13 Luglio 2001



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Capitalismo globale e morte della democrazia: un nesso indissolubile?

Un libro di Noreena Hertz analizza le motivazioni e le conseguenze del potere delle multinazionali

Di Wanda Marra

Il libro di Noreena Hertz, The Silent Takeover. Global Capitalism and the Death of Democracy (Heinemann, London 2001) cattura immediatamente l'attenzione con una scelta editoriale accattivante ed inquietante: una copertina nera, con il titolo in grigio, e una rappresentazione del globo sui toni del rosso, per un formato quadrato, piuttosto inusuale. In seconda di copertina, la foto di una giovane donna bionda seduta in un bosco autunnale, l'autrice trentatreenne di questo saggio politico, economico e sociologico, che tra le sue qualifiche include anche quella di direttore associato del Centro di business e management internazionale al Judge Department dell'Università di Cambridge.

La tesi di fondo è riassunta nel sottotitolo "capitalismo globale e morte della democrazia", che in altre parole significa che le multinazionali hanno più potere degli stati, gli uomini d'affari contano più dei politici, gli interessi commerciali regnano sovrani, le scelte dei governi sono condizionate dalla logica del mercato, la sola che, alla fine, sembra avere diritto di cittadinanza.

La Hertz fa risalire le origini del mondo caratterizzato dal "Silent Takeover" (più o meno, "il silenzio che vince") all'ascesa della Thatcher, che, insieme a Reagan, consegnò un potere straordinario nelle mani delle multinazionali e guadagnò porzioni di mercato a danno dei politici e della democrazia.
Sostanzialmente il libro ricostruisce la storia politica ed economica degli ultimi vent'anni, analizzando i diversi aspetti della questione: la perdita di fiducia da parte della gente nei politici (impotenti, inadeguati, inaffidabili, uguali nei programmi e negli obiettivi, qualsiasi sia il loro schieramento); la progressiva conquista da parte delle multinazionali non solo di sfere di potere e di mercato, ma anche di alcune funzioni da sempre ricoperte dai governi, attraverso finanziamenti alla formazione, alla ricerca scientifica, alla sanità; il potere inarrestabile dei media, spesso al servizio di interessi commerciali ed economici, e assolutamente lontani dal fornire un'informazione libera e indipendente; il progressivo abbattimento a livello globale dello stato sociale, con la conseguente perdita di sicurezze e di garanzie.

Niente di troppo nuovo - da un certo punto di vista - forse semplicemente una sintesi informata, stringente e ben scritta di questioni che sono sotto gli occhi di tutti. Ma il problema è tutt'altro che banale. Noreena Hertz ha molto chiaro un punto: il capitalismo si è dimostrato l'unico sistema possibile ed ha effettivamente provocato una crescita economica mondiale. Ma come conciliare questa realtà indiscussa con le altrettanto indiscusse storture che produce?

D'altra parte, perché un libro come questo ha ricevuto in Inghilterra l'attenzione di un quotidiano illustre come il Guardian, di un giornale vendutissimo come l'Evening Standard ed ha dato vita a un documentario (The End of Politics) per Channel 4? Forse perché l'analisi della Heertz nulla concede a critiche facili e polemiche sterili: la sua è piuttosto la descrizione di un sistema globale soffocante, da cui nulla e nessuno riesce a fuggire. Forse anche perché da ogni pagina traspare l'inquietudine esistenziale di chi è il prodotto illustre di un sistema e di una società, che allo stesso tempo non può non riconoscere come profondamente ingiusta e corrotta. Noreena Hertz, come l'indiscussa profetessa del popolo di Seattle Naomi Klein, della quale sembra "il doppio" anglosassone, è una giovane donna di successo, con un volto che ben si presta a diventare il simbolo di un pensiero alternativo.
Quel che tutto sommato appare da un lato molto interessante, dall'altro quasi inquietante è che la Hertz tenta in tutti i modi di mantenere un equilibrio. Prendiamo il caso del Wto: l'autrice riconosce a questo organismo un ruolo e una dignità, non mette in discussione la necessità di regole commerciali mondiali, ma non può non sottolineare che vengono imposte dottrine di libero mercato anche a quei paesi che magari vorrebbero sottrarsene. Ciò che è evidente è - insomma- che il mondo contemporaneo presenta una serie di realtà ingiuste e corrotte, quasi impossibili da eliminare, tanto sono per altri versi intrinsecamente legate al funzionamento del sistema. Ed è difficile riuscire a misurare il grado di sviluppo della società non più soltanto con la logica del profitto, ma con quella dei diritti umani. Ed è ancora più difficile capire quali sono i correttivi da apportare, in che modo e fino a che punto è possibile farlo.

Partendo da questi presupposti sono ricercate ed enunciate le motivazioni e la forza del popolo di Seattle, nato e cresciuto - come la Hertz sottolinea fin dalla prima pagina - dalla Rete, grazie alle possibilità informative e organizzative che questa offre.
Il movimento degli antiglobalizzatori unisce persone di estrazione sociale e di nazionalità diverse che sulle basi prima di tutto di una generale disillusione portano avanti l'esigenza di una società più giusta. Quello che la Hertz sostiene è che per cambiare le regole del gioco, è necessario un forte movimento dal basso, che è in realtà in grado di influenzare l'andamento delle cose, come la stessa crescita spontanea e imponente del popolo di Seattle ha mostrato. Cambiare il modo di fare politica, ridare ai governi il loro ruolo di discussione democratica, reinventare lo stato, riportare l'attenzione sulle persone e non sul business: queste alcune delle sfide che la Hertz, in una conclusione militante, invita ad affrontare.