
con un volto che ben si presta a diventare il simbolo di un pensiero
alternativo.
Quel che tutto sommato appare da un lato molto interessante, dall'altro
quasi inquietante è che la Hertz tenta in tutti i modi
di mantenere un equilibrio. Prendiamo il caso del Wto: l'autrice
riconosce a questo organismo un ruolo e una dignità, non
mette in discussione la necessità di regole commerciali
mondiali, ma non può non sottolineare che vengono imposte
dottrine di libero mercato anche a quei paesi che magari vorrebbero
sottrarsene. Ciò che è evidente è - insomma-
che il mondo contemporaneo presenta una serie di realtà
ingiuste e corrotte, quasi impossibili da eliminare, tanto sono
per altri versi intrinsecamente legate al funzionamento del sistema.
Ed è difficile riuscire a misurare il grado di sviluppo
della società non più soltanto con la logica del
profitto, ma con quella dei diritti umani. Ed è ancora
più difficile capire quali sono i correttivi da apportare,
in che modo e fino a che punto è possibile farlo.
Partendo da questi presupposti sono ricercate ed enunciate le
motivazioni e la forza del popolo di Seattle, nato e cresciuto
- come la Hertz sottolinea fin dalla prima pagina - dalla Rete,
grazie alle possibilità informative e organizzative che
questa offre.
Il movimento degli antiglobalizzatori unisce persone di estrazione
sociale e di nazionalità diverse che sulle basi prima di
tutto di una generale disillusione portano avanti l'esigenza di
una società più giusta. Quello che la Hertz sostiene
è che per cambiare le regole del gioco, è necessario
un forte movimento dal basso, che è in realtà in
grado di influenzare l'andamento delle cose, come la stessa crescita
spontanea e imponente del popolo di Seattle ha mostrato. Cambiare
il modo di fare politica, ridare ai governi il loro ruolo di discussione
democratica, reinventare lo stato, riportare l'attenzione sulle
persone e non sul business: queste alcune delle sfide che la Hertz,
in una conclusione militante, invita ad affrontare.
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