13 Luglio 2001



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Oltre la piazza, la protesta degli scienziati
(di Franco Bifo Berardi)

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Oltre la piazza, la protesta degli scienziati

Di Franco Bifo Berardi

La battaglia di Genova si sta ormai combattendo da oltre un mese sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo. Potremmo dire che si tratta ormai
di una battaglia vinta da parte di chi voleva più di ogni altra cosa ottenere visibilità per la protesta contro una forma della globalizzazione guidata unicamente dal profitto. Ma c'è anche il rischio che una visibilità così accecante porti a perdere di vista il problema di profondo di questo movimento, che non è impedire ai potenti di incontrarsi, ma togliere loro il monopolio sul sapere, sulla tecnologia, sulle fonti della ricchezza contemporanea.
Perciò riteniamo utile offrire un contributo alla battaglia di Genova riportando una notizia che la grande macchina spettacolare lascia in ombra.
"In giro per il mondo oltre 22000 scienziati e ricercatori sono in rivolta contro l'appropriazione privata di decenni di ricerche finanziate con i soldi pubblici da parte delle grandi aziende private. La posta di questa disputa è importante: si tratta di stabilire chi controlla i frutti della scoperta scientifica, milioni di pagine di informazione che può contenere il segreto per la cura dell'AIDS o dei viaggi spaziali o del funzionamento della mente umana."
Questa notizia è uscita sul Guardian del 26 maggio, firmata da James Meek, corrispondente scientifico del quotidiano britannico. (Science world in revolt at power of the journal owners).
Meek osserva che i ricercatori si sentono sempre più frustrati perché questa privatizzazione del sapere contrasta in maniera stridente con la
possibilità di un accesso generalizzato ai prodotti della ricerca che è implicita nello sviluppo di Internet. La grande stampa non ha dato a
questa protesta un rilievo adeguato, ma si tratta di un fenomeno di importanza enorme. Infatti non è in gioco una questione che interessi solamente il mondo della scienza, ma è un problema fondamentale della politica e della società contemporanea. Si tratta dello stesso problema che è già emerso nei mesi scorsi in Sud Africa. In quella occasione una grande azienda farmaceutica
aveva chiamato in giudizio il governo sudafricano per aver permesso la riproduzione e la messa in vendita a prezzi accessibili di prodotti per la
cura dell'AIDS. Il 18 aprile, a Pretoria, si è aperto il processo ma l'azienda che lo aveva intentato lo ha immediatamente chiuso, rinunciando alle sue pretese economiche. E questa scelta è stata causata in parte dal timore di una reazione dell'opinione pubblica mondiale, in parte dal fatto
che lo scienziato che aveva prodotto il farmaco ha preso posizione pubblicamente contro l'avidità delle corporation che lucrano sistematicamente
sul lavoro di ricerca. Siamo qui al centro della rivoluzione più profonda che la rete sta determinando.
Come già abbiamo visto accadere con Napster, la proprietà privata viene messa in questione dalla tecnologia di rete, perché essa è meno importante della possibilità di godere in maniera libera dei prodotti del lavoro cognitivo universale.
La protesta che iniziò a Seattle il 30 novembre 1999, e si è poi diffusa nel mondo può essere letta anche da questo punto di vista, come una rivendicazione del diritto di tutti gli esseri umani a godere dei prodotti del sapere. La discussione che si sta sviluppando ormai da settimane intorno alla prevista contestazione del G8 di Genova rischia di concentrarsi unicamente su un problema spettacolare ma assolutamente secondario come quello della violenza o non violenza. Eppure questo movimento non ha la minima possibilità di determinare degli effetti sociali profondi se non riesce a coinvolgere il lavoro della scienza, della ricerca, se non riesce a determinare una trasformazione nell'organizzazione sociale del sapere. Il principio di rete che Internet ha portato al centro della produzione globale è una forza di trasformazione molto più grande che l'antiquata protesta bardata di armi simboliche o materiali.