Oltre la piazza, la protesta degli scienziati
Di Franco Bifo Berardi
La battaglia di Genova si sta ormai combattendo da oltre un mese
sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo. Potremmo dire
che si tratta ormai
di una battaglia vinta da parte di chi voleva più di ogni
altra cosa ottenere visibilità per la protesta contro una
forma della globalizzazione guidata unicamente dal profitto. Ma
c'è anche il rischio che una visibilità così
accecante porti a perdere di vista il problema di profondo di
questo movimento, che non è impedire ai potenti di incontrarsi,
ma togliere loro il monopolio sul sapere, sulla tecnologia, sulle
fonti della ricchezza contemporanea.
Perciò riteniamo utile offrire un contributo alla battaglia
di Genova riportando una notizia che la grande macchina spettacolare
lascia in ombra.
"In giro per il mondo oltre 22000 scienziati e ricercatori
sono in rivolta contro l'appropriazione privata di decenni di
ricerche finanziate con i soldi pubblici da parte delle grandi
aziende private. La posta di questa disputa è importante:
si tratta di stabilire chi controlla i frutti della scoperta scientifica,
milioni di pagine di informazione che può contenere il
segreto per la cura dell'AIDS o dei viaggi spaziali o del funzionamento
della mente umana."
Questa notizia è uscita sul Guardian del 26 maggio, firmata
da James Meek, corrispondente scientifico del quotidiano britannico.
(Science world in revolt at power of the journal owners).
Meek osserva che i ricercatori si sentono sempre più frustrati
perché questa privatizzazione del sapere contrasta in maniera
stridente con la
possibilità di un accesso generalizzato ai prodotti della
ricerca che è implicita nello sviluppo di Internet. La
grande stampa non ha dato a
questa protesta un rilievo adeguato, ma si tratta di un fenomeno
di importanza enorme. Infatti non è in gioco una questione
che interessi solamente il mondo della scienza, ma è un
problema fondamentale della politica e della società contemporanea.
Si tratta dello stesso problema che è già emerso
nei mesi scorsi in Sud Africa. In quella occasione una grande
azienda farmaceutica
aveva chiamato in giudizio il governo sudafricano per aver permesso
la riproduzione e la messa in vendita a prezzi accessibili di
prodotti per la
cura dell'AIDS. Il 18 aprile, a Pretoria, si è aperto il
processo ma l'azienda che lo aveva intentato lo ha immediatamente
chiuso, rinunciando alle sue pretese economiche. E questa scelta
è stata causata in parte dal timore di una reazione dell'opinione
pubblica mondiale, in parte dal fatto
che lo scienziato che aveva prodotto il farmaco ha preso posizione
pubblicamente contro l'avidità delle corporation che lucrano
sistematicamente
sul lavoro di ricerca. Siamo qui al centro della rivoluzione più
profonda che la rete sta determinando.
Come già abbiamo visto accadere con Napster, la proprietà
privata viene messa in questione dalla tecnologia di rete, perché
essa è meno importante della possibilità di godere
in maniera libera dei prodotti del lavoro cognitivo universale.
La protesta che iniziò a Seattle il 30 novembre 1999, e
si è poi diffusa nel mondo può essere letta anche
da questo punto di vista, come una rivendicazione del diritto
di tutti gli esseri umani a godere dei prodotti del sapere. La
discussione che si sta sviluppando ormai da settimane intorno
alla prevista contestazione del G8 di Genova rischia di concentrarsi
unicamente su un problema spettacolare ma assolutamente secondario
come quello della violenza o non violenza. Eppure questo movimento
non ha la minima possibilità di determinare degli effetti
sociali profondi se non riesce a coinvolgere il lavoro della scienza,
della ricerca, se non riesce a determinare una trasformazione
nell'organizzazione sociale del sapere. Il principio di rete che
Internet ha portato al centro della produzione globale è
una forza di trasformazione molto più grande che l'antiquata
protesta bardata di armi simboliche o materiali.
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